venerdì, marzo 28, 2014

Il volto di Cristo a Philadelphia (2011)








Il tuo amico è stato qui
& per qui intendono Roma
& per amico Obama

il nostro presidente
ha incontrato la tua star
napolitano &d obama

il libro di gordon parks
è stato di certo danneggiato
dall'acqua

& non è normale
che piova sempre in casa
quando sai che sei tu

certo che i tuoi amici
ti hanno fatto un bel tiro
quasi un colpo in testa

poi pensi a quello che hai fatto
chi c'era
chi era

una nemesi del circo
dai bimbo risvegliati
gli anni passati

nella tua mercedes non dichiarata
può capitare di sintonizzarsi
sulla radio sbagliata

c'è una soglia
& quando la passi
stai andando a morire

& non ci sono presidenti che tengano
quando sei tutto solo
& ti rendi conto

che tutto quello che hai scritto
è già stato scritto
& senza odio, incominci a detestarti

pensi a quello che poteva essere
ma chi ti ha mai raggiunto
era una donna.










sabato, marzo 22, 2014

Mandela








Vita,
vita a dismisura
vita a perdersi

parlavano di un uomo libero
libération
è stato incatenato trenta anni

sì però,
era un uomo libero
vai pure a chiedierglielo amico di libé

vita fin dove arriva
un segno nella terra
uno nel tuo taccuino.






Elton John

Una donna che si sa truccare da sola










L’ho vista prima di entrare in banca: era mezzogiorno.
Ho capito subito che lavorava lì e che era in pausa, spalle contro il muro, per fumarsi una sigaretta - cose banali come queste. Anche lei mi ha visto dato che ci siamo guardati.
Sono entrato in banca per fare quello che dovevo fare e lei mi ha seguito ed è entrata dopo di me; ci siamo messi in quei cilindri di cristallo antirapina con le pareti scorrevoli che tanto mi meravigliavano da bambino.
Sono dovuto uscire e rientraci due volte per depositare il metallo ossia interi mazzi di chiavi e monete, in una cassetta esterna; ho scelto la numero cinque visto che la mia filosofia in materia di numeri ha sempre teso verso la natura dispari (delle cose), ad eccezione del numero quattro (cinque, sette, nove, undici).
Credo che lei, questo, l’abbia notato.
Capelli rossi ondulati tirati indietro, due occhi da un buio pesantissimo di un ombretto nero - la morte della pizia - pelle lattea screziata e compatta, uniforme, dura, altezza buona, buona per me.
Quando ero allo sportello me la sono ritrovata davanti mentre si piegava per prendere e rimettere dei documenti da un grande schedario metallico grigio, cose tipiche da uffici, filiali di banche.
Un vestito sintetico intero anni Sessanta con disegni rigidi, geometrici, stondati, gialli, marroni, neri.
L’unica cosa che mi ha turbato era aver visto all’esterno della banca, all’anulare della mano sinistra, due anelli, dita ossute e filiformi; una pietra brillante ed un fermanello dorato. Una fede? Oppure solo un fermanello: magari l’anello con la pietra era solo un cimelio di famiglia della nonna materna. Questo era l’unico freno che ho avuto nel pensarla sessualmente senza alcuna riserva.
L’impiegato che mi stava servendo, deve aver notato che non le staccavo gli occhi di dosso.
Di sicuro la mia faccia avrà assunto un tono, una colorazione non del tutto convenzionale e deve essersi anche preso un accidente visto che ad un certo punto l’ho colto che mi fissava con uno sguardo sbarrato; non aveva mai assistito ad un uomo che guardava una donna in quel modo.
Nella mezz’ora passata all’interno della banca, mezz’ora da mezzo giorno in poi, le ho visto fare di tutto.
Guardare in terra, muoversi, battere sulla tastiera di un computer, guardarsi le dita delle mani, annodarsi alle dita il filo del telefono vaneggiando, prendere una pratica, esaminarla, interrogarsi, guardare al soffitto, sbuffare, riporla, rovistare nell’astuccio del trucco ed estrarre un lucidalabbra rosa e baciarsi le labbra, aprire la bocca e parlare, piegarsi e farmi vedere le gambe oltre a tutto il resto del corredo.
La cosa di lei che ho più apprezzato è stato il fatto di andarsene in giro con quel trucco sulle palpebre.
Con le donne che ho avuto ho sempre avuto violente discussioni in merito. Non volevano farsi gli occhi neri - la morte della pizia.

Dopo aver chiarito la provenienza di quegli anelli, con lei potrei avere la strada spianata ed un motivo in meno per litigare.





venerdì, marzo 21, 2014

Revote for Miles

Acqua bollente su tè





Niccolò Alberici non si legge né si guarda, si percorre muovendo passi oleosi nell'oscurità. Protetti da un buio ancestrale e amico, sciagura e splendore di ogni nostro tempo dove ciò che riluce è sempre più in là, oltre il bordo bianco di una cornice. Le sue storie si ricevono come un pugno nello stomaco che piega e riflette sulla radice del male che è vivo in sé e privo di qualsiasi riscatto. La redenzione è roba di spirito e qui noi siamo intrisi di incontaminata umanità. I suoi scatti sono nebulose divine che solo nell'istante prima dell'imprimere fanno pensare ancora ogni cosa possibile, poi arriva il fermo in cui solo qualcosa, lucidamente, è compiuta e irreversibile. E nella consapevolezza del vissuto arriva, ultima ma piena, la grazia. Strofa dopo strofa come acqua bollente sul tè di un sabato pomeriggio qualsiasi, in qualche parte del mondo.




Giorgia Monti
Poetessa
Editor Cicorivolta Edizioni

giovedì, marzo 20, 2014

Cara Prudenza








Cara la nostra prudenza
un giorno
uscirai a giocare

niente fischi
grembiuli
verrai con noi

quando usciamo
& diciamo
cara la nostra prudenza

quando ci diciamo
guarda il sole
così forte

forse è meglio
che ti fai
un'altra dose.




mercoledì, marzo 19, 2014

Quello che ti lega a tua madre









Quando non hai niente
che ti lega
che sia tua madre
o la terra

quando
sei vestito bene
& hai un doppiopetto blu
& fischietti

noi continueremo
a farci vedere
attraverso

lascia solo
che ti dicano
il loro nome

quando sei
in coda.


Lennon

L&G, Roy Buchanan










Sua madre era in veranda
& lui aveva ventitré anni
anno in cui decise di alzarsi

lei gli chiese di mettere su
un disco di eric clapton
lui lo fece

lei gli chiese ti piace
mi prepari un gin tonic
fallo come sai farlo

devi passare in banca
quanti soldi ci sono rimasti
devo chiamare quello stronzo di tuo padre

dai alza il volume
dopo passa tua zia
con l'arrosto

è un bene che tua sorella
se ne sia andata a vivere con lei
con loro

noi abbiamo le nostre cose
i nostri tempi
loro non capiscono un cazzo

solo lo stipendio a fine mese
ti avrebbero fatto finire
a lavorare nelle poste

mica un drammaturgo
ora mi telefonano
questi coglioni di parenti

per dirmi che ci avevo visto lungo
cristo, ci avevo visto lungo
su mio figlio

te l'ho detto quelli ti avrebbero fatto finire alla posta
a leccare i francobolli
sono sempre stati dei gran coglioni

ad assentire
a rincasare
ad accettare

ad incassare
ogni giorno
come un altro

invece ora vai a mosca
a londra new york
e altri posti

mean ol' frisco
mi piace da morire
alza.







martedì, marzo 18, 2014

Talos Edizioni, Distretti











Niccolò Alberici è nato a Milano nel 1981, dove tuttora vive e lavora.
Ha pubblicato: Qoelet Blues (2009) Ed. Aletti, Blues dell’Anima Rossa (2010) Ed. Acquaviva e Cronache del vissuto inverno (2011) sempre con Acquaviva editore, oltre a numerose altre opere pubblicate in formato digitale.
Gestisce un blog (http://straight-faced-blues.blogspot.it/) molto seguito e apprezzato in rete.
Nel 2013, con Distretti (Talos Edizioni) Alberici conferisce forma e sostanza, attraverso un’opera coraggiosa e ambiziosa, per mole (504 pagine) e tematiche trattate, a un disordine esistenziale che ha ormai preso il sopravvento all’interno di ogni “paesaggio urbano” occidentale.
Tutte le liriche dell’autore, crude ed eleganti al contempo, sono accompagnate da un suo scatto fotografico; la fotografia è l’altra forma espressiva che Alberici ha scelto di affiancare alla scrittura.
Le fotografie che appaiono insieme ai brani sono a volte profondamente contestualizzate e a volte totalmente decontestualizzate; stupisce la simmetria sostanziale tra quanto scritto e quanto scattato. Le immagini, prese singolarmente, sono scatti senza tempo.
Adotta, per scelta, macchine fotografiche semplici, ancor meglio se usate e con imperfezioni: il suo unico punto di riferimento rimane la pellicola in bianco e nero.
La sua è, in definitiva, una fotografia narrativa, di immagini, messaggi.
In un suo brano apparso sul blog (“Continua a scattare nel Mondo Libero”, http://straight-faced-blues.blogspot.it/2013/10/continua-scattare-nel-mondo libero_22.html, citazione parafrasata di un celebre brano di Neil Young) dice, in una sorta di decalogo esistenziale del suo intendere la fotografia, o, se vogliamo, un suo manifesto fotografico:  non è l’oggetto che trovi in strada a non essere degno di uno scatto: “sei tu che sei impreparato e tendi al fallimento”.
Alberici è un artista totale, pienamente immerso nel suo tempo, un “cronista in versi” che fornisce ai suoi lettori un autentico “manuale urbano di sopravvivenza”.
Con i suoi scritti e i suoi scatti, Alberici denuncia la scomparsa di un destino umano condiviso, letteralmente inghiottito dal cemento figlio del dilagare di una sfrenata globalizzazione che infligge all’animo dell’uomo, sia egli di Milano, Roma, Amsterdam, New York o New Orleans, le stesse identiche e profonde ferite che l’uomo ha inflitto alla Terra.
Le narrazioni, nella duplice forma della parola e dell’immagine, si intrecciano inestricabilmente con la vita dell’autore, le sue esperienze, la sua voglia di libertà.
Alberici sprofonda tutti noi in un gorgo di vite ai margini, uomini che consumano la propria esistenza scrivendo racconti in anonime camere d’albergo sature di musica jazz, blues, rock, accompagnati da drink notturni e da una lucida visione d’insieme, profetica, del mondo.
Il senso, inesorabile, si palesa pagina dopo pagina, fotografia dopo fotografia: le città che l’uomo moderno ha costruito con crudele pazienza, non sono meno feroci della più primitiva giungla.
L’orrore è sempre in agguato, così la speranza.

                                         

                                                                                             Osvaldo Tartaro
                                                                                             Talos Edizioni





lunedì, marzo 17, 2014

Come una famiglia









Riconduceva quel suo indomabile gusto
per le frattaglie & a friggerle di giorno
di qualsiasi animale fossero

a quello che le avevano
insegnato a scuola
la dedizione alla carne

al sangue e al corpo di cristo
imperniato sul senso della colpa
del sacrificio & del peccato

non guardava molti film
anche se una volta al mese
si rintanava in un cinema osé

& lì fantasticava su un collega di lavoro
oppure si piangeva addosso
dando sempre la colpa

a quegli insegnamenti
che d’altronde avevano creato
generazioni di castrati & frigide

almeno per chi gli stava dietro
si era domandata
più di una volta

da che parte stare
casa, ombre
piazza, non sapere

perché cambiare vita
se tutto poteva essere mantenuto
secondo un determinato equilibrio

a cinquant’anni si ritrovò
in un cinema
a mangiare pollo fritto

mezz'ora prima che il film finisse
si consolò con il fatto
di dover ancora fare la spesa

come una famiglia
che sia più o meno cattolica
che viva o meno nei sobborghi.










Lou Reed

Lou Reed

domenica, marzo 16, 2014

Lou Reed

Lou Reed

Lou Reed








Lou Reed

Lou Reed

Il sedile sul retro









I.
Sapeva due cose:
che suo padre
era un portinaio

di un complesso industriale
con una qualche imputazione a carico
oramai prossimo alla pensione

& che sua madre era una mezza disabile
almeno per il sistema pensionistico
l’istituto nazionale della previdenza sociale.

II.
Scesa in metropolitana
diede dei calci forti
al pavimento in plastica nera

per togliersi una cicca
dalla suola della scarpa destra
scarpe non così vecchie

poi si avvicinò al distributore automatico
prese una coca
che dopo il primo sorso sputò.

III.
Perché troppo zuccherata
& insopportabilmente sgasata
gettò in un cestino ad ventina di metri

la bottiglia di plastica
di certo non sono un dono
alle donne di questo mondo

così conciata
il sedile sul retro
non sempre mi dona.









Elton John

Iggy Pop

Johnny Winter

venerdì, marzo 14, 2014

Piazzale Loreto









E' il suo show
lei parla in questi termini
& le piacciono queste luci

prima ha fatto un giro del quartiere
non molto, un po' di rossetto
comprato alla upim di piazzale loreto

potrebbe farsi credere
appena uscita dal portone
ma si aggiusta solo la gonna

pagare, ho dovuto farlo
&d ho pagato
quello che devo fare.




giovedì, marzo 13, 2014

Uomo che si ritira







Un'altra trovata
un palo con scritto
parcheggia altrove

indeterminati
piovevano sui musei
partecipazioni, gente

falso, l'occhio si riapriva
prendeva a riaprirsi
dipanandosi

una volta
era il linguaggio
poi era solo il corpo

canzoni tristi
per lou reed morto
non molto da fare

con la faccia sul muro
cinque centimetri
in cui mettersi

non poter parlare con nessuno
molto bello, tutto
un paradiso comandato

di seguito, poi
le nostre vite
a catena

le nostre scene
proiettate
lou reed morto

la regina del giorno
la signora dell'interregno
spezzavano anfetamine

nella mia cucina
doveva essere
quel modo di esistere

molto facile
ritirarsi dopo
molto facile continuare.






Hard Working Americans

)

Attentati nel M.O.











Una serie di attentati aveva scosso quella città del Medio Oriente e aveva colpito le coscienze dell’intero Occidente, e del Mondo, anche se quest’ultimo fu toccato solo parzialmente. Dipendeva da nazione a nazione, da governo a governo, da interessi geopolitici ed economici.
Era il periodo in cui gli Stati Uniti  esportavano democrazia nel mondo e questo aveva aperto un dibattito senza fine nel cuore del Vecchio Continente, all'interno dei suoi spaccati, nelle sue aule politiche ed universitarie, nelle redazioni dei quotidiani dell'establishment, sui mezzi pubblici e nelle piazze.
Il mondo era inteso ora come terra, territorio, petrolio, scorie nucleari; meglio se Asse del Male. A.o.E. (Axis of Evil), cosa che noi traducevamo nella nostra antica lingua come l’Asse del Male. A torto o a ragione. Una breve lista di Paesi da annientare. Facile, efficacie. Il Male ed il suo asse.
Quel giorno era esplosa una cisterna a Manhattan. Si fecero molte ipotesi. Ci furono morti, molti feriti. Una cisterna da centinaia o migliaia di metri cubi che esplode. La luce che si inizia a vedere attraverso i cieli di una metropoli.
Poi poco dopo esplosero e caddero al suolo due edifici a Harlem. Gas: una trasandata caldaia nelle viscere della Harlem Spagnola.
Il contrasto che gli veniva era Haarlem, Paesi Bassi, Olanda ed era la serata che aveva passato a Brooklyn prendendo a pugni un proprietario di un locale che vendeva carne secca.
Invasa da islamici, piena di mussulmani: l'Haarlem olandese l'aveva raggiunta con un treno da Amsterdam in soli venti minuti.
Vedevano la luce. I tappeti, tappeti arrotolati e legati da un laccio emostatico, poi srotolati e stesi. La luce sui piedi. La gente piegata in Viale Jenner a Milano. Disprezzati. La giunta comunale per cui aveva votato, voleva costruire una moschea per loro, entro l’inizio dell’esposizione universale dell’anno dopo, nella sua Milano. La cosa lo lasciava del tutto indifferente.
Alle 3.50 di mattina, orario in cui era di solito sveglio, e magari già da molto, riguardò la bozza del verbale del consiglio d’amministrazione che come amministratore delegato era tenuto a valutare ed a votare. Progetto di fusione.
Bevve caffè nero e succo di pompelmo inondato di ghiaccio.
Qualche biscotto, succo d’arancia, un litro di perrier.
Seguì cinque telegiornali in tre lingue diverse.
Diede un occhio all’abito, alla cravatta, alla camicia, ai calzini, alle scarpe, alla cintura, al fazzoletto da mettere nella giacca. E tutti erano elencati sul suo portabiti.
Fece un lungo sospiro sul Mondo (con Le Monde sottobraccio a Parigi, mentre vagava sulla rive gauche, gonfiato da litri di vino bianco sfusi bevuti a fianco di una cameriera delle regioni del nord della Francia).
Esaminò il deodorante, il dopobarba da mettere sulla barba e il profumo: sui polsi, nelle mani, sul collo, sul torace, poco in faccia, qualcosa in testa, spruzzandolo dall’alto, battesimandosi.
Si guardò i tatuaggi su buona parte del corpo, fece una smorfia impaurita allo specchio, poi la tramutò in sorridente, ghignante.
Scese in strada, in anticipo.
Fuori dal portone vide l’autista e la macchina.
Lei conosce bene le mie abitudini.
Ha preso da suo padre, dottore. Ed io da suo padre ho imparato.
Già, mio padre.
Che cosa preferisce ascoltare: musica, radio o, silenzio. O vuole che conversiamo.
Converseremo. Mi racconterà di come ha riportato la signorina a casa ieri sera e sentiremo la lettura dei titoli dei giornali sulla terza rete.
Dove la porto oggi.
Abbiamo un’ora. Mi porti in Corso Magenta. E da lì andiamo allo stadio. Ho voglia di regalità e devastazione. Voglio vedere le macerie della guerriglia urbana di ieri sera.
Signore, è sempre un piacere. In Corso Magenta mi devo fermare, ci sono dei semafori: potrebbero essere già attivi. Vuole che mi fermi. O Vuole che mi fermi per contemplare qualcosa.
No.
Quindi dritti verso lo stadio.
Sì.
Velocità media.
72,3 kmh.
Il che vuole dire che dovrò avere punte di 150.
E’ il minimo.
Una volta con suo padre. Mi chiese una minima di 30 all’ora. Un pa…
Lo dica pure, un pazzo.
No volevo dire un particolare amatore della velocità su strada, in città. Non ce la feci. Mi trattenne lo stipendio per un mese.
Io queste cose non le ho mai fatte. La mia crudeltà se vogliamo, è più umana.
Sissignore, concordo, più umana. Lei vede le cose prima, come con la signorina.
O riformula quanto ha detto, oppure mi spiega il significato delle sue parole. Forza.
Signore, lei ha fatto moltissimo per quella donna.
Lo so. Ma, lo dica. Dimmi il ma, Franco.
Ma non può continuare a permetterle di ridursi in quegli stati.
La mia è una forma d’amore disinteressato e totale, o se vogliamo, in quanto disinteressato, per forze di cose, totale.
Quando suo padre mi chiese un consiglio su di lei, se doveva strapparla dall’università e farla entrare a tempo pieno in azienda, gli dissi, per timore di perdere il posto, azienda.
Ancora. Me l’hai detto per vent’anni. Che eri un vigliacco ed un codardo. E lui mi disse, mentre rideva a crepapelle, che sudavi come un maiale, in quel momento. Ma che avrebbe seguito il tuo consiglio, in tutti i modi, utilizzando tutti i mezzi, i metodi, le procedure a sua disposizione.
Mi dispiace. Glielo, giuro.
Cristo guida. Ancora con questa storia. Stai per andare in pensione. Per ricevere una liquidazione da capogiro. E piangi, ti lagni. Hai più di settant’anni e col tuo problema di salute non potrai più guidare nel giro di un anno perché di quella cosa ci morirai, perché sarai morto, Franco. Niente più macchine alle 5.20 sotto il mio portone. Niente più riportare la signorina a casa. So che la mia scelta con lei non trova posto nella tua tavola valoriale del bene e che non approvi quello che faccio con lei. Eppure sei stato tu ad essere stato in carcere, ad aver rubato, ad aver spacciato, ferito, ucciso, piazzato bombe per attentati. Sei stato tu che hai abusato di prigionieri giovini. Sei stato tu il porco, il male, l’asse del male. Sei stato tu ad essere condannato. Tu, vedi, tu, hai sempre pensato che nella realizzazione delle mie voglie più estreme, nella concretizzazione dei miei talenti, come li chiamavi, facile uccidere centinaia di persone e poi convertirsi, nel manifestarsi delle mie virtù, ci fosse la tua redenzione. La redenzione per il bello, la redenzione nella terra dei giusti. Invece io adesso ti piazzo questa pistola.
La solita pistola. Lo dica. Come nel film di Cronenberg.
Fermiamoci là.
Non faccia più di due colpi stavolta.
No. Mettiti il giubbotto.
Se mi permette, dottore, vorrei controllare la pistola e soprattutto i proiettili.
Gira per l’aeroporto.
Cosa.
Linate.
Come vuole, e dopo in ufficio.
No, come voglio io e dopo niente ufficio.
Mi scusi ma non ha quella riunione importante.
Non più.
L’ha fatto allora. Se ne è andato. Se ne sta andando. La prego non mi uccida qui in macchina, non in questa macchina.







martedì, marzo 11, 2014

L'ho scritto solo per Monterey







Dopo che i trucchi
sono finiti nelle scatole
& che non si ritrovava
più nessuno per aprirle

dopo che aprile è sbocciato
sotto la luce blu
di donne ingioiellate &d attempate
ma marzo è stato solo

& noi siamo stati soli
con i nostri libri
con i nostri occhiali
con le ruote della macchina

le chiese rapprese nella piazza
mamme & pappae
case con la loro faccia,
si poteva partire oggi.








Leeds

)

Young Man Blues

)

Now, with The Who

)

domenica, marzo 09, 2014

E' solo tempo di cambiare








Una luce maldiposta
luce velata di rosso sul tavolo
banconote non contate

anni a stare a guardarsi attorno
cattivi sogni
una vietta con in fondo un teatro

vapore prima che il sole salga
domande in stanze chiuse
uomini & donne vestiti in nero

una bambina attraversa la stanza
& dice il nome della città
in cui siamo & in cui stiamo.







Roxy Music

sabato, marzo 08, 2014

Inquadratura di quinta








Il professor Ashkenazi.
La scena si apre qui. Inquadratura di quinta.
Poi si riparte da sotto, dalle scarpe inglesi butterate e dai calzini di lana spessa a disegni scozzesi. Le scarpe sono tenute in modo impeccabile. Scarpe da lord.
Si risale lentamente. Le coste dei pantaloni di velluto sono come la fossa delle marianne nella pellicola. Sono dei solchi impietosi nella terra, dei tagli irrimediabili nella pietra, nella roccia.
I pantaloni di velluto sono color terra di siena.
La ripresa avanza, prosegue.
Sotto c’è un fondo sonoro molto forte, sono i Jefferson Airplane con la voce di Grace Slick che stacca l’intonaco dai muri e fa crollare le misere certezze degli avventori del Dry Martini di Barcellona.
Questa vicenda dei Jefferson Airplane è del tutto un’anomalia per questo locale e per la vita del professor Ashkenazi.
Prima di tutto perché al Dry Martini mettono su sempre la stessa identica selezione - Miles Davis, classic jazz ed alcune volte ci scappa Charles Mingus.
Secondo ed ultimo, il professor Ash. ascolta solo Bach, di rado Mozart e due volte all’anno Prokofiev, Sergej.
Chi ha voluto questa musica che il professore ha definito “immaginifica e blaterante, ma d’altronde in quegli anni là si viveva così e sa che mia figlia ci è morta di eroina, lsd e tutto il resto, proprio ad haight-ashbury, fu una delle prime morti di overdose; forse è anche per quello che detesto così tanto quella musica; ma rispetterò il contratto”.
La pioggia fuori nel quartiere Eixample.
Fin dove potesse arrivare e anche oltre. Triste giornata di tutti gli eskimo.
Era cittadino americano da anni e parlava sette lingue. Sfiorava un metro e ottanta di altezza ed aveva il volto ben rasato con un naso polacco o lituano piazzato in mezzo. Taglio degli occhi grande. Rughe in ogni senso e verso in fronte.
Seduto su uno sgabello era fasciato in un cappotto di cashmere cammello. Dopo che si era leggermente sbottonato si intravide il suo abito, un gessato doppiopetto grigio scuro segnato da filanti e suntuose righe azzurrine.
La camicia stessa era di un azzurro tenue con il collo libero da bottoni e leggermente cadente, allungato. La cravatta era di un blu notte screziata da puntinature malva.
Per fare omaggio al locale ordinò un dry martini, ma solo per assaggiarlo disse.
Gli american bar erano una passione ed una fissazione sia del regista che dello sceneggiatore che poi erano, in ordine,  sorella e fratello.
Ash. disse che alla sua età poteva farne a meno, farne a meno degli american bar, anche se aveva citato il Loos di Vienna. Aveva vissuto anni a Vienna.
Lui era sopravvissuto alla guerra ed aveva inventato discipline universitarie. Ed ogni anno sfiorava il Nobel. Confidò che non gli era mai stato conferito perché avrebbe seguito la scelta di J.P. Sartre e la reale accademia di Svezia non poteva permettersi di cadere due volte nella stessa tomba.
L’unica cosa giusta che hanno fatto gli americani nel ’45, è stato di non sganciare la bomba su Tokio. Io fui tra quelli che si opposero. Lo dissi a Truman. E lui ne sganciò due. Per otto mesi dovetti sospendere l’insegnamento.
Sì sapevo cosa stava succedendo a noi, nei campi. Ma di questo non voglio parlare.
Sì ci ho perso tutta la mia famiglia, e allora? Sono andato avanti.
Fece spegnere le telecamere e disse: si ricordi che abbiamo un contratto. Ha visto come è finito Nixon nella strampalata intervista di Frost? Pensi solo cosa possa capitare a lei, a parti invertite, qui, invertite due volte.
Come considera i suoi apporti alla filosofia, alla sociologia, all’antropologia dai suoi studi, dal suo lavoro che la contraddistingue da così tanto tempo in ambito accademico e non solo, perché tutti conosciamo la sua risonanze tra le masse.
Guardi di solito. No interrompa.
Riprendiamo.
Guardi di solito dicono: Marx, lo sa, questa è la vulgata, libretto rosso di Mao, Weber, Engels, Fromm o chi per lui, e poi tutti gli altri a cascata o alla rinfusa.
Poi sesto o quinto spunta il mio nome. Ashkenazi. Mi viene solo da ridere.
Perché le viene da ridere?
Perché mia madre mi avrebbe detto: vedi sei solo sesto o settimo.
Tu e la tua filosofia, tu e la tua arte. Dovevi commerciare in pietre, idealista.
Non ne capisco perfettamente l’attinenza. Lei rappresenta uno dei punti massimi del pensiero occidentale, del pensiero occidentale cristiano-giudaico-occidentale.
Sì questo lo capisco. Ma lei non capisce che io sono un uomo anziano.
Vede la vita va sempre così. Ci sono persone che fanno qualcosa. Ma fondamentalmente non sono così interessate a quel qualcosa. Lo fanno solo per vivere e sopravvivere e anche perché non saprebbero che fare di altro. Allora si mettono lì a studiare, a creare, a stupire.
Lei prima mi parlava del Nobel. I premi sono stupidi. I paragoni sono stupidi diceva Cervantes. La verità non è nei premi, ma nella realtà, che poi può essere quella di tutti i giorni, la verità è nelle persone. La verità è nelle visioni.
Mi perdoni, forse non tutti sono capaci di quelle visioni di cui lei sta parlando. Tenga conto che il 99% della gente là fuori non sa minimamente niente, di quello che lei sta dicendo, non sta capendo niente.
Meno male che ci è arrivata. Cara la mia amica e giovane regista, anche se più giovane forse non la si può chiamare, lei è sulla quarantina e deve ancora sostanzialmente incominciare a vivere, deve capire che noi tutti siamo limitati. Magari abbiamo delle intuizioni, ma poi quelle le pagheremo per il resto della nostra vita.
Io credo che lei si senta in colpa perché ha avuto successo, cosa che non ha mai chiesto e soprattutto si sente in colpa perché è sopravvissuto in questo modo alla sua famiglia.
Signori, vedo che qui avete una regista ed uno sceneggiatore preparati.
Domani qui, stessa ora, che iniziamo le riprese.
Vi informo che metterò più eau savage e berrò molto di più.

Ma il mio aspetto e la mia parlata, le mie parole, rimarranno impeccabili.