sabato, maggio 23, 2020

N.O./43


Un vecchio stereo fa suonare i Dead
da ore & ore & da un ventennio
una tomba scossa in un mazzo di carte
la frontiera senza amore ha un nome

visto passare un lungo convoglio
caldo come la canna di un fucile
freddo come l’unico proiettile rimasto
seduta in una fossa rossa, è andata

qualche volta non ci rimane che ridere
continuare a ridere & guardare
il vento & la terra gravitano
un cespuglio & un alligatore si muovono

proprio come avevo detto
tirati via quella via quella faccia
tenera tenderloin in fiamme
una via per un’altra non per il vicolo K.

venerdì, maggio 22, 2020

N.O./42


Quello che dovevo dirti
&’ tutto qui
non è stato il passare degli anni
né lo stare sulle banchine del porto di L.A.
né quando ti ho ripotato in Europa
non sappiamo che fine abbia il mattino.



sabato, maggio 16, 2020

N.O./41



Il dramma
la tragedia
come sola forma di vita
Bob Dylan
Jerry Garcia
le Presidenze Americane
una scatola vuota
la scatole di Cornell
gli esperimenti con gli acidi
il redentore in ciabatte fuori
in un parcheggio di motel
il MOMA & IL MET vuoti
fin dove possiamo
andare al molo prima delle cinque
& mettersi le mani in tasca
& fotografare quello che si ha davanti
o scriverne sempre per avere negli occhi
la memoria, le persone, i luoghi.

sabato, maggio 09, 2020

N.O./40


Note su Canal St.
su come ogni altra strada
svolta &d entra nella città
ad est come ad ovest.
Chi vive & chi muore
chi decide di andare avanti
sono le le cinque & un quarto di mattina.





N.O./39



Nella hall di hotel su Canal
tante volte come altre
con la pianista della serata
santa madre chiesa attende
senza un nome
in fila per il suo turno.




N.O./38


dalle nove di sera
fino alle sei di mattina
sono sempre io che ti parlo
in questa mattina
sono io che ti parlo
con questa voce
rauca, dissolta, flessa
che ci creda o meno
per lo zucchero
che frigge in padella
per lo zucchero che incontra
il dio delle sei di mattina.


N.O./37



Le 4 di mattino di fine dicembre
diceva il Maestro L. COHEN
ma quello che abbiamo dato a lui
non è qualcosa che viene ripagato

ripuliti per mesi 
in una stanza di motel ad Albuquerque
quando nessuno sapeva che dopo le 2
dovevo mettere un tavolo &d una sedia
contro la porta per non far entrare nessuno

per non sentire frasi come
ti vedo meglio, ti sento meglio
fai faville dio santo
LA TUA MACCHINA DA SCRIVERE!
tutta quella frenesia tipica dei ventenni
che vogliono fare gli scrittori
dominare il mondo con il loro primo libro pubblicato
& che non sanno che non ne basteranno altri undici

andando in giro
inondando le strade di parole
bivaccando bar, casinò, strip club
& molte altre cose come chiese & cimiteri

vantarsi di un sigaro appena acceso
sulla gloria di un mondo che sta crollando
sono io, sono io il nuovo profeta
& qualche volta queste cose succedono

in una libreria, in una biblioteca
ad una mostra per i tuoi scatti sulla decadente America del XX Secolo
un doppio album di Dylan comprato in uno scantinato di Amsterdam
per una partita andata male di xxxxxxxxxx

nessuno conosce il tuo intervistatore
mentre nessuno ti conosce veramente
& allora ti chiudi per giorni nei bar
o nelle camere di albergo che ti avevano tolto per strada

proprio quella notte di luglio in cui Whitney
prese a riversare le pupille per una pastiglia di troppo
IL GRANDE TRENO TRISTESSA di JACK KEROUAC
sono solo le porte del paradiso amico, allontanati.



venerdì, maggio 08, 2020

N.O./36




Per una volta nella vita non devo guardarmi le spalle.
Non che ci sia mai stato qualcuno a farlo.
Da tanto tempo non ho quella necessità.
Di necessità ne ho molte altre, ho persino dipendenze che vanno dai nomi di persone oltre che di multinazionali di liquori, ma se state dietro, guardate pure. Lo spettacolo costa poco e di sicuro sta iniziando, lo spettacolo avrà inizio, su questa o quella strada. Un modo come un altro di passare del tempo di cui riesco a rivedere tutto, dal falso all’amaro provato nelle vene, nelle articolazioni esplose, nella corsia di ospedale imbrattata di liquidi che uscivano dal suo corpo e parti del suo corpo che uscivano, blaterando, smembrando il suo cervello sfondato, come se tutti noi, o almeno tutti gli autoproclamati senzienti avessero mai smesso di pregare negli antri solitari e decrepiti di questo mondo, ovunque si trovino, o che avessero smesso di trafficare dietro l’angolo -Platone Angelo Nero Assoluto-, nessun commento a riguardo - PANA. A questo punto si potrebbero introdurre vari tipi di discorsi, parole di persone differenti, argomentazioni più valide di altre, ma non posso dimenticare di parlare della mia famiglia se non fosse, che ero stato io a lasciarli e poi sono loro che se ne sono andati chissà dove: forse sul Confine del Mondo Occidentale, quella parte di crosta terrestre che ama terribilmente tremare ed essere una minaccia costante per l'Umanità Intera. Intendiamoci, mettiamo bene in chiaro. Non che le cose possano cambiare. Le cose cambiano. O meglio: le cose cambiano anche di continuo, ma chi può giurare che le persone cambino. Neanche un trapianto di cervello cambia un alce o un corvo. Mi dicono che a quest’ora, le temperature su Venere e su Marte siano ingestibili, per non parlare di quella sugli anelli di Saturno. La Stazione Internazionale dorme un sonno profondo fatto di assenza di gravità, di somministrazione continua di massive dosi di psicofarmaci iperconcentrati e come contorno, dei cesti gonfi di alette di pollo fritte e liofilizzate per l’approvazione del Vecchio Generale in tutta la sua prosopopea Sudista. Tutto in contemporanea, anche dove non si riesce ad arrivare, come ad Hanoi nel ’75. Gli elicotteri che si staccano dai tetti cosparsi di pece di un’ambasciata senza più una bandiera. Frangenti così avulsi dal quello che indora la tanto tiepida e tenace esistenza delle persone che ci stanno attorno. Un preludio nella stanza al piano terra senza tende su Rue Philip. Per una sola volta, una volta estrema, andrò. Mi butto fuori. Certo non che fosse in previsione. Il rimorchiatore galleggia sbavando sul principio dell’acqua del Fiume e di Nostra Madre Terra Malferma. La pagina presa a prestito e mai ridata, la pagina inchiodata nel bagno sul retro del Molly’s, i suoi odori ed un tavolo riservato pieno di polvere, caffè filtrato, forte e nero e un mano non più rapida e costante come una volta ma che non ha perso il suo istinto per gli animali vivi che si levano dalle mattonelle spagnole di questi marciapiedi fatti di fango, sangue, colore della pelle, emancipazione, schiavitù, jazz a luci oscuranti che fanno della penombra e dell’assolo il Regno della Divinità delle Carni, le frustate e le teste impalate a pochi isolati da qui, i carichi incessanti di cotone, di spezie, di dollari spezzati nelle tasche di una maîtresse di basso bordo, i denti incappucciati in chili di cocaina, in litri di eroina fusa per immolarsi alla Verità dell’Arte Inconoscibile del Sopravvivere. Tutti si augurano di essere trattati bene da un momento all’altro, da un certo punto della vita in poi, o almeno quando si pensa stupidamente di avere fatto il proprio. E’ qualcosa che ci piace raccontare a noi stessi, per girare la testa dall’altra parte del cuscino e violare le parti del corpo che da piccoli ritenevamo sacre perché così ci era stato detto avvicinandoci sempre più alla morbida idiozia di un altro mattino che viene a bussare alla porta di casa con la discrezione di un assassino seriale. E poi, il Cristo che non prende più parola, le Chiese delle Congregazioni del Sud arse fino alle fondamenta immerse nella contaminata falda acquifera. Parliamo di quaranta anni fa. Parliamo di rivoluzione, di rigenerazione, di fatti inimmaginabili e dimenticati, sepolti nell’irrefrenabile calore di un cucchiaio e di un ago. In quel periodo si dava morto chi si dava per morto. Il futuro non è mai certo come l’indomani evocato dall’Uomo al Potere, o viceversa. Significherebbe che avremmo ceduto in un momento, magari guardando una ragazza bersi un lungo e ghiacciato frullato alla banana, risucchiandolo fino al fondo del bicchiere con la schiuma lasciata solo per un’altra rivelazione sul Mondo, che non sarebbe servita a nessuno. Qui c’è un posto davvero particolare, aspetta, appena girato l’angolo, abbi solo un po’ di quotidiana pietà. Ecco chi siamo: la pietra più recente di questo terreno cedevole che una volta chiamavamo Dimora, la tenda della Testimonianza coperta dalla Nube. Ora la Dimora ha l’aspetto di un fuoco che sembri non dover smettere mai. Ancora qualche passo, ancora un po’ di strada. Ci si possono incontrare persone davvero speciali, li definirei degli artisti della vita, gente che non ha l’ambizione o la cieca spudoratezza di voler fare l’artista. Chi mai lo farebbe al giorno d’oggi. Chi si metterebbe in ginocchio su questo terreno malarico a farsi mangiare mani e braccia dal parere altrui, dalla critica, dalla diffidenza, per intascarsi pochi centesimi, dalle promesse fatte per essere disfatte con il primo biglietto di ritorno. Sono proprio questi apostoli delle versioni conclamate, delle versioni ufficiali, questi animali prestati ai soliti rituali che opprimono la sfera chiamata Pianeta Terra. Mattina, pomeriggio, sera e notte. I quattro governanti che vediamo scolpiti nelle montagne, le ultime quattro carte che ci possiamo giocare. Il posto è qui. Hai portato i soldi, vero? Ti faccio le mie scuse per loro. Sai come vanno in certi casi certe situazioni. Li conosci. Sai come funzione. Scappa una parola, una smorfia un po’ accentuata, un giro non ricambiato. Facile trovarsi a terra, faccia, spalle e mani. Prenderle qualche volta rafforza. Ma guardati, sei ancora su come un toro della finanza. Dovresti iniziare a bazzicare nei rodei credimi, ti vedo bene lì, si fanno bei soldi, belle ragazze e bevi finché vuoi e tutto quello che vuoi, magari per venti anni di fila, basta solo metterti d’accordo con chi maneggia il baraccone. Mi faccio capire, credo. E dai un segno di vita ogni tanto. Sai, sei deprimente. Solo perché ti trovi mezzo morto in un baule di una macchina che sta spingendo a centottanta su una strada che fa letteralmente schifo, non te la puoi prendere con me, forse non dovresti neanche prendertela con te, anche se sai che per quello che hai fatto viene sempre qualcuno a prenderti. Lo accetto. Non mi vuoi parlare. L’altra metà della morte ti aspetta appena oltrepassiamo il confine. Ho un posto tutto mio là. Stai tranquillo che non ti troverà mai nessuno. Se proprio deve essere, una bella famiglia. Non parlo di esseri umani, ma di rettili, alligatori, mio caro. Prima dei trenta anni mi chiedevo perché non mi lasciassero fare quello che volessi. Mi bastavano poche cose. Un taccuino, una matita, un litro e mezzo di caffè fino alle cinque del pomeriggio e la panchina davanti al fiume. Dopo di ché sarebbe iniziata la serata con le ragazze e con i ragazzi. Il jukebox, le birre, il bourbon e quindi di nuovo il taccuino e qualcosa per scriverci dentro se ancora ne fossi stato in grado. La ragione è che non importa niente a nessuno e che a nessuno cosa scrivi e perché lo scrivi. Ti vedono come l’ennesimo disadatto su un bancone lungo venticinque metri, incollato con lo sguardo a quella infinita bottigliera che ti sta davanti e che ogni notte monta per sommergerti e farti tornare nella tua stanza di motel per sopravvivere alla distrazione che il dio degli kwakiutl ti ha lanciato contro con la sua nube che corre. Poche regole valgono per una vita, figuriamoci per più esseri umani. Chiamiamoli con il loro nome di viaggio, Essere Umani. Coscienze Viventi. Consumatrici di Atomi, in quanto costituiti di questi. Non ti lasciano mai fare una cosa se sei troppo bravo a farla. Purtroppo non è stato il mio caso e nemmeno il tuo.