giovedì, gennaio 19, 2017

5, Rivisto









Un solo corpo, un solo spirito.

LETTERA AGLI EFESINI 4,4








Erano mesi che si era ritirato in quella roulotte. Nessuno sapeva cosa facesse dalle 5 del pomeriggio fino a notte inoltrata. Scendeva il colore denso sulle piante e al di fuori del recinto. Le guardava dalla finestrella. Una cassiera che lavorava in un centro commerciale ad oltre venti chilometri da lì, gli portava la spesa due volte a settimana. Carni, pane, alcolici, ortaggi, salse, spezie e qualche attrezzo ogni tanto. Lei arrivava con la macchina, suonava il clacson poco prima della roulotte. Lui usciva pochi secondi dopo con la postura e la faccia di uno che aveva lavorato ore ed ore in un mattatoio della mente. Oppure, semplicemente, in un mattatoio vero e proprio. Scendeva i tre scalini dalla porta della roulotte alla terra attorno, l’erba che ogni tanto cresceva e che stava intorno. Non aveva il telefono, pagava sulla parola e si faceva credere sulla parola. Lei lo guardava mentre scaricava le casse piene. Cosa sto facendo con questo uomo. All’interno della sua casa, la roulotte, c’era una zona adibita a camera oscura. Aveva un televisore, uno stereo, libri e dischi sparsi ovunque. Coltelli da caccia, un vecchio fucile. Si metteva sul divano a fumare, con i piedi distesi sul tavolino, una telescrivente poco distante, fogli sparsi attorno. In cucina, frattaglie di maiale messe a marinare per lungo tempo. Il tempo attorno e i temporali e una luce data, che arrivava da un generatore esterno. C’era un reperto della Guinea Orientale sopra lo specchio di quello che poteva essere chiamato ancora bagno. Stavano lì, nel suo giorno di ferie. La sua pausa dal mondo esterno. In un giorno di festa in città, la festa in città per i diritti civili, lei gli chiese di uscire. Scese i tre gradini, fuori dalla roulotte e si mise ad imprecare. Rientrò dentro e le disse, andiamo pure alla festa in città, ma prima devo dirti chi sono. Qualche mese dopo presero a viaggiare. La costa, l’interno del paese, gli altipiani, le pianure. Quindi venne il deserto, con la sua volgare spietatezza. Lei rimase in cinta e lui le scrisse una lunga lucida lettera in cui ribadiva quanto le aveva sempre detto, non sono per il matrimonio, non per la famiglia, non sono tagliato per essere padre, non so quanto tempo avrò su questa terra. Settimane dopo si recarono in ospedale. Il medico disse, mantenendo un labbro di sbieco: aborto spontaneo. Lei cadde in una depressione dagli esiti impredicibili. Iniziò ad andare nelle biblioteche e a leggere testi sacri, raccolte esoteriche e volumi di psicologia. Voleva risalire all’origine del suo male, studiando a fondo l’anatomia della sua esistenza, anima e corpo, fino al perché del suo corpo inservibile. Durante l'inverno la depressione cedette il passo ad un’altra forma di disturbo mentale, e questa aveva dei connotati più definiti: un perenne stato di esaltazione spirituale, a cui molti danno il nome religione. I suoi genitori erano stati dei convinti seguaci della Chiesa della Rivelazione Neuronale, ma lei trovò un movimento nato da poco il cui credo e missione riuniva varie discipline e orientamenti in due sole parole di colta derivazione: Atomismo Ascensionale. Così si ritrovò a passare giornate intere alla chiesa. Il Sacerdote Eletto, un uomo dal passato sconosciuto e oramai prossimo alla veneranda soglia dei cinquanta, vestiva camice a mezze maniche e cravatte con fantasie cachemire. Nei suoi interminabili sermoni si dimenava con mosse premeditate, calcolate, come le metafore soppesate che lanciava sugli astanti. Un inesauribile getto di fuoco, un pozzo di oro nero benedetto dallo spirito santo e consacrato ad esso. Divenne il suo faro, oltre che il suo amante quotidiano. Sul finire di una funzione la porta della chiesa si aprì e un uomo dalla sicura e solida complessione percorse l’intera distanza dall’entrata fino al pulpito e aggredì brutalmente il sacerdote. L’intera comunità di adepti era sconvolta. Urlavano parole come diavolo, anticristo, male assoluto. L’uomo raccolse il microfono che stava a terra vicino alla faccia gonfia e tumefatta del sacerdote e se lo portò alla bocca. Signore e Signori, non sono il diavolo. Sono solo l’uomo di quella donna seduta in quel bancone che continua a gridarmi contro e dire cose come perché mi stai facendo questo. Cara, io ti avevo detto chi ero. E ti avevo detto chi era questa gente e questo pagliaccio che adesso a stento fiata. Non sono il male assoluto, no. Diciamo che oggi, per voi, sono stato un male relativo e necessario. Convertitevi. La mattina del giorno dei lavoratori uscì dalla porta della roulotte e raccolse la posta che gli avevano lasciato sui gradini. Riceveva lettere di ammiratrici che talvolta si spingevano, oltre alla redazione di pagine e pagine dattilografate, ad inviare primi piani dei loro volti, o anche delle loro parti intime. Si era abituato alla routine di quelle mattinate con caffè, tabacco fresco e fotografie di donne in preda ad un esaurimento pan-erotico. Nei primi anni Ottanta si poteva affermare che tutto oramai era diventato sesso. Sesso ad ogni ora ed in ogni luogo, sesso nei cinema, sesso nelle video cassette, sesso nei bar, sesso per le strade. Cartelloni pubblicitari con vari menù di sesso, seguiti dalle facce sorridenti delle persone scomparse, seguiti dall’ultima offerta della più grande catena di fast-food della paese. Dammi #3 banconote da un pezzo e mangia per l’eternità. Chili di cibo fritto e sugoso, litri di bibite dolci e ghiacciate per famiglie sull’orlo della bancarotta. Messaggi commerciali studiati per anni dai pubblicitari delle grandi compagnie per far entrare tutti gratis nel supermercato delle nostre coscienze. Prima di pranzo aveva selezionato gli scatti da mandare al giornale. Dai provini a contatto emergevano dei tratti colorati attorno alle sue solite trentanove posizioni. La sua scelta battezzata da un pennarello rosso. Su quel foglio dal fondo nero c’erano delle miniature che ritraevano cancellate, tombe, croci, lapidi, bare scoperte e fosse a cielo aperto con ossa che spuntavano dal profondo del nucleo terrestre. Si trattava di un lavoro che aveva realizzato qualche settimana prima e che comprendeva un articolo di commento. Si poteva definire un classico reportage di denuncia sullo stato dei cimiteri della regione. Il degrado, la futilità della morte e come noi trattiamo i nostri morti, il titolo. Un unico grande piazzale di cemento delle nostre memorie fermo in buco nero a miliardi di chilometri da qui, senza consistenza, in assenza di tempo. Da quasi vent’anni aveva smesso di valutare se una cosa fosse buona o meno, in definitiva, si era tolto dalla testa di parlare del bene e del male. Vedeva tutto come un grande un distretto interplanetario, in cui tutto galleggiava condannato nella propria bolla d’acqua, dove tutto avveniva, indistintamente. Verso le due del pomeriggio prese da parte una lettera di una ragazza che sosteneva di vivere a ridosso del circolo polare artico. Si era firmata come Miriam. Sapeva che Miriam era il suo nome di battesimo. Di solito le situazioni più squallide sono quando un uomo ed una donna si lasciano. Cercano di riempire il vuoto inutile delle proprie vite con parole, gesti, esternazioni di un’infinita tristezza. Per loro non era andata così, lui aveva assalito e tramortito il Sacerdote Eletto. Storie, storie, storia. La vita scappa via, il fumo sopra le nostre teste. Se fin da piccolo impari che tutto può finire, che tutto è destinato a finire, allora puoi essere sincero ed onesto. Un sabato pomeriggio in cui la tua donna beve un frullato alla banana corretto con tequila e ti parla di un film da andare a vedere. Ok, andremo a vederlo. Quando? Martedì. Martedì è sempre un ottimo giorno per vedere film in enormi sale cinematografiche, vuote, costipate da odori di vecchi amori. Il giorno della funzione tutti si preparano per andare in pubblico, per lasciarsi una scia di benestare collettivo, una benevolenza concessa per un ultimo solo minuto. Sei stato lì, in piedi. Hai guardato la gente, i vestiti delle persone, i clown fumiganti prima dell’esplosione nel nome dell’irredimibile decenza. Dopo l’aborto spontaneo, nel giro di una mattina, Miriam iniziò a vestire in modo diverso. Abbandonò il trucco e l’acquisto di anticoncezionali. Lui uscì fuori dalla roulotte ed andò e si comprò un machete. Poi andò al bar verso le undici di mattina. E’ incredibile come si cambi nel giro di tre quarti d’ora. Che cosa. Le parole. Un’immensa ingovernabile liturgia parodistica. Dove siamo cresciuti e fino dove ci spingeremo. M. oltre al supermercato andava ad arrotondare come barista. Qualche volta aveva ballato. Di sicuro era una ragazza buona. Si guardavano per giorni nella roulotte, mentre lui si alzava e si metteva a leggere sul letto o a scrivere sul tavolo della cucina. Poteva Dio rientrare nelle loro vite. Lui le rispose, dopo qualche minuto. Innanzi tutto, chi è Dio. E poi in quale tipo di dio dovremmo credere. Quello che ha fatto il mondo e poi un giorno si è messo a riposare. Quello che da uno scranno su Giove ci ha giudicato e dannato. Quello del perdono, della misericordia infinita o quello delle reincarnazioni plurime. Un dio lontano e assente o un dio a pieno servizio, che quando lo preghiamo per i nostri bisogni ci accontenti come un distributore automatico. Dio dammi dei soldi, dio dammi una donna, dio dammi il successo. Quale dovrebbe mai essere il nostro dio. Che aspetto avrebbe. Come parlerebbe con noi. Dio forse, è la cosa più umana che esiste. Oppure dovremmo spingerci all’affascinante ipotesi di un dio della rivoluzione permanente. Lei si alzò, non lo guardò e gli fece notare che non era stata educata a ragionare in quel modo spregevolmente cinico. A lei era stato insegnato il valore della compassione e della speranza. Di risposta lui prese il registratore vocale e lo fece partire per incidere queste parole: senti questa sirena. Questa è la sirena della notte dei tempi. Va avanti da quando tutto è iniziato. Questo è l’unico Dio possibile. Il dio dell’emergenza. Devo ammettere che ho ancora il gusto in bocca. Ti vedrei bene nel letto, in una posa diciamo accogliente, completamente vestita di nero, una Venere Nera di Samotracia. Una splendida luce, intera, aperta; il solco della parola. La luce che si china epidemica, senza alcun segno di ritegno. La lista della spesa veniva compilata a più riprese. Miriam camminava per la roulotte. Metteva su un disco di Neil Young e poteva essere Harvest o Tonight’s the Night o Zuma. Con le sue manine decorate si metteva a ballare. Sai che sono brava in quello che faccio. Forse diventerò assistente di reparto o addirittura responsabile di reparto. Dopo voglio chiederti delle cose sulle ultime foto che hai fatto. Cosa ti è rimasto di Angola. Lo so che quando ti chiedo qualcosa tu rispondi sempre allo stesso modo: è vita, parlano di vita. E’-solo-VITA. Per te è facile. Ti rinchiudi dietro a quella parola. Ma che vita è. Di che tipo di vita stiamo parlando. E poi mi dici che non sono problemi tuoi. Che ognuno si dia le sue risposte. Dovrei forse essere ambiziosa? Mi preferiresti, ambiziosa? La guardavo, come sempre, e stava zitto, pensando quanto l’amasse o solo quanto la detestasse. Ma torniamo al 1982, un anno come un altro nel cordoglio della guerra fredda. Attentati, rapimenti, manifestazioni. Marquez vince il Nobel per la Letteratura, hanno proiettato film come Reds, Atlantic City e Blade Runner è una fresca profezia nelle tetre sale cinematografiche di West Hollywood. Corso ha pubblicato da poco Herald of Autochthonic Spirit e i Beats stanno spirando nel chiarore dell’esplosione del mercato finanziario. Bukowski ha di sicuro pubblicato un’altra raccolta di inediti. Cortazar potrebbe essere prossimo alla morte. Miriam leggeva riviste patinate commentando le vicende di attori o politici. Il sabato voleva che le passassi il RS Magazine. Utilizzava un lessico come una donna fa in certi passaggi prossimi ai quarant’anni, un lessico che comunicava dignità. Non passava le giornate a lamentarsi, a disquisire sul declino della civiltà occidentale, a magnificare il movimento pacifista e quello femminista. Condivideva, certo. Aveva le sue idee. Ma aggiungeva che dopo qualche conquista tutto sarebbe finito, come era iniziato. Era una donna che sapeva quello che doveva essere fatto e faceva quello che andava fatto, senza tante storie. Ogni santo giorno andava al centro commerciale a lavorare, faceva le sue ore e poi tornava alla roulotte. Non chiedeva idiozie del tipo, come è andata oggi, cosa hai fatto di bello oggi. Sapeva che non l’avrebbe degnata di una risposta. Entrata, posava la spesa e andava verso il frigo aprendo due birre, entrambe per lei. I replicanti alle porte dei bastioni di Orione. Dopo aver segnato nervosamente quel numero su un pezzo di carta volante prese su la borsa nera e se la mise addosso, in spalla. Usciva dalla roulotte, come quasi ogni mattina dell’anno. Miriam aveva ancora una piccola ammobiliata in città. Dispiaciuta finché si poteva, guardandosi allo specchio dell’ascensore che scendeva lungo la pompa appena oleata. Quante stagioni all’inferno nostro caro Rimbaud. Chi ti legge più. Sei solo un cadavere di carta sparso nei nostri cieli, nelle nostre discariche bianche di tossine di ultima generazione, sei solo un altro morto che cammina per i nostalgici. Questo è Paese in movimento. Qualche volta è la festa dei lavoratori, la festa della nazione, la festa della presa del carcere, la festa di tutta la pletora dei santi. La guerra è finita signore & signori. Tutti a casa, con tanto di mancia nel cappello. Tempo, tempo, tempo. Tutte cose che terminano con un buon fine. Tenere le mattine viste in cui gente incolonnata saliva sui mezzi pubblici per andare al lavoro. Una sosta drogata sul posto di lavoro. La sera a casa dalla propria famiglia davanti alla televisione. E domani si ricomincia. E’ passato così tanto tempo da quando si parlava in un modo differente. Un modo completamente falso, ma era piacevole essere così falsi. Adesso non c’è neanche più quello: la falsità è stata barattata con l’autocommiserazione delle masse. Ci guardiamo prima dei nostri stessi passi. Miriam raccontava anche queste cose, era il suo termine di invito per prendere parte alla sua sessualità minuta e debordante. Una notte confidò di avere visto il diavolo, faccia a faccia, in un sogno di mezzo pomeriggio. Era rosso e voleva impossessarsi di lei. Domeniche pomeriggio. Passaggi a vuoto. Fuori dai cocktail bar la gente ha ancora voglia di bersi lunghi & acquosi caffè. Iniziare a parlare del futuro, la settimana che viene, i piani per una stagione di pioggia. Destinazioni cancellate, perfino rimpiazzate. I giornali bagnati da macchie di tabacco che impregnano le colonne della politica estera. Gorbacev fa progressi. Glasnost, Perestrojka. Contenuti politici da stato occidentale. Si discuteva della validità della pena di morte. Iniezioni letali, cinghie di cuoio, scariche elettriche emanate da generatori nucleari. La fine che fanno certi detenuti in certi contee. Enormi luoghi di detenzione, sorvegliati e puniti. Il fiume che muove dalla tromba d’aria che sta per arrivare in città. Ci si parla per le strade, gli argini reggeranno una volta ancora. Miriam sta facendo ancora il suo turno. Filosofi inchiodati in cabine telefoniche e pensatori senza eroi. La vita nei boschi o solo quella a ridosso della palude. Zone di depressione terrestre che non verranno bonificate a favore dell’avvento di una quarta dimensione. E’ possibile che siano passati così tanti anni. Le elezioni alle porte anche se non ci si vuole mettere a danzare con quello che chiamano il mistero. Miriam, quando torna a casa. Quella sera iniziò a parlare in modo diverso, iniziò ad usare parole vuote e un certo qual senso di allusione a vicende spregevoli. Parlava di maternità, di andarsene via dalla roulotte, di cambiare stile di vita, di fare una vita più normale. Per la prima volta la guardava senza curiosità. Aveva preso a recitare il solito refrain di una donna a ridosso dei quaranta che si sente mancare la terra sotto ai piedi. Pensavo di essere stato chiaro fin dalla prima sera, Miriam, le disse. Di tutta risposta lei iniziò a dare di matto, urlando, tentando di prenderlo a pugni. La paralizzò. Iniziò a piangere e disse che non voleva abortire un’altra volta. Quella mattina poco dopo le 4 i vetri delle macchine stavano nel parcheggio ed erano tutti macchiati. Colavano umidità, sporco, l’escursione termica dei territori. Le notti con la botola della roulotte aperta. Alle 3 di mattina si alzava a fare quattro litri di caffè. Ogni tanto qualche amico le regalava della roba e la facevano fuori subito. Vivi facile, vivi veloce. Qualche volta il colore della notte è così ampio. Si parlano tra loro, davanti ad un piatto di uova ed una tazza di caffè. E’ ancora presto. Il mattino deve iniziare più tardi, in un altro modo. La terra dietro casa dove era stata bambina, iniziando a correre, girando in cerchio. La polvere che veniva alzata. Rocce, radici, rampicanti. Guardava Miriam in macchina, nelle strade attraverso i campi. Vedeva che tutto stava diventando dilatato, scuro ed esteso oltre la capacità oculare. Teneva le mani sul volante, cosa che non faceva mai.



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