martedì, gennaio 10, 2017

61, Rivisto







I sogni sono dunque in parte veri e in parte falsi,
e non vi è sogno in cui non si uniscano
entrambi gli elementi.


ZOHAR







Alla chiesa ci siamo arrivati per pura fortuna. La strada curvava buttandosi in una dimensione di verde sconsiderato e il cartello sulla mia sinistra ci ringraziava con delle lettere corsive per aver visitato lo Stato, dicendoci addio - e magari vedi di non tornare. Dietro a quella piantagione densa e senza ritegno per il suo licenzioso passato di sfruttamento, morte, canti di liberazione votati al cielo e recitati nelle gole di un’eternità pastorale, oltre il finestrino abbassato, è comparso un tetto con delle assi di copertura butterate, grigie, schiarite, qua e là leggermente sollevate tra fogli di catrame di un’epoca passata, arginata da un’indulgenza corrotta. Avevo visto qualcosa ed era la chiesa che cercavamo. Durante il giorno aveva piovuto e l'ennesimo uragano era a poco meno di una settimana. La madre voleva che le sue ceneri fossero interrate lì. Non c’erano sentieri per raggiungere la chiesa, così l’unico modo è stato fermare la macchina al lato della 61 e scendere giù per un piccolo dirupo di erba e sterpaglie, inoltrarsi e penetrare il selvaggio sconosciuto interno. Si sentiva un odore di qualcosa misto a terra. Disse, oggi c’è un po’ di vento e quello che senti sono le paludi che cuociono le proprie colpe. Voleva che delle parole del genere fossero presenti, rimarcate, che questo rimanesse chiaro tra noi; voleva che la sua voce si sentisse nell'aria. La natura non mi ha mai impressionato con le sue forme, le sue sostanze. La natura è l’opposto dell’uomo: ci ha flagellato per milioni di anni. L’uomo è fatto per le città e gli uomini sono le città. Facevo strada, aprendo il passaggio con un ramo spezzato che avevo raccolto; cercavo di giustificare quello che stavo facendo. In fin dei conti era solo una sana idiozia pomeridiana per una donna che avevo amato. Mi vergognai per aver formulato una tale banalità: stavo invecchiando e perdendo la mia nervosa lucidità, la mia universale interpretazione del mondo. Durante quel quarto d’ora nella giunga creola, non abbiamo parlato. La chiesa che stavamo cercando era una capanna bruciata anni prima, stata chiesa metodista, diventata un riparo per gente di qualsiasi tipo. Solo un altro luogo dimenticato da dio. Rispose che dio da quelle parti oltre ad non esserci mai passato, di sicuro non era mai esistito. La gente si illudeva che esistesse ancora qualcosa. Le vite e i fatti dimostrarono che lì c’erano sempre e solo state due cose: gli uomini e la natura. Ed erano due cose contrapposte, gli uni all’altra. La chiesa aveva ancora una delle pareti su, nient’altro che uno sgangherato millenario muro del pianto in un posto impredicibile. Si leggevano delle scritte di date e nomi: di sicuro persone passate. Davanti avevamo delle specie di giacigli, una lettiga marcia, un piccolo cucinino carbonizzato, scheletri di animali, segni di sacrifici satanici, addirittura un cranio frantumato di un essere umano, asciugamani anneriti, lenzuola bucate, bottiglie frantumate, siringhe condivise e cucchiaini ossidati. Ben chiaro dove eravamo, il simulacro della follia o il canto del gallo predatore. L’uomo disperso ai confini delle terre gonfie, statali di asfalto annodate, ciminiere di industrie defunte a metà degli anni Settanta, tutte cose che stavano per la crisi petrolifera e vene delle persone imbottite di eroina. La cosa la turbò ed iniziò a piangere, ansimare. Disse, andiamo via. Non metto mia madre qui. Facemmo il percorso inverso verso la macchina. Cosa vuoi fare, mi venne da chiederle dopo venti miglia di strada. La mettiamo nell’acqua. Quello era il suo modo per dirmi che l’avremmo buttata l’indomani nel fiume, in città.







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