mercoledì, ottobre 30, 2013

Anarchia a Seattle






Seattle grande esperimento dell’Occidente
finito in un buco senza ritorno
la frontiera, purtroppo, è finita
dopo rimane l’Alaska
dopo rimane la discesa
verso uno stato di ibernazione
un giorno a Seattle
ho visto la fine dell’Occidente.






Holt Cemetery








Veramente, può essere tutto qui.
Mike & Frank passano la propria giornata, oggi, in un clima più fresco del solito.
Ventisette gradi, ottantadue percento di umidità, ottimale situazione per due sbandati, ammesso che lo siano.
Mike & Frank se la passano sotto qualche albero e si sdraiano sopra qualche tomba, qui, all’Holt Cemetery.
L’Holt Cemetery è come quando tua madre è morta ammazzata ed avevi cinque anni, è come se avessero sganciato una bomba all’idrogeno da cento megatoni e tu sei uno dei pochi sopravvissuti della tua metropoli, solo perché eri all’estero a berti un drink con cannuccia e ombrellino in un qualsiasi posto caraibico.
L’Holt Cemetery accoglie da sempre, a New Orleans, diciamo dal 1879 in poi, i resti ammalorati di quelli che sono morti e che in vita non avevano niente. 
Il catalogo è lungo: poveri, indigenti, affamati, indegni, appestati, lebbrosi se ce ne sono mai stati, deceduti per colera, tossici, alcoolisti, morti di AIDS, qualsiasi fine peggiore che si possa figurare è presente su un’intestazione di almeno una tomba.
Ho deciso di non arrivare ad indovinare quali siano i veri nomi di Mike & Frank, ed ho escluso il fatto di analizzare e soppesare l’eventualità che mi stiano mentendo su tutta la linea. Così tutto rimarrà più facile.
Sono questi, questi due uomini intorno alla trentina, che a parte qualche piccolo traffico di anfetamina, si occupano di dare un minimo di dignità a questa onesta sorta di fossa comune.
Ai morti, qui, hanno dato un nome e dei pezzi di legno per delimitare il proprio sacco di ossa.
M & F sono due formidabili furbacchioni dell’ultima ora; tentano di vendermi roba più volte nei minuti in cui parliamo, mi chiedono chi sia, cosa faccio, di fargli vedere i tatuaggi che spuntano dalle maniche della t-shirt.
Mi dicono anche che ho un bel fegato ad andare lì.
Gli rispondo: nessun fegato.
Sono solo uno di passaggio che scrive e fotografa.

Fai tutte le foto che vuoi amico e scrivi. Noi facciamo il nostro. 



Racconti dalla Frontiera








Seattle è un grande esperimento dell’Occidente che ha luogo sulla frontiera del Nord Pacifico e che finisce lì, perché dopo il confine dello Stato di Washington inizia, o rimane, a secondo di come la si guardi, il territorio dell’Alaska, ovvero una discesa verso uno stato perenne di ibernazione.
Un giorno a Seattle, ho visto la fine dell’Occidente, ho visto il termine di un percorso geniale che è partito dalla filosofia e dal teatro greco e che è arrivato fin là.
Dove stiamo andando, dove andremo, quando avremo, sì, ucciso nostro padre e nostra madre e tu sarai uno dei tanti mariti che devono passare gli alimenti alla moglie di turno.
Cosa faremo se non ci rimarrà altro che stare dietro la copertina di una bibbia ed un foglio di carta chiamato costituzione, e guardarli come qualcosa che non ci appartiene.
Il dominio dell’omologazione, fatta passare per un’acuta e realistica soggettivazione, può fare strani scherzi: mettere a braccetto la violenza più spudorata del capitale e della tecnologia con il pacifismo e l’ambientalismo radicali.
Se milioni di persone saranno solo la proiezione  di quello che pensano di essere ma che non saranno mai, allora potrebbe prospettarsi un’ospedalizzazione di massa oppure la totale rottura del patto sociale che la società borghese ha costruito e mantenuto dal XVIII secolo in poi. Karl Marx permettendo.
Se il denaro, ed un taglio di una valuta in particolare, il biglietto da 1 dollaro statunitense, finirà arrotolato costantemente nelle nostre arterie, foderandole dall’interno, allora sarà la passione del nostro sistema sanguigno; avremo ancora la carne di questo colore, sarà ancora questo il nostro aspetto?
Ho vissuto il diluvio della frontiera e ho guardato a lungo ed ho visto che ci sono solitudini che vengono spezzate alle prime luci del mattino, ho visto solitudini cieche arrotolarsi in un sacco a pelo di trenta anni fa e sparire in una coperta macchiata, ho visto finti musicisti cianciare per strada e ambulanti che vendevano pannocchie imburrate ed arrostite alla bella e meglio, ho visto la fossa oltre gli occhi che abita nelle orbite di ogni uomo; cose che capitano tutte le ore a New Orleans, Louisiana, ma almeno lì è dichiarata e la gente non è così travolta nella corsa al solipsismo.
Nella Nuova America, seppur guidata da un uomo illuminato – ma per questo non esiterei a definirlo controverso, cosa che i cd. lefties pensano - non c’è spazio per i testa d’angelo, tanto per dirla alla Ginsberg.
Fine dei sogni quindi, fine dei giochi.
E’ il finale di partita che ritorna sempre.





martedì, ottobre 29, 2013

Non fare prigionieri/Morte di Lou Reed






1,
questa cosa
non ha definizioni
non è la cosa che ti dà il successo
o ti porta al fallimento


2,
non ti fa arrivare ad una laurea
né ti fa giocare in prima squadra
le donne che desideri
sono ancora molto lontane o sposate


3,
per aver detto cose sbagliate molte volte
non esiste una pena
ma non puoi ingannare sempre
le persone & le occasioni


4,
per aver detto molte volte cose giuste
ti puoi dimenticare, bello
che la gente ti paghi
lo zucchero filato o la birra


5,
questa cosa
non ha un 'origine
non fa parte dei soliti rapporti umani
tra la solita gente


6,
nessuno conosce mai bene
quel tipo di individuo
che si defila dalla massa
per dire qualche cosa


7,
la prassi vuole
che venga osannato o denigrato
a seconda delle mode
ma niente di tutto questo durerà per molto


8,
& non è detto
che finisci in prima squadra
a giocare
per il tuo allenatore


9,
questa cosa
mi ha ammazzato
mi ha preso per la gola
fino a che non si è rotta


10,
quello che è stato venduto
è già stato detto
prenditi cura di te
come qualsiasi cosa


11,
lei era una carina
& dava sempre la bocca
tutto quello che poteva
solo nei rapporti sessuali


12,
la vita non si può costruire
su certe premesse
così scadenti
ma si cerca di stare in piedi


13,
questa cosa
prima di salirmi nella testa
ha deviato
strappandomi il collo di dosso


14,
di certo non è stato piacevole
non era per niente previsto
a quell'ora della sera
con quell'abitudine di crescere in pubblico

15,
essere osservati - 
un occhio della testa
& ti ricordi della sposa
che scende da sopra la testa della collina


16,
quando sei solo
negli orari di chiusura
ma quello che hai fatto
non ha mercato


17,
sbugiardato
fin dai primi tempi
perché nel muro, attraverso,
vedevi una luce colorata


18,
seduto nel posto del passeggero
o in quello del conducente
perfino nel bagagliaio, rannicchiato, fatto,
steso nei posti dietro


19,
un cinema valeva l’altro
un altro giro
un altro salto
un salto in giro per un buco


20,
mamma & papà
non ti hanno voluto così bene
dovevi fare le cose alla loro maniera
ma tu eri arrivato


21,
hai realizzato in fretta
che tutto quello che serviva
era nelle strade
& nella tua testa


22,
musica, libri,chitarra, testi
certe voci non hanno la forza di uscire
sono troppo stuprate sul velluto
per troppo a lungo


23,
quando hai visto quella scena
di lei che veniva nei jeans che si macchiavano
perché lui la stava toccando a fondo
ti sei detto “cazzo che roba”, la voglio fare anche io


24,
la gita fuori porta
con la tua nuova moglie
pensi a tua madre che ama
le banalità della famiglia


25,
come molti scrittori
& musicisti
ti sei definito “la città”
& ci sei stato sempre dentro


26,
un giorno
nell’ennesimo bar
neanche troppo tardi

hai iniziato a farti schifo

27,

guardavi tutte queste donne sole
prese a parlare di idiozie devastanti
vedevi che erano lì solo per cercare un pezzo di carne
da mettere per poco in mezzo alle gambe


28,
ti sei fatto un altro round
hai pensato di scriverci qualcosa
hai incontrato un finto amico fuori
ma non valeva la pena di tutto questo


29,
il concerto iniziava alle 10
tu eri sempre dall’altra parte
avevi fatto il pieno
per un mese di seguito


30,
non eri più
quello di quindici anni prima
il cervello galleggiava nella scatola cranica
o si essiccava ingrigendosi, denutrito

31,

ma quando ti davano per morto
dopo anni, uscivi
perché i morti
escono sempre dalla tomba


32,
un 27 ottobre
sei morto davvero
a long island:
niente più allenatore.








domenica, ottobre 27, 2013

Distretti, Recensione







Distretti - Recensione de "Il Tempo"


Con Niccolò Alberici la poesia viaggia on the road





La prima impressione, sfogliando il corposo volume «Distretti», di Niccolò Alberici, Talos Edizioni, è di disordine. Un disordine solo apparente perché in questo volume, che sfugge a...





La prima impressione, sfogliando il corposo volume «Distretti», di Niccolò Alberici, Talos Edizioni, è di disordine. Un disordine solo apparente perché in questo volume, che sfugge a ogni canonica definizione, tutto è al suo posto. Lo stesso autore chiama questa una «raccolta di scritti», ma senza dubbio il volume appartiene al patrimonio nobile della poesia. Poesia che è un modo per spiegare cose inspiegabili, attraverso lo stimolo di corde misteriose e insondabili dell’animo umano, che solo gli artisti, nel senso più ampio della parola, sanno pizzicare.
In copertina «Distretti» propone un angolo di strada senza tempo e senza connotazione geografica: solo un cartello «One Way», ci rivela l’appartenenza ad un universo anglofono, ma quell’incrocio coibentato nell’asfalto, con una flora di cartelli e pali, con incatenate biciclette, potrebbe appartenere agli Stati Uniti di Truman Capote o all’Italia di Vittorio De Sica o a qualunque altro «paesaggio urbano» del Novecento.
Ad aprire il volume una breve raccolta di citazioni: Nietzsche, Jack Kerouac, Don De Lillo... e poi una serie di versi, ognuno accompagnato da una fotografia. Ma che vogliono dire quelle immagini? Viene naturale da chiedersi. Qui appare l’ingresso di un qualunque appartamento, forse mitteleuropeo, forse nel Nuovo Mondo, poi un viale, poi un altro portone, un po’ diverso dall’altro, con una persona davanti. E ancora una vetrina, un pontone, sulle coste di chissà quale mare, un tram, una sfilata di tavole o forse di panche e sotto: «Dal diario di Carlie Whitewood». «Ho infranto 12 volte/il limite di velocità/stavo portando ad un’amica/"L’uomo vitruviano nella seconda metà del XX secolo"...». E improvvisamente sembra che tutto si allinei, tutto assume un significato e un ordine preciso. Alberici è un «cronista in versi» che racconta il mondo di oggi fornendo una sorta di «manuale urbano di sopravvivenza». La Natura è sparita, inglobata in una guaina di asfalto e cemento che è il nuovo viso del mondo. Roma o Calcutta o New York in fondo fanno parte dello stesso paesaggio, seguono le stesse regole e infliggono all’uomo le stesse ferite che potrà curarsi sotto un ponte o al «Queen & Crescent Hotel», che è una specie di oasi, dove ci si può rinfrancare sorseggiando Miller Lite... L’uomo ha sovrapposto alla natura le sue città, che non sono meno infide e feroci della jungla.
Antonio Angeli



martedì, ottobre 22, 2013

Continua a scattare nel mondo libero










A casa dei miei, nello studio di mio padre, al di sotto dello scaffale dedicato a monografie su singoli libri della bibbia ed a volumi che collezionavano sentenze latine e greche, c’era una sparuta raccolta della rivista “Meridiani”, rivista di viaggi che allora era molto in voga e di cui oggi non sono più sicuro delle sorti editoriali.
In un numero erano riportate delle fotografie, fotografie di donne nude.
Ero nel tempo in cui si passa dall’essere un bambino cresciuto a quel peculiare stato psico-fisico che è rappresentato e viene vissuto come l’entrata nell’età dell’adolescenza.
L’immagine che ho consumato con giovane avidità, con disarmante senso di soddisfazione, con rinnovata volontà di potenza, ogni volta che arrivavo alla pagina che la ospitava, ritraeva una donna dal fisico statuario, scolpito, proteso in avanti, issato su slanciati tacchi di scarpe da sera.
Non avevo mai visto una cosa del genere.
Non avrei mai visto una cosa del genere, dal vivo.
Il corpo era un costrutto dotato - oltre che benedetto da una santuario di bellezza - di fissità, di rigidità come di fluidità e di dinamicità al tempo stesso.
I piedi, contenuti nelle scarpe, crescevano e sfociavano nelle gambe, e le gambe, così vere e prolifiche e fasciate da strati di carne levigata, terminavano naturali nel bacino e nel ventre verginale dove le braccia, costrette da una tenuta e da una forza nervosa saldamente direzionata, formavano un “vi” alfabetica ed aulica.
In quel punto, le dita della mano sinistra afferravano e tiravano i peli pubici di una non trascurabile lunghezza; questa mano sinistra era tenuta a bada dalla destra che si posizionava grosso modo sul polso, ancora, sinistro.
Procedendo dal basso verso l’alto, si incontrava il torace scavato e slanciato – in pieno stile fine Settanta inizio Ottanta del Novecento - quindi sotto la reggente impalcatura squadrata delle spalle, due portentosi seni, che facevano da contrappeso estetico e nel caso di specie, squisitamente erotico, a quella montante peluria pubica a malapena frenata da un insolito atto di reprensione psicanalitica.
Helmut Newton, l’autore di uno scatto così fortemente immortale che mi riesce solo di paragonare all’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci, disse, tempo dopo, che l’idea gli era venuta dall’aver osservato sulla stampa tedesca alcune foto segnaletiche a grandezza naturale effettuate dalla polizia di stato – chi per loro, della Bundesrepublik Deutschland (Repubblica Federale Tedesca) e divulgata nell’intero territorio della Germania Ovest, ai fini dell’arresto dei ritenuti - tali membri della Rote Armee Fraktion (RAF), più volgarmente nota come Banda Baader-Meinhof.
Il titolo della foto di cui ho parlato era: Henrietta, Big Nude III, frutto di una serie di scatti fatti per il numero di ottobre dell’anno 1980 di French Vogue.
Per la cronaca: il nome completo della donna ritratta era Henrietta Allais, mezza francese, mezza cherokee, di professione modella e di origine statunitense.
Per i registri contabili di vendita delle case d’asta: scatto battuto a 482.500 dollari americani nel dicembre del 2008.
Quando ho visto la fotografia istituzionale e per ciò intendo la fotografia collezionata nei musei che ho frequentato tra l’Europa e gli Stati Uniti, ho avuto sempre in mente Henrietta, Big Nude III e gli altri scatti di Newton di quella serie che poi,di fatto, videro la luce tra il 1980 ed il 1981.
Forse per senso di appartenenza: sono nato sul finire di gennaio del secondo dei due anni.
Le determinanti personali hanno sempre il loro percorso indomabile su di noi.
Due anni fa, prima di un viaggio attraverso il continente nordamericano, frase molto kerouchiana a cui sono gelosamente legato, decisi che dovevo procurarmi una macchina fotografica a pellicola, oltre che ai soliti blocchetti per scrivere, libri da leggere, musica da sentire ed eventuali strumenti musicali da suonare con amici musicisti.
Mia zia, situazione del tutto fortuita e al limite della stranezza, mi prestò una Chinon semiautomatica. Portai con me 8 o 9 rullini Ilford HP5. Allora per me erano solo dei nomi.
Non voglio fermarmi a parlare di quello che c’è stato di mezzo – l’inizio da ignorante ed autodidatta poi guidato felicemente da una mano sapiente, non voglio cadere nello trappola di pontificare sulla fotografia, poiché non me lo potrei minimamente permettere.
Dico solo delle cose semplici, dirette e spero oneste – Hemingway, grande impostore, ripeteva ossessivamente “scrivi la cosa più vera che puoi” o “sii uno scrittore sincero e coraggioso”, somma menzogne di questo calibro - sperando di non scivolare nel tranello del pescatore di marlin.


1. Sono interessato alla vita e ancora di più alla vita per le strade.
2. Sono interessato alla vite delle persone quando scrivo; quando fotografo ragiono sui luoghi dove vivono, parlano, esistono, si relazionano e transitano, in cui magari non ci torneranno mai più.
3. La fotografia di strada è democratica. E la democrazia è nelle strade.
4. Lavorare con mezzi & materiali modesti ha il suo prezzo e il suo tornaconto.
5. Considero la pellicola, e soprattutto specifici tipi di pellicola, alla stregua della carta riciclata che ho utilizzato per scrivere migliaia di cose con una delle mie macchine da scrivere.
6. Non ho un riferimento né un maestro, ho solo buoni o cattivi consiglieri.
7. Helmut Newton & Terry Richardson sono due che non mi annoiano mai.
8. Amo le cose abbandonate come la grandezza.
9. Non è l’oggetto che trovi in strada che non è degno di uno scatto: sei tu che sei impreparato e tendi al fallimento.
10. Parafrasando Neil Young, continua a scattare nel mondo libero.









venerdì, ottobre 18, 2013

Ho dimenticato gli occhiali a casa








Gente pervasa dallo squallore
alle 6.00 della mattina
infiocchettati con giacca & cravatta
comprati l’anno prima ai grandi magazzini
in una vendita di stock pubblicizzata da mesi

un fine sera
dove non si può sentire l’amore
con i soliti John Lennon o Elton John su
a barcellona come a new york:
non chiedere di ritornare qui, caro mio

se il giorno dopo
vuoi andare sotto casa di tua madre
che è morta 12 anni prima
& mettere dei fiori
allora, bene bene bene

forse non sei pronto
per il pranzo con i potenziali suoceri
forse guardi troppo dentro & dritto
nel fondo del loro lavandino della cucina
(ossa di pollo disossato & verdure maciullate, nient’altro)

questo è tempo vero
tempo in diretta
lo puoi proiettare su un muro
dire qualche parola di contesto
ma sai bene che il contorno è tutta un’altra storia

signorina
chiedo scusa
ma ho lasciato
gli occhiali da vista a casa
& non leggo bene.






Guerra Civile Americana







Do the Oz






Babe.


domenica, ottobre 06, 2013

Presentazione di DISTRETTI







Tracklist




Do you love me
The Singer
Your funeral my trial
Jubilee Street
Little empty boat
God’s Hotel
Higgs Boson Blues
Rye Whiskey
Dig, Lazarus, Dig!!!
Children
Jesus of the Moon
Night of the Lotus Eaters
More news from Nowhere
When my baby comes
When my love comes down
Stagger Lee
We No UR
Fifteen feet of pure white snow
Opium tea
Carry me
Albert goes west
City of Refuge
Hiding all away
Hold on to yourself
Muddy water
And no more shall we part
Push the sky away
Easy Money
Palaces of Montezuma
Midnight Man
Moonland



Da Nick Cave and the Bad Seeds;Grinderman.



Una persona a me vicina



Una persona a me vicina, sul finire di una mattinata di settembre di quest’anno, quindi pochi giorni fa, ha avanzato una richiesta.
Perché non metti giù, su una pagina, una sintesi di tutte le cose che mi dici sulla fotografia durante i nostri appuntamenti in laboratorio.
Per uno che scrive non sarà difficile.
L’ultima frase lui l’ha detta in totale buona fede, ma sappiate che crea una difficoltà di natura ideologica ed un contrasto di fatto sul versante morale, proprio ed esclusivamente per una persona che scrive.

Iniziamo col dire che nella maggior parte della mia vita sono stato un autodidatta.
Con le libertà ed i limiti che ciò comporta.
Salvo che in casi marginali, non ho mai avuto maestri in carne ed ossa.
Ho sempre avuto solo me stesso e la mia testa, buona o cattiva che sia o che fosse, ed i cd. riferimenti da cui ero attratto.
Sempre avuto una spiccata tendenza allo sperimentalismo.
E mi sono detto, quando la vita me l’ha permesso: vai, vai, vai.

La musica è stata la mia nazione.
E’ stato un qualcosa dove stare, qualunque cosa facessi o mi capitasse.
Lo scrivere, o se vogliamo dire “la letteratura” (ed in questa includo forzatamente ed impropriamente la storia e la filosofia come discipline) hanno rappresentato il mio stato di cittadino.
Pochi dubbi a riguardo, signori.

 La fotografia è venuta da lontano.
La fotografia era una di quelle cose che nella vita si sdegnano e addirittura in certi contesti esistenziali, si detestano.
Era una di quelle di persone che non sopporti. E che se riesci, denigri, spettegoli, ed arrivi fino a reputare qualcosa di inutile.

Due anni e mezzo fa, alle 4 di mattina di un’ennesima notte non dormita, poco prima di in un viaggio attraverso il continente nordamericano, oltre alla musica, oltre ai soliti blocchetti neri su cui scrivere, ti chiedi chi può prestarti una macchina fotografica.
Per la sola cronaca, e niente più, è stata mia zia; una Chinon, semiautomatica e tante grazie. Saluti.

Comprai in tutto 9 rullini prima della partenza; a Washington e a Baltimora ne presi altri.
I nomi: HP5 Ilford.

Non ho mantenuto la promessa a chi mi aveva chiesto di mettere su carta le mie congetture sulla fotografia.
Forse non erano così indimenticabili.

Per certe cose ho un gusto indiscriminato per la parola, parola parlata.
Io e lui questo lo sappiamo; e continueremo a parlarne.