domenica, gennaio 29, 2017

4, Rivisto












Anche questo fatto ho visto sotto il sole e mi parve assai grave:
c’era una piccola città con pochi abitanti.

QOELET 9,13















I Klimcko arrivarono una giornata del 1982. Ricordo bene la data perché quattro mesi esatti prima ero stato licenziato dalla falegnameria di Stato. Avevano comprato la proprietà dei Figueroa, rimastata disabitata per oltre un decennio e ridotta in decadenza da quando il vecchio morì ed i figli se ne andarono per trasferirsi in città ed iniziare una nuova vita, lontana da qua e dalla gente di qua. Io stavo sulla porta finestra della mia cabina in affitto con uno sguardo perso, nella mia salopette, senza aver fatto la doccia per giorni. Non avevo più contatti con la civiltà a causa del mio licenziamento. La falegnameria di Stato era stata venduta ad una multinazionale svedese. Riconvertirono parte delle attività, mandarono a casa due terzi degli operai. Lì dentro, più che lavorare il legname, lo avrebbero impacchettato e spedito alla sezione arredamenti del nuovo centro commerciale che aveva aperto in città. Cucine, letti, mobili, tavoli, scrivanie, librerie, cassettiere, divani. La gente ne sarebbe andata matta. Mobilio a basso costo, da portare a casa ed assemblarlo in pochi minuti. Dalla soglia della mia cabina vidi spuntare il muso di una Mercury Colony Marquis Park con delle grosse fasce di legno applicate sui fianchi della macchina. La pubblicità diceva: nelle famigliari Marquis il lusso e lo spazio si fondono. Splendidamente. Chi era al volante di quell’auto aveva di sicuro sborsato una cifra considerevole. Oltre a starmene in cabina a guardare la televisione tutto il giorno e a leggere qualche rivista sportiva, mi trovavo costretto ogni dieci giorni ad incamminarmi verso la statale per andare al centro commerciale a comprare quanto più cibo, alcolici e medicine potessi trasportare e permettermi. Tutta quella strada a piedi, otto miglia per un privato e solitario supplizio. Avevo dovuto cedere il mio pick-up per andare avanti e i sussidi stavano terminando. Avevo un conto a tre zeri da saldare con il bar vicino alla falegnameria dove tutti andavamo ogni giorno dopo il lavoro, dalle quattro del pomeriggio fino a quando le gambe e lo stomaco avessero retto. Qualche settimana fa il proprietario è venuto a farmi visita per dirmi che avrebbe chiuso l’attività e che il tempo era maturo per pagare i debiti. Non avevo un soldo in tasca così vendetti il mio pick-up e la settimana dopo saldai. La Mercury procedeva a bassissima velocità. I miei sensi potevano anche essere non completamente a pieno servizio, ma a quell’ora del pomeriggio, intorno alle 4.30 avrei potuto aver bevuto non più di un paio di birre oltre ad un singolo di whiskey. Cose molto amministrabili. Cose per rompere l’apatia della sobrietà. La serata sarebbe stata ancora lunga. Ve lo assicuro. I pneumatici non erano del tutto gonfi e il peso della macchina carica di quattro passeggeri, di valigie, di cibo, di un animale domestico e di qualche cosa necessaria ad un trasloco, sforzavano i dischi metallizzati dei cerchioni sotto l’irregolare gestione di ammortizzatori allentati. Il terriccio e la ghiaia del vialetto di accesso venivano tamburellati e tritati come da un mezzo di fanteria. Indica, una delle due figlie dei Klimcko, la più piccola, mi guardò attraverso il finestrino posteriore sinistro ed appannando il vetro con l'alito, tracciò un segno, una scritta, con il suo indice sinistro. Guardai più a fondo attraverso la porta finestra, uscii sul patio ma il retro della Mercury si oscurò nella curva a destra prima del cancello della proprietà dei Figueroa. Passai la notte addormentato sulla poltrona davanti alla televisione, guardando un documentario politico sui movimenti di protesta in Sudafrica e di seguito una replica di uno speciale sulla morte di John Lennon a due anni dalla morte. Mi risvegliai alle 4.30 come mio solito. Andai in bagno, mi pesai, feci una smorfia, mi diressi verso il cucinotto del soggiorno/camera da letto e mi versai tre quarti di litro di caffè nero. Guardai i notiziari per due ore abbondanti. Lasciai metà del caffè nella tazza e ritornai in bagno, appoggiando il braccio e la mano sinistra contro la parete. Mentre urinavo, guardai fuori dalla finestrella e per poco non morii sul posto. Dall'altra parte del vetro c’era la faccia stampata di Indica, che rideva straziata nel suo sorriso sdentato. Poi la sua faccia si fece truce e mimò le parole che scoprirò solo tempo dopo - In Nessun Modo - ma lì per lì ,non capii o non volli capire. Un disco di J.J. Cale verso le undici di mattina, quando fui assalito da una voglia di un sandwich al tacchino e di una Coca-Cola ghiacciata. Se non c’è nessun cambiamento nel tempo, non ci sarà mai nessun cambiamento in me. Nel pomeriggio sentii la Mercury percorrere il vialetto a velocità sostenuta verso l’uscita e la rampa di imbocco della statale. La macchina si allontanava con qualche leggera sbandata. Sentii la voce di una donna in lacrime che imprecava, che supplicava, che minacciava e che malediceva l’uomo. Era la prima volta che vidi il viso irrorato di lentiggini e rughe di Golda Klimcko. Si inginocchiò. Mentre sembrava che stesse per arrendersi ad una forza maggiore, nefasta, bulimica, fece uno scatto sulle proprie gambe e si riacquistò la posizione eretta. Infilò le mani nei capelli rossi, tirandoseli indietro e raccogliendoli sulla nuca come per farsi la coda. Li lasciò sciolti, e mise lemani in tasca. Mi diede la schiena per rincasare. In quel momento le due bambine Klimcko corsero verso la madre che le prese sotto le sue braccia. Il trio materno si voltò verso la mia cabina. Golda mi guardò, mentre Indica e Malika avevano lo sguardo altrove, verso la casa senza padre. Da quella scena nel vialetto non ebbi più modo di vedere alcun membro della famiglia Klimcko. Non ebbi più notizie "visive". Una notte mentre armeggiavo con un coltello ed una lattina di birra tanto per torturarla, udii una sorta di tonfo, di boato soppresso e immediatamente dopo vidi il riflesso di una luce incandescente spargersi, illuminando a giorno la mia cabina. Non era un'allucinazione. Già da una settimana mi stavo dando una ripulita per presentarmi in uno stato decente, almeno passabile, ad un colloquio di lavoro che avevo ottenuto per lo stand della rete ferroviaria al centro commerciale. Da quanto avevo capito al telefono si trattava di dare informazioni sulle direzioni e sugli orari dei treni del nuovo ramo ferroviario che collegava quasi tutta la regione. Inoltre avrei potuto dare ai clienti una brochure. Mi limitavo a sole due birre al giorno, e nessuno superalcolico o roba peggiore. Stavo bevendo molto caffè e molta acqua, quello sì. Qualche minuto dopo iniziai a sentire un forte odore di gomma bruciata, mista ad erba o a rami secchi. Uscii dalla cabina ed un'esplosione contenuta mi fece cadere con la schiena all'indietro. Urla femminili si avvicinavano verso di me. Aiuto, qualcuno ci aiuti. Dal buio sbucarono le sagome di Golda, Malika ed Indica Klimcko. Signor vicino, ci aiuti signore. Qualcosa è caduto dal cielo e ha fatto un solco nel terreno. Ha distrutto la casa del nostro cane e la piscina delle bambine. Adesso sta bruciando tutto. Signora io prenderò l’estintore mentre lei chiamerà i pompieri e la polizia. Potrebbe trattarsi di una scoria celeste, di un frammento di un meteorite o di un satellite. Indica chiese alla madre se potesse essere un segno del Signore per dire che il padre sarebbe tornato presto a casa. Indica a papà ci pensiamo dopo, le rispose Golda. Aiutiamo questo signore con la canna dell’acqua. Presi l’estintore ed iniziai a correre. Quello che vidi davanti era qualcosa di sconcertante. Un ammasso di fuoco, legno, erba, materiale ferroso ed i resti sparsi di un animale. Iniziai a spruzzare il liquido schiumogeno con l’estintore e il fuoco e l’odore iniziarono a placarsi. Le bambine buttavano secchi d’acqua e Golda continuava a spargere acqua sul luogo dell’incidente con la pistola di un compressore. Arrivarono la polizia della contea e i pompieri. L’incendio era già stato sedato. L’area fu recintata e gli agenti iniziarono a fare le indagini ed a raccogliere prove. L’indomani si seppe che un satellite di una non meglio precisata nazione aveva urtato un corpo extra-terrestre, anche questo non meglio precisato (entità, dimensioni e perché). I frammenti colpirono dodici punti sulla Terra in un raggio di cento venti miglia quadrate distruggendo proprietà, danneggiando scuole, fabbriche ed attività commerciali e facendo dodici morti. Undici persone adulte ed un cane, nella vecchia proprietà Figueroa. Alle undici di mattina ero pronto ad uscire per andare al centro commerciale dove avrei sostenuto il colloquio di lavoro. Scendendo le scale della cabina arrivò la Mercury dei Klimcko, che per poco non mi falciò. La macchina fece una brusca frenata, una retro e si fermò a pochi centimetri dai miei piedi. Dalla portiera uscì un uomo oltre la quarantina. Sono arrivato appena ho potuto. Grazie per quello che ha fatto per la mia famiglia. Golda mi ha detto tutto. Mi presento: sono il Pastore Ebner Maria Klimcko. Il lavoro al banco delle ferrovie andò bene per qualche mese. Verso l’autunno dell’82 la stampa indipendente condusse un’inchiesta giornalistica per corruzione ed appropriazione indebita ai vertici della compagnia dei trasporti statali che controllava le ferrovie. Nel giro di breve tempo quelle che potevano sembrare illazioni ed indizi agli occhi dei più, diventarono certezze e capi d'imputazione in una vero e proprio processo. Gli imputati più illustri patteggiarono la pena. Si scoprì che quelli più coinvolti erano propri i dirigenti che gestivano la sezione trasporti su rotaia. Diedi le dimissioni prima che tutto deflagrasse, ma questo non mi portò ad altro che una misera buonuscita ed una lettera di raccomandazione siglata dal responsabile per le assunzioni della regione. Di nuovo sulla strada quindi, e di fatto, rintanato nella mia cabina sul lago. Come ogni tipico disoccupato o senzatetto decisi di passare qualche ora della mie giornate nella biblioteca civica più vicina ma questa avrebbe dovuto essere anche la più fornita. Girovagai per biblioteche per almeno un mese e alla fine ripiegai su quella di Stato, quella della Capitale. Per arrivarci dovevo camminare dalla cabina per una buona mezz’ora lungo la statale. Il freddo e la neve erano tornati. Niente di nuovo. Salivo su un autobus che mi portava allo scalo ferroviario e di lì prendevo il treno che mi scaricava in città. Sceso dal treno avevo dieci minuti di tratta. Compilando il modulo di iscrizione per la biblioteca, barrai la casella "lettore". Dietro al bancone per l’accoglienza c’erano due donne: una anziana e mezza sorda, con abiti e fare tipici della prima metà del secolo, l’altra appena ventenne o neanche, con degli occhiali da vista ed una montatura di plastica trasparente e spessa che inquadrava le massicce lenti curve. Gli occhiali le occupavano metà del viso, le inglobavano il naso, che era appena poco più che pronunciato e all’insù, le guance di un rosa vivo che cadevano nella sue labbra piene di un rossetto anch'esso rosa, luccicante, riflettente; all’interno delle labbra a chiusura della dentatura c’erano pezzi di metallo e piccoli cavi elastici di un apparecchio correttivo. Erano veramente contente che compilassi il modulo di iscrizione permanente alla biblioteca. Mi chiesero come mai venissi da così lontano. Accennai loro della mia situazione lavorativa e raccontai come negli ultimi tempi, e non solo, avevo dovuto vendere i miei libri per tirare su qualche soldo e di come avessi smesso di comprare libri e di leggere. Ero lì per rincominciare un discorso abbandonato. Mi chiesero cosa avrei letto. Risposi per grandi tematiche, grandi intenzioni. La ragazza mi avvisò dell'inaugurazione oramai prossima di una nuova sezione della biblioteca. Sarebbe stata interamente sulla musica: storia della musica, studio della musica, strumenti e dischi di tutti i generi. Per ora l’archivio era molto ridotto. Sa, una volta oltre a comprare e leggere libri, ero un musicista, lontano da qua. Anche quel discorso finì, come molti altri nella mia vita. La ragazza e la donna anziana si guardarono e rimasero in silenzio per qualche secondo, fissando la pila di moduli sul tavolo. Forse ero stato troppo drammatico. Ho il gusto per quel genere cose. Quaranta minuti dopo mi ritrovai assunto dalla Biblioteca di Stato per un periodo di tre mesi di prova, con la specifica mansione di curatore speciale della nuova sezione di musica. Gli eventi proseguirono. Si allinearono e proseguirono lungo una concatenazione di risultati. Tutti i giorni vedevo il lucida labbra della giovane bibliotecaria, rosa trasparente, colloso, riversato sui denti, sulle gengive, nella bocca, nei meandri metallici dell’apparecchio correttore della dentatura non proprio aperta come si vorrebbe. La distorsione è l’unico fenomeno fisico che ci interessa. La sofferenza del risvegliato. Un libro parla della cospirazione mattutina contro la razza umana. I Klimcko sono stati via per molto tempo. Oltre un mese. Fuori, nello spazio aperto. Immaginazione. Stagni per centinaia di chilometri quadrati, oltre la catena montuosa, quando la valle è morta da un pezzo, e l’Eden rimane il nome di un negozio di ferramenta spiccia e liquori. Il lavoro alla Biblioteca di Stato continuò, accompagnato da nottate vuote, lente, rileggendo i discorsi dei grandi uomini politici del Novecento. Avevo intrapreso una dieta di sole proteine. Uova sode, carni al sangue. Tabacco a manciate, a mani piene. E una quantità di caffè nero che riempiva con il suo odore ogni parte della cabina, infestandola. Litri, litri e litri di tazze nere. Il sentiero dei perversi conduce alla morte (Proverbi, ore 12:28, numeri illuminati di rosso come nelle migliori pellicole del decennio passato). Da un giorno all’altro potrebbero rientrare. Magari al gran completo, sulla loro Mercury da buona famiglia. Dopo tutto, li sto solo aspettando. Ho camminato per stanze. Migliaia, in giro. Andato, andato, andato. Stanze dove le tende erano di spugna arancione, tessuti malridotti, affumicature, tracce di sigarette, macerie di nicotina per il signore nostro dio sconusciuto. E mentire divenne così facile. Ero perfino ostinato nel mentire. Una corretta pratica quotidiana lontano dai riflettori della società perbene. Poi arrivò la notizia dell’incidente, giù in città. Avvenuto in un’ora non meglio precisata, si parlò delle 6.41, ma il lasso temporale arrivava secondo alcuni, fino alle 8.52 del mattino, e la scena per la polizia municipale non fu facile, visto che il ventre molle digeriva ancora (caffè pesantemente zuccherato, paste piene di dolcificante, chiamiamole come ci viene più facile, brioches, ciambelle, forse scommesse perse alla corsa dei cani). Il vagone numero 49 era riverso in mezzo alla strada principale. Completamente ribaltato, pessimo presagio e pessima vista il sangue, in parte già rappreso, che colava dalla porta di sicurezza, un sangue nero, fuligginoso, tragico, dannatamente greco. Che cos’è questo mondo che siamo costretti a vivere, a guardare, a ricomporre. Ventisette corpi deformati, dilaniati nelle parti più impensabili. Inerzia. Tre bambini, due gemelli maschi e una bambina, un’estranea. Che cos’è che siamo disposti a fare. In definitiva, non siamo il risultato addizionale delle nostre scelte. Siamo un ammasso di cose non dette, di incidenti stradali, ferroviari. Siamo quella petroliera lunga duecento venti metri che continua a sversare da decenni, per stanchezza. Il prezzo delle nostre quotidiane nefandezze. Il vagone aveva travolto una scolaresca e non aveva risparmiato il bus che trasportava i detenuti. Angeli innocenti e peccatori incalliti. Puro e disposto a salire le stelle, la gloria di colui che tutto muove. Questo è lo stato purgatoriale a cui siamo ridotti, questa la nostra destinazione celeste. A quell’ora la biblioteca di stato era chiusa ed il mio impiego, il mio trascorrere le giornate là, era la cosa quanto mai più lontana; nella mia testa, nel mio corpo, nelle mie gambe. Il treno era mezzo vuoto, correndo a velocità ridotta. Dovetti tenere la testa a quella poliziotta. Ansimava. Vomitava. Mi diceva che sentiva montare il sangue nella trachea. Mi trovavo lì, visto che stavo perlustrando l’area, a mio modo, e stavo guardando la città, la mia piccola cittadina di provincia, il mio universo circolare, piatto. Quel giorno volevo chiudermi in un cinema dalle undici di mattina in poi e nel pomeriggio bermi qualche birra al bar di Eveline e quindi succhiarmi vodka ghiacciata mentre la tv avrebbe trasmesso la corsa alle primarie, anche se il risultato era la cosa più docile e scontata del globo terracqueo. La carrozza di testa era stata sbalzata a distanza di una decina di metri. Assistere ad un incidente del genere non è il migliore viatico per un uomo che sta ricominciando. L’ennesima volta. Si dicono tante cose e molte sono inesatte. E loro, I Klimcko. La piccola famiglietta deviata. La loro felicità attraverso i vetri dei finestrini della Mercury. Al posto del bus dei detenuti, al posto della scolaresca potevano esserci loro, con le loro gioiose, plastiche e gommose facce nella Mercury. Non tanto le bambine, non ho propensioni infanticide. Ma lui, il santone. Il Pastore. La faccia di Ebner Maria Klimcko su tutta la principale. Ero là, come tutte le notti, e tutti le notti con quell’odore in quei luoghi che si chiamano boschi in altre regioni del mondo. Casa. Terra. Acqua. Fango. Animali. Piante. Corpi sepolti. Membra che affiorano. Le due bambine. Intrappolate. Volete che non abbia visto i segni, volete che non abbia sentito. So come uccidere un uomo in fretta. Sto per andare. Sto per venire, Malika. Di cosa parlavamo oggi, quando ci amavamo. Le persone. Le stelle nere. Il re giallo. Ho questa donna che vive nei boschi, sola. Ed è la cosa più pulita che conosca. La vedo qualche volta al mese. Una scultura buia, impenetrabile. Di che cosa volete parlare. Bere come matti e mettersi al volante, ma essere sobri a destinazione. Sto sentendo qualcosa. La fede nelle prime ore del mattino nel bacino della fede stessa. Le macchine per strade. Ebner, sto venendo. Cose hai detto alle tue figlie. Dimmi dove ti porta la tua immaginazione. Pagherai per le tue colpe o vuoi che venga io. Dimmi fino a che altezza vuoi che le fiamme salgano. Dai Ebner, fai un respiro. So cosa fai. Di giorno o di notte. So che ti piace mettere del gas nelle narici delle tue bambine. Sei un pastore, uno vero. Quella era solo una bambina. Erano due gemelle. Due sorelle. Vedi come sei finito. Adesso devo ripulire tutta casa. Con le tue ossa nelle assi delle pareti. Molto bene. Tutto è così calmo. Il tempo è uno strizza cervelli radiato dall’albo. Viaggiando, la notte. Un quadro decisamente bello ma Adine piange, e quando piange, piange per ore e non c'è niente che possa aiutarla. La frase di quel film. La battuta era, da Portland Maine a Portland Oregon. E adesso cosa ti rimane. Sul quel pavimento. Deforme, faccia gonfia. Ti hanno dato per scomparso. Quanto è durata. Quattro giorni. Ce ne hai messo di tempo a morire. Ne avevi di sangue in corpo. E qualcosa, qualche cosa, andava fatto. Strana fine per un sedicente uomo di chiesa. Finire senza una sepoltura.







giovedì, gennaio 19, 2017

5, Rivisto









Un solo corpo, un solo spirito.

LETTERA AGLI EFESINI 4,4








Erano mesi che si era ritirato in quella roulotte. Nessuno sapeva cosa facesse dalle 5 del pomeriggio fino a notte inoltrata. Scendeva il colore denso sulle piante e al di fuori del recinto. Le guardava dalla finestrella. Una cassiera che lavorava in un centro commerciale ad oltre venti chilometri da lì, gli portava la spesa due volte a settimana. Carni, pane, alcolici, ortaggi, salse, spezie e qualche attrezzo ogni tanto. Lei arrivava con la macchina, suonava il clacson poco prima della roulotte. Lui usciva pochi secondi dopo con la postura e la faccia di uno che aveva lavorato ore ed ore in un mattatoio della mente. Oppure, semplicemente, in un mattatoio vero e proprio. Scendeva i tre scalini dalla porta della roulotte alla terra attorno, l’erba che ogni tanto cresceva e che stava intorno. Non aveva il telefono, pagava sulla parola e si faceva credere sulla parola. Lei lo guardava mentre scaricava le casse piene. Cosa sto facendo con questo uomo. All’interno della sua casa, la roulotte, c’era una zona adibita a camera oscura. Aveva un televisore, uno stereo, libri e dischi sparsi ovunque. Coltelli da caccia, un vecchio fucile. Si metteva sul divano a fumare, con i piedi distesi sul tavolino, una telescrivente poco distante, fogli sparsi attorno. In cucina, frattaglie di maiale messe a marinare per lungo tempo. Il tempo attorno e i temporali e una luce data, che arrivava da un generatore esterno. C’era un reperto della Guinea Orientale sopra lo specchio di quello che poteva essere chiamato ancora bagno. Stavano lì, nel suo giorno di ferie. La sua pausa dal mondo esterno. In un giorno di festa in città, la festa in città per i diritti civili, lei gli chiese di uscire. Scese i tre gradini, fuori dalla roulotte e si mise ad imprecare. Rientrò dentro e le disse, andiamo pure alla festa in città, ma prima devo dirti chi sono. Qualche mese dopo presero a viaggiare. La costa, l’interno del paese, gli altipiani, le pianure. Quindi venne il deserto, con la sua volgare spietatezza. Lei rimase in cinta e lui le scrisse una lunga lucida lettera in cui ribadiva quanto le aveva sempre detto, non sono per il matrimonio, non per la famiglia, non sono tagliato per essere padre, non so quanto tempo avrò su questa terra. Settimane dopo si recarono in ospedale. Il medico disse, mantenendo un labbro di sbieco: aborto spontaneo. Lei cadde in una depressione dagli esiti impredicibili. Iniziò ad andare nelle biblioteche e a leggere testi sacri, raccolte esoteriche e volumi di psicologia. Voleva risalire all’origine del suo male, studiando a fondo l’anatomia della sua esistenza, anima e corpo, fino al perché del suo corpo inservibile. Durante l'inverno la depressione cedette il passo ad un’altra forma di disturbo mentale, e questa aveva dei connotati più definiti: un perenne stato di esaltazione spirituale, a cui molti danno il nome religione. I suoi genitori erano stati dei convinti seguaci della Chiesa della Rivelazione Neuronale, ma lei trovò un movimento nato da poco il cui credo e missione riuniva varie discipline e orientamenti in due sole parole di colta derivazione: Atomismo Ascensionale. Così si ritrovò a passare giornate intere alla chiesa. Il Sacerdote Eletto, un uomo dal passato sconosciuto e oramai prossimo alla veneranda soglia dei cinquanta, vestiva camice a mezze maniche e cravatte con fantasie cachemire. Nei suoi interminabili sermoni si dimenava con mosse premeditate, calcolate, come le metafore soppesate che lanciava sugli astanti. Un inesauribile getto di fuoco, un pozzo di oro nero benedetto dallo spirito santo e consacrato ad esso. Divenne il suo faro, oltre che il suo amante quotidiano. Sul finire di una funzione la porta della chiesa si aprì e un uomo dalla sicura e solida complessione percorse l’intera distanza dall’entrata fino al pulpito e aggredì brutalmente il sacerdote. L’intera comunità di adepti era sconvolta. Urlavano parole come diavolo, anticristo, male assoluto. L’uomo raccolse il microfono che stava a terra vicino alla faccia gonfia e tumefatta del sacerdote e se lo portò alla bocca. Signore e Signori, non sono il diavolo. Sono solo l’uomo di quella donna seduta in quel bancone che continua a gridarmi contro e dire cose come perché mi stai facendo questo. Cara, io ti avevo detto chi ero. E ti avevo detto chi era questa gente e questo pagliaccio che adesso a stento fiata. Non sono il male assoluto, no. Diciamo che oggi, per voi, sono stato un male relativo e necessario. Convertitevi. La mattina del giorno dei lavoratori uscì dalla porta della roulotte e raccolse la posta che gli avevano lasciato sui gradini. Riceveva lettere di ammiratrici che talvolta si spingevano, oltre alla redazione di pagine e pagine dattilografate, ad inviare primi piani dei loro volti, o anche delle loro parti intime. Si era abituato alla routine di quelle mattinate con caffè, tabacco fresco e fotografie di donne in preda ad un esaurimento pan-erotico. Nei primi anni Ottanta si poteva affermare che tutto oramai era diventato sesso. Sesso ad ogni ora ed in ogni luogo, sesso nei cinema, sesso nelle video cassette, sesso nei bar, sesso per le strade. Cartelloni pubblicitari con vari menù di sesso, seguiti dalle facce sorridenti delle persone scomparse, seguiti dall’ultima offerta della più grande catena di fast-food della paese. Dammi #3 banconote da un pezzo e mangia per l’eternità. Chili di cibo fritto e sugoso, litri di bibite dolci e ghiacciate per famiglie sull’orlo della bancarotta. Messaggi commerciali studiati per anni dai pubblicitari delle grandi compagnie per far entrare tutti gratis nel supermercato delle nostre coscienze. Prima di pranzo aveva selezionato gli scatti da mandare al giornale. Dai provini a contatto emergevano dei tratti colorati attorno alle sue solite trentanove posizioni. La sua scelta battezzata da un pennarello rosso. Su quel foglio dal fondo nero c’erano delle miniature che ritraevano cancellate, tombe, croci, lapidi, bare scoperte e fosse a cielo aperto con ossa che spuntavano dal profondo del nucleo terrestre. Si trattava di un lavoro che aveva realizzato qualche settimana prima e che comprendeva un articolo di commento. Si poteva definire un classico reportage di denuncia sullo stato dei cimiteri della regione. Il degrado, la futilità della morte e come noi trattiamo i nostri morti, il titolo. Un unico grande piazzale di cemento delle nostre memorie fermo in buco nero a miliardi di chilometri da qui, senza consistenza, in assenza di tempo. Da quasi vent’anni aveva smesso di valutare se una cosa fosse buona o meno, in definitiva, si era tolto dalla testa di parlare del bene e del male. Vedeva tutto come un grande un distretto interplanetario, in cui tutto galleggiava condannato nella propria bolla d’acqua, dove tutto avveniva, indistintamente. Verso le due del pomeriggio prese da parte una lettera di una ragazza che sosteneva di vivere a ridosso del circolo polare artico. Si era firmata come Miriam. Sapeva che Miriam era il suo nome di battesimo. Di solito le situazioni più squallide sono quando un uomo ed una donna si lasciano. Cercano di riempire il vuoto inutile delle proprie vite con parole, gesti, esternazioni di un’infinita tristezza. Per loro non era andata così, lui aveva assalito e tramortito il Sacerdote Eletto. Storie, storie, storia. La vita scappa via, il fumo sopra le nostre teste. Se fin da piccolo impari che tutto può finire, che tutto è destinato a finire, allora puoi essere sincero ed onesto. Un sabato pomeriggio in cui la tua donna beve un frullato alla banana corretto con tequila e ti parla di un film da andare a vedere. Ok, andremo a vederlo. Quando? Martedì. Martedì è sempre un ottimo giorno per vedere film in enormi sale cinematografiche, vuote, costipate da odori di vecchi amori. Il giorno della funzione tutti si preparano per andare in pubblico, per lasciarsi una scia di benestare collettivo, una benevolenza concessa per un ultimo solo minuto. Sei stato lì, in piedi. Hai guardato la gente, i vestiti delle persone, i clown fumiganti prima dell’esplosione nel nome dell’irredimibile decenza. Dopo l’aborto spontaneo, nel giro di una mattina, Miriam iniziò a vestire in modo diverso. Abbandonò il trucco e l’acquisto di anticoncezionali. Lui uscì fuori dalla roulotte ed andò e si comprò un machete. Poi andò al bar verso le undici di mattina. E’ incredibile come si cambi nel giro di tre quarti d’ora. Che cosa. Le parole. Un’immensa ingovernabile liturgia parodistica. Dove siamo cresciuti e fino dove ci spingeremo. M. oltre al supermercato andava ad arrotondare come barista. Qualche volta aveva ballato. Di sicuro era una ragazza buona. Si guardavano per giorni nella roulotte, mentre lui si alzava e si metteva a leggere sul letto o a scrivere sul tavolo della cucina. Poteva Dio rientrare nelle loro vite. Lui le rispose, dopo qualche minuto. Innanzi tutto, chi è Dio. E poi in quale tipo di dio dovremmo credere. Quello che ha fatto il mondo e poi un giorno si è messo a riposare. Quello che da uno scranno su Giove ci ha giudicato e dannato. Quello del perdono, della misericordia infinita o quello delle reincarnazioni plurime. Un dio lontano e assente o un dio a pieno servizio, che quando lo preghiamo per i nostri bisogni ci accontenti come un distributore automatico. Dio dammi dei soldi, dio dammi una donna, dio dammi il successo. Quale dovrebbe mai essere il nostro dio. Che aspetto avrebbe. Come parlerebbe con noi. Dio forse, è la cosa più umana che esiste. Oppure dovremmo spingerci all’affascinante ipotesi di un dio della rivoluzione permanente. Lei si alzò, non lo guardò e gli fece notare che non era stata educata a ragionare in quel modo spregevolmente cinico. A lei era stato insegnato il valore della compassione e della speranza. Di risposta lui prese il registratore vocale e lo fece partire per incidere queste parole: senti questa sirena. Questa è la sirena della notte dei tempi. Va avanti da quando tutto è iniziato. Questo è l’unico Dio possibile. Il dio dell’emergenza. Devo ammettere che ho ancora il gusto in bocca. Ti vedrei bene nel letto, in una posa diciamo accogliente, completamente vestita di nero, una Venere Nera di Samotracia. Una splendida luce, intera, aperta; il solco della parola. La luce che si china epidemica, senza alcun segno di ritegno. La lista della spesa veniva compilata a più riprese. Miriam camminava per la roulotte. Metteva su un disco di Neil Young e poteva essere Harvest o Tonight’s the Night o Zuma. Con le sue manine decorate si metteva a ballare. Sai che sono brava in quello che faccio. Forse diventerò assistente di reparto o addirittura responsabile di reparto. Dopo voglio chiederti delle cose sulle ultime foto che hai fatto. Cosa ti è rimasto di Angola. Lo so che quando ti chiedo qualcosa tu rispondi sempre allo stesso modo: è vita, parlano di vita. E’-solo-VITA. Per te è facile. Ti rinchiudi dietro a quella parola. Ma che vita è. Di che tipo di vita stiamo parlando. E poi mi dici che non sono problemi tuoi. Che ognuno si dia le sue risposte. Dovrei forse essere ambiziosa? Mi preferiresti, ambiziosa? La guardavo, come sempre, e stava zitto, pensando quanto l’amasse o solo quanto la detestasse. Ma torniamo al 1982, un anno come un altro nel cordoglio della guerra fredda. Attentati, rapimenti, manifestazioni. Marquez vince il Nobel per la Letteratura, hanno proiettato film come Reds, Atlantic City e Blade Runner è una fresca profezia nelle tetre sale cinematografiche di West Hollywood. Corso ha pubblicato da poco Herald of Autochthonic Spirit e i Beats stanno spirando nel chiarore dell’esplosione del mercato finanziario. Bukowski ha di sicuro pubblicato un’altra raccolta di inediti. Cortazar potrebbe essere prossimo alla morte. Miriam leggeva riviste patinate commentando le vicende di attori o politici. Il sabato voleva che le passassi il RS Magazine. Utilizzava un lessico come una donna fa in certi passaggi prossimi ai quarant’anni, un lessico che comunicava dignità. Non passava le giornate a lamentarsi, a disquisire sul declino della civiltà occidentale, a magnificare il movimento pacifista e quello femminista. Condivideva, certo. Aveva le sue idee. Ma aggiungeva che dopo qualche conquista tutto sarebbe finito, come era iniziato. Era una donna che sapeva quello che doveva essere fatto e faceva quello che andava fatto, senza tante storie. Ogni santo giorno andava al centro commerciale a lavorare, faceva le sue ore e poi tornava alla roulotte. Non chiedeva idiozie del tipo, come è andata oggi, cosa hai fatto di bello oggi. Sapeva che non l’avrebbe degnata di una risposta. Entrata, posava la spesa e andava verso il frigo aprendo due birre, entrambe per lei. I replicanti alle porte dei bastioni di Orione. Dopo aver segnato nervosamente quel numero su un pezzo di carta volante prese su la borsa nera e se la mise addosso, in spalla. Usciva dalla roulotte, come quasi ogni mattina dell’anno. Miriam aveva ancora una piccola ammobiliata in città. Dispiaciuta finché si poteva, guardandosi allo specchio dell’ascensore che scendeva lungo la pompa appena oleata. Quante stagioni all’inferno nostro caro Rimbaud. Chi ti legge più. Sei solo un cadavere di carta sparso nei nostri cieli, nelle nostre discariche bianche di tossine di ultima generazione, sei solo un altro morto che cammina per i nostalgici. Questo è Paese in movimento. Qualche volta è la festa dei lavoratori, la festa della nazione, la festa della presa del carcere, la festa di tutta la pletora dei santi. La guerra è finita signore & signori. Tutti a casa, con tanto di mancia nel cappello. Tempo, tempo, tempo. Tutte cose che terminano con un buon fine. Tenere le mattine viste in cui gente incolonnata saliva sui mezzi pubblici per andare al lavoro. Una sosta drogata sul posto di lavoro. La sera a casa dalla propria famiglia davanti alla televisione. E domani si ricomincia. E’ passato così tanto tempo da quando si parlava in un modo differente. Un modo completamente falso, ma era piacevole essere così falsi. Adesso non c’è neanche più quello: la falsità è stata barattata con l’autocommiserazione delle masse. Ci guardiamo prima dei nostri stessi passi. Miriam raccontava anche queste cose, era il suo termine di invito per prendere parte alla sua sessualità minuta e debordante. Una notte confidò di avere visto il diavolo, faccia a faccia, in un sogno di mezzo pomeriggio. Era rosso e voleva impossessarsi di lei. Domeniche pomeriggio. Passaggi a vuoto. Fuori dai cocktail bar la gente ha ancora voglia di bersi lunghi & acquosi caffè. Iniziare a parlare del futuro, la settimana che viene, i piani per una stagione di pioggia. Destinazioni cancellate, perfino rimpiazzate. I giornali bagnati da macchie di tabacco che impregnano le colonne della politica estera. Gorbacev fa progressi. Glasnost, Perestrojka. Contenuti politici da stato occidentale. Si discuteva della validità della pena di morte. Iniezioni letali, cinghie di cuoio, scariche elettriche emanate da generatori nucleari. La fine che fanno certi detenuti in certi contee. Enormi luoghi di detenzione, sorvegliati e puniti. Il fiume che muove dalla tromba d’aria che sta per arrivare in città. Ci si parla per le strade, gli argini reggeranno una volta ancora. Miriam sta facendo ancora il suo turno. Filosofi inchiodati in cabine telefoniche e pensatori senza eroi. La vita nei boschi o solo quella a ridosso della palude. Zone di depressione terrestre che non verranno bonificate a favore dell’avvento di una quarta dimensione. E’ possibile che siano passati così tanti anni. Le elezioni alle porte anche se non ci si vuole mettere a danzare con quello che chiamano il mistero. Miriam, quando torna a casa. Quella sera iniziò a parlare in modo diverso, iniziò ad usare parole vuote e un certo qual senso di allusione a vicende spregevoli. Parlava di maternità, di andarsene via dalla roulotte, di cambiare stile di vita, di fare una vita più normale. Per la prima volta la guardava senza curiosità. Aveva preso a recitare il solito refrain di una donna a ridosso dei quaranta che si sente mancare la terra sotto ai piedi. Pensavo di essere stato chiaro fin dalla prima sera, Miriam, le disse. Di tutta risposta lei iniziò a dare di matto, urlando, tentando di prenderlo a pugni. La paralizzò. Iniziò a piangere e disse che non voleva abortire un’altra volta. Quella mattina poco dopo le 4 i vetri delle macchine stavano nel parcheggio ed erano tutti macchiati. Colavano umidità, sporco, l’escursione termica dei territori. Le notti con la botola della roulotte aperta. Alle 3 di mattina si alzava a fare quattro litri di caffè. Ogni tanto qualche amico le regalava della roba e la facevano fuori subito. Vivi facile, vivi veloce. Qualche volta il colore della notte è così ampio. Si parlano tra loro, davanti ad un piatto di uova ed una tazza di caffè. E’ ancora presto. Il mattino deve iniziare più tardi, in un altro modo. La terra dietro casa dove era stata bambina, iniziando a correre, girando in cerchio. La polvere che veniva alzata. Rocce, radici, rampicanti. Guardava Miriam in macchina, nelle strade attraverso i campi. Vedeva che tutto stava diventando dilatato, scuro ed esteso oltre la capacità oculare. Teneva le mani sul volante, cosa che non faceva mai.



mercoledì, gennaio 18, 2017

10011, Rivisto









Allora Mosé stese le mani sul mare.
E il Signore, durante la notte respinse il mare
con un forte vento d’oriente.

ESODO 14,21







Tutti qua, in città, potrebbero ancora dirvi, dopo tutto quello che è successo, che era un tempo pieno di ragione e che ognuno faceva quello che doveva fare e che se ne stava al suo posto. Storie raccontate per gli stranieri, per la gente che passa o per fare stare tranquillo tutto l’establishment, e per establishment intendo, le istituzioni, le famiglie che hanno in mano questo paese, la criminalità e tutto il resto. La città ha retto su questa intera faccenda per almeno quarant’anni, diciamo dai primi anni Settanta in poi, o forse dai tempi della sua fondazione. Tutto poteva e doveva andare avanti così, continuando. Non riesco ancora a delineare secondo una linea cronologica tutti i fatti. Sono stati, accaduti. Più che altro vedo una linea logica, come a dire tutto quello che luccica, come dicono in quella pubblicità. Prima di essere licenziato, lavoravo coi treni e sui treni. E ne ho passata di vita sui treni. Mi dia ascolto. Mi stia ad ascoltare. Dica ai suoi colleghi, a quelli del giornale e a tutta la stampa, di stare lontano dalla stazione, dalla ferrovia e da tutto quello che ci gira attorno. I bambini fino a qualche anno fa giocavano per le strade con le madri che stavano a sorvegliare fino a che non fosse sera. Padri assenti, cosa vuole. Un'altra cosa di questa città: le strade non scendono mai, tranne quando vanno al fiume e muoiono lì, inghiottite dalla volgarità del fango, sprofondando nella sua brutale eternità. Ditelo a tutti. Le vostre finte inchieste, le indagini governative mosse ad arte per il solo piacere del procuratore di turno con debiti di gioco e che deve fare carriera in questo Stato, la polizia che alza il tiro perquisendo, corpo a corpo. Siete tutti fuori strada. Non vorrei parlare del gallo che canta tre volte, ma di quello che si mette a cantare quattro, cinque volte e così per tutto il giorno e la notte. Sapete, vi ricordate cosa avevano scritto del sottoscritto, metà degli anni Ottanta: il cantore di questa città. I sentieri alberati, la ghiaia dei cimiteri, le strade lastricate d’oro per i casinò. Parliamo di quello che ha avuto la città: soldi, turismo, infrastrutture, grandi titoli per mostre d’arte ed un carico di droga difficilmente visibile da altre parti. Un tasso di natalità invidiabile, di certo. Aumento esponenziale delle morti di giovani per overdose, infarti, sangue al cervello, sparatorie, inondazioni, allagamenti, uragani, elezioni politiche. Eppure siamo andati avanti. Ogni anno le celebrazioni per fare soldi: san valentino, pasqua, il giorno dei lavoratori, natale e la vigilia di capodanno. Non un granché, mi direte. Non voglio parlare di prostituzione, spaccio, di vendita di armi illegali, di contrabbando dell’ultima ora. Avete visto questa città prima dell’alba. Brucia. Qui chiudiamo i conti tra le quattro e le cinque di notte. Riprendere a vivere, camminare, bruciare. E' solo una questione di rinascere ogni giorno e fare la propria vita. Parafrasando: un vecchio tempo, pieno di rischi. I titoli dei giornali, quello che vi stanno facendo credere. Potrò sembrarvi ripetitivo, ma questo vi servirà, tra qualche giorno, per schiarirvi le idee ed iniziare a capire questa città. Smettere di manipolare la realtà; raccontatela per quello che è. Vi costerà il posto di lavoro, lo stipendio, la famiglia e non vi auguro, la pelle. So di cosa di cosa sto parlando, precisamente: un salto nel buio della vostra arroganza, della vostra sicurezza di vita. Le vostre certezze svilite e derubate al largo della costa. Le Lamentazioni dicono: come sta solitaria la città un tempo ricca di popolo, divenuta vedova fra le nazioni, ora sottoposta a tributo. Non le rimane che piangere nella notte, amara. Nessun conforto, nessun amante. Tutti l’hanno tradita per la sozzura dei lembi della veste e non avrebbe mai pensato alla sua fine. E’ qui che siamo arrivati. A furia di parlare, confrontarci, di vivere in questo modo. Ma dimenticate l’angelo della morte, il mio tono post-apocalittico, i miei trucchi. Parliamo del treno. Di quello di cui ci accusano e le menzogne su questa città. Potrei scomodare grandi nomi, ma non lo farò. Troppe situazioni viste. So tenere la bocca chiusa quando si parla del Sunset Limited. Un vecchio tempo pieno di rischi. Iniziamo da dove si prendono le mosse di solito - dal punto di partenza. E per essere chiari: questo treno non arriverà mai in Canada. In origine si chiamava Sunset Express, 1894. Univa New Orleans a San Francisco, passando per Los Angeles, 2275 miglia. Poi dal ’71 ha cambiato nome: Sunset Limited e non so quando abbia smesso di arrivare fino alla baia di Frisco. La prima cosa che ho sentito in quella carrozza sono state le parole di Dwayne, questo il suo nome, che saprò solo ore ed ore dopo. E’ libero? Posso sedermi? Davanti a lui un uomo di colore, un nero, con un berretto da marinaio e che poi mi diranno essere quello tipico dei frenatori di una volta. Non so come sia stato possibile, ma avevo davanti la scena della pièce di Cormac McCarthy: due uomini, un bianco e un nero sul Sunset Limited. Nella lunghezza di quel percorso, costretti a parlare, in una domenica mattina nella carrozza n. 10011. Vagoni su due piani, grandi involucri di lamiera argentata che strisciano ed ondeggiano sulla soglia del deserto del New Mexico, prima della colossale curva a ridosso del confine USA-Mexico. Un vecchio cartello dice: chi cerca una patria è benvenuto. Subito dopo, uno più recente: confine US-Mexico tra 15 miglia. Non passare. Gli illegali saranno perseguiti e condannati secondo la Legge Federale degli Stati Uniti d’America. Gli agenti sono autorizzati all’uso della forza. Il che significa pattuglie, elicotteri ed uomini equipaggiati con armi d’assalto. Pallottole vaganti nello sconfinato. Dwayne è un uomo di media altezza, magro, ricurvo in qualche parte del suo corpo a tal punto che definirlo dinoccolato sarebbe un’inesattezza; su di lui sono passati eventi che hanno procurato disfunzioni articolari croniche, vere frenesie, che comunque paiono essere governate da una non scritta legge organica. Conosco questi volti, vedo i suoi occhi rapsodici iniettati di sangue che pulsano ancora qua è là di un azzurro temprato, un blu polvere legato con i capelli, oramai radi e bianchi, come del resto lo è la barba, che porta malinconicamente in ricordo di qualche vecchia disgrazia. Di sicuro, posso dire, qui ed ora, qui sui miei due piedi, che è un uomo gentile, lo è nei modi e lo sarà nelle parole e lo sarà quando mi saluterà nel buio concio e gonfio della Union Station di Los Angeles Downtown, quando scenderemo alle 4.50 di mattina della Costa Ovest, all’ombra degli aranceti arroccati miglia e miglia ad Est. Allunati, abbacinati, mormoranti dopo quindici ore di discorsi, confronti, di racconti, di verità paradossali, io, lui, Herman il nero, Tad l’editore anarchico e John il gestore-giullare del bar della carrozza 10011. Ancora Dwayne. Originario del Midwest, lì per andare a trovare la figlia che vive a Santa Barbara, lì, in quello che lui distratto battezza uno degli ultimi viaggi aggiungendo che poi forse troverà un accordo con il sindacato e sceglierà la via del ritiro a vita nel deserto, nessun luogo in preciso, il deserto di un non meglio precisato Stato. Herman o come vuole essere chiamato, Quick Kid, è un tipico nero del Sud degli Stati Uniti. E’ stato un gran lavoratore, attraverso il Paese, attraverso e lungo le decadi che hanno formato e stravolto questa nazione nel secolo passato o addirittura dalla notte dei tempi. La schiena è possente e grassa e sta a stento nella sua camicia jeans di quarto scarto. Ci son pieghe appena accennate, tutto il resto tira, dilatandosi giusto prima di un inevitabile strappo. “Dio mi è testimone ed è stato sulla mia bocca in vicende alterne”, sublima in sillabe lente e cariche di enfasi evangelica. Finalmente ho incontrato un civile che cita più di me la bibbia, più di un prete cattolico o di un pastore protestante, più di quanto questi possano mai pensare di fare. Li chiamano protestanti. Avrei riserve consistenti su questo, ma passiamo oltre. Nato e vissuto per tredici anni ad Hope Hull, sobborgo di Montgomery, Alabama. Niente di meno che, signore & signori. Si lancia in frasi come “noi tutti siamo figli di un unico padre eterno o che dio è con te ed osserva ogni minuto quello che fai e verrà a giudicare i bianchi per quello che hanno fatto alla sua famiglia”. Il soprannome di Quick Kid deriva dalla sua abilità a sgozzare pollame, glielo aveva insegnato sua nonna (Momma Viola Lee). Non ha mai avuto una famiglia tranne quella della comunità dei neri sparsa tra Baltimora, Chicago, Detroit, Birmingham, molte altre città del Sud e San Francisco. Il suo collo esce dalla camicia da operaio piena di sudore; la nuca disseminata di corti, ossuti, riccioli di capelli, che gli stanno incollati alla pelle; il berretto da frenatore illuminato da due malandate bacchette dorate di occhiali da vista che gli servono per mettere un piede avanti all'altro. In questo momento i finestrini della carrozza 10011 sono macchiati da una scia nerastra. Uno stormo di avvoltoi o olio schizzato dai freni andati della locomotiva. Ci avranno colto con le mani nel sangue. Separati da noi stessi. Camminiamo verso qualcosa a noi predestinato. Alzato male quel mattino. Un carico da novanta in testa. Aspettiamo, vediamo le cose passare. Da un treno, da una stazione, dal finestrino di una macchina che viaggia per la moglie e le miglia mancanti. Almeno 1.780. Poi riandiamo a casa e ci ritiriamo tardi, di notte. La maggior parte delle volte abbiamo ragione, parliamo con le persone, ma non ci sarà mai nessuno disposto ad ascoltarti finché non accetteranno la verità sulla loro vita. Uomini o donne. Cenere. Gente che non è disposta a niente. Genere di essere umani. In questa intera storia devo dire qualcosa di vero, quando posso, quando me lo permettete. Vi guardo. Vi guardo uscire di casa & andare al lavoro, vi vedo fare le valige & salire sul Sunset Limited. Vi ho sempre visti, tutta la vita. Siete voi. Un paesaggio senza una parola concreta, comune, una comunità che non può aprire bocca. Sogni andati morti, illusioni di una vita nel crogiolo nel primo mattino. Carne pestata prima del mezzogiorno. Sangue prima dell’incubo di turno, io prima di loro, prima della chiusura. Uno snodo ferroviario nella luce di una notte d’ottobre. Scorie, ruggine, forse dell’uranio dal regno scriteriato della dissoluzione. Domani mattina torno da mia moglie e dalle nostre tre figlie. Ti scrivo il mio nome su un tovagliolo: Tad Kepley. Chiamami Tad. Tad e il suo inseparabile berretto da baseball slabbrato di un rosso sporco, la sua massa corporea inconfondibile, le bottigliette di Jim Beam di plastica che continuano ad uscire dalle tasche del giaccone cachi cerato da caccia, la parlata che termina in una risata sporca, totemica, strappata sul finire, per essere ripresa in un’altra frase, strampalati racconti di vita da antagonista. Le nostre considerazioni hanno fatto scappare un ameno e pacioso professore di collage che si era unito alla nostra tavolata, un sedicente professore di storia, mentre un gruppetto di viaggiatori si stava accoccolando alle nostre spalle per buttare un occhio sulle mie stampe di Detroit, New Orleans e luoghi dell’Infranto Sogno Americano. I ragionamenti sui sistemi economici possibili, le utopie crollate alle prime distorsioni dell'alba. Tad che parla. Tad con la sue storie su WS Burroughs. Uno dei suoi più intimi amici, prima che morisse. Poi tutti, in un colpo, moriamo. Un sobborgo della Louisiana, West Monroe, Baltimore, il New Jersey, la nuova camicia appena macchiata, LA, Frisco, Baltimore, New Orleans: solo immagini che ci trasciniamo. Chi siamo per l’inevitabile serata di chiusura. Un’altra serata alla TV con tutto il silenzio, e tutto quello che questo comporta. Scommesse con Tad sulle partite, prime di scendere dal Sunset Limited. Non abbiamo amici in città e dobbiamo andare veloci prima di una sistemazione stabile. Quindi, come un’insegna luminosa, la faccia iconoclastica di John al suo John’s Bar. Qua è John che vi parla dal posto cacciato quaggiù. John è un uomo vile, un uomo di nessun conto. Vede il mondo dal suo buco infossato e sostanzialmente si limita a quello. Non arriva neanche ad essere Hamn di Finale di Partita. Vive la sua vita sul fondo del bidone e cerca di farne un lavoro. Grandi sentimenti sprecati oltrepassando i confini degli Stati. Un buffone senza spina dorsale, un grigio giullare, ora che la gente vuole spendere di meno per i funerali. Posso continuare coi luoghi comuni: sei vile John, Joe o come ti fai chiamare a fine turno. Le tue barzellette sulla radio del treno fanno pena. Non c’è niente a questo mondo per te Joe, e questo te lo sei meritato. Starai qui a vita, con il tuo inutile lavoro, attraversando le paludi, i deserti, le montagne e le false facce che ti trovi davanti, settimana dopo settimana ed anno dopo anno, anche se non saresti minimamente degno di essere proiettato negli anni. Due Matrimoni. Ti sei voluto fare la donna più giovane. La villa monofamiliare con piscina e lo stipendio pagato dalla linea ferroviaria. Ti ho detto che sei un miracolato John-Hamn, nessuno può capire perché tu possa guadagnare uno stipendio facendo la parte dell’uomo inutile di tutto questo racconto. Tu sei solo John che parli dal John’s Bar, quello del piano di sotto. Scadenti cheeseburger che alle 8.00 di mattina non fanno passare la sbornia, caffè lunghi e morenti in una toilette libera, sandwich al tacchino che possono uccidere il palato di un bambino obeso della Georgia. Vuoi che prosegua John, o Joe, John del John’s Bar. A San Antonio, Texas, sei stato preso di peso e hai chiesto indulgenza. Il Caos che divampa. Non avevo mai respirato un’aria con grasso di motore che frigge, l’acciaio dilatato dei binari, sangue bruciato, carne ammalorata, ossa frantumate, schegge di cortecce cerebrali, fumo denso di insetti onnivori, micro brandelli di pelle fluttuanti saturano l’ambiente nero come nei classici racconti epici, le carte affumicate dei manifesti pubblicitari incollate sui pavimenti, sulle pareti, i soffitti, le scale, e luci, tutta la parte colpita della stazione in uno stato tumescente. Sirene che girano senza sosta, rumori di barelle inceppate, sacchi mortuari che vengono aperti e chiusi, lamenti di corpi feriti, di cervelli che hanno abbandonato questo mondo, luminescenze incorporee che vagano verso i pali dell’elettricità e schizzano nella crisi irrisolta di questa mattina, vite dei santi liofilizzate in ossari mai esistiti. Inizia dall’inizio e vai fino ad una fine, quindi fermati. Le case e le paure delle persone abituate a vivere con poco, così calme alle due del pomeriggio di una domenica d’inverno, gennaio. Usciamo dai nostri posti, luoghi buii al neon e ci rimettiamo tutti in fila davanti ai binari che attraversano il Paese, dicendoci che questo non è un posto facile. Questa modernità di cui ci siamo riempiti il cervello, il sistema nervoso, l’apparato digerente e ancor prima la spina dorsale. Siamo noi tormentati nella nostra gioventù, con la fame rovinosa di un sole cadente, prima di di una banca commerciale del Texas. Registrazioni perse, il click-click dei nastri bloccati delle microcassette MC-60, lato A, lato B, raccontano di storie fallite con l’approssimarsi di quello che fu l’avvento del nuovo millennio, un'epoca pronta per l’onta di una nuova stella rossa, fredda, bassa, tecnologica, sorta per programmare i cuori e le menti dell’Occidente. Rimane solo un altoparlante che da qualche parte annuncia in termini sommessi l’arrivo in anticipo di un treno proveniente dall’altra parte del Paese, binario 011-B. Le rotative di stampa hanno già compiuto il loro dovere macinando tonnellate di carta con impressi caratteri neri che compongono titoli sensazionalistici di giornali dalle scarse tirature che finiranno prima di mezzogiorno tra le mani di commessi viaggiatori in abiti sciatti e sformati o su un bancone di un salone di bellezza frequentato da casalinghe che optano per le ultime mode da grido nel campo della coiffure e manicure. Tra qualche minuto la prigione di massima sicurezza concederà l’ora d’aria ai propri ospiti e qualcuno in questo Stato sarà libero di dedicarsi alla vendetta mentre consigli di amministrazione di multinazionali collegati in videoconferenza fissano il prezzo delle materie prime per i prossimi quaranta anni e tecno-burocrati impiallacciati emettono comunicati per tranquillizzare i mercati e legislatori dal volto deforme approvano l’ennesimo emendamento alla legge finanziaria e autisti in divisa estraggono dal vano del cruscotto della limousine una fiaschetta colma di Bulleit. A migliaia di chilometri da qua, armamenti nucleari riposano lungo un sonno viziato in bunker di località disumanizzate. In giro la gente discute ancora di genitorialità in vitro, di uteri in affitto, di adozioni trasversali, di confessioni religiose che nascono e muoiono nell’arco di una dissennata esistenza quotidiana. Infine, il progresso, ideato, governato e vissuto sull’intero pianeta nel segno di una parola globale: Desiderio. Qualcuno doveva pur sapere cosa trasportavano, carrozza 0013, sedile 8, certo. Ma non potete incolpare questa città, me, i passeggeri del Sunset Limited di quello che è successo. Nei Salmi è scritto: nella colpa sono stato generato, nel peccato mia madre mi ha concepito. E viene anche detto contro i giudici iniqui: spezzagli, o Dio, i denti della bocca, rompi, o Signore, le mascelle dei leoni. Di sicuro i controlli alla stazione di partenza hanno fallito. Pensare che quella bomba sia stata sotto quel sedile per oltre quarantotto ore, lì come un destino che doveva attenderci. Il treno è arrivato con trenta minuti di anticipo. La bomba è esplosa mentre il treno era oramai vuoto. Erano rimasti gli addetti al servizio di pulizia, qualche viaggiatore in attesa e di sicuro dei senzatetto che vagavano o che si riparavano nel sonno di una delle loro notti. Il canto libero del bardo ha cessato per qualche ora. Le vittime sarebbero state molte di più. Alle 5.00 ero ancora nei sottopassi. Sentire il boato di una deflagrazione in una stazione non è come sentirlo in una registrazione audio. Allo spostamento d’aria è seguita una bolla di fuoco e poi si sono mescolate insieme, facendomi balzare di una decina di metri. Lo zaino che avevo sulle spalle si è disintegrato, salvandomi. Mi sono risvegliato qualche minuto dopo. Almeno così pensavo. Erano passate oltre quattro ore. Sono morte 112 persone. Se fosse stato in orario, la bomba avrebbe potuto fare 1112 vittime. Mi sono alzato, un paramedico voleva soccorrermi. Me ne sono andato ed ho seguito le notizie alla televisione in un bar. Per diverso tempo sono stato incline a cose a cui non credo da almeno una decina anni. Cose già viste, dette, stradette, i vostri piccoli segreti al termine della notte. Dolcezza non ce la fai a stare in piedi. Non ci sono patti da rispettare, le piccole regole sulla vita comune, le stupide ideologie del mattino dei perdenti, non c’è niente di tutto questo. Forse una supernova. Visto per decenni. Tu piccola donna attempata, pensi di andare avanti così per molto. Tu, uomo solitario con la verità in tasca, continuerai ad andare in giro con il libro delle verità e le tue parole in tasca e cercare di essere il re del mondo. Un sadico direbbe: si finisce, iniziando. Tutte cose vere. Sopra di me, aveva una frangia di capelli di un nero denso. Temi ricorrenti. Predatori che nuotano ed uccidono in pieno oceano, sotto la linea dell’abisso intercontinentale. Mia moglie mi diceva: non vedo l’ora che venga la primavera, con i suoi colori, i suoi profumi, la luce del sole alle sei del mattino, tutti freschi per una nuova giornata. La cosa di cui accusano la mia città. Non posso permetterlo. Abbiamo finito? Bene, posso tornarmene a casa.







martedì, gennaio 17, 2017

337, Rivisto





Misera Plebs.

ORAZIO



Sì, mi ascolti signora abbiamo questo nuovo tipo di offerta, sì so benissimo che l’abbiamo delusa, so benissimo che non siamo stati la sua pensione dorata, ma non si preoccupi, noi siamo qui, io e lei,, la mia compagnia, il telefono e lei, per iniziare un nuovo futuro, un futuro così pieno di guadagni, certezze, di cose molto, molto, molto ragionevoli che lei, alla sua età, mi dica quanti anni ha, 79, 82, ok ci ho preso, 81, immagino che lei abbia figli e nipotini, che meraviglia. La nostra polizza offre delle condizioni che nessuno sul mercato ha ora, in nessuna altra parte del mondo. Sa come ha avuto inizio il mondo? Un individuo si siede di fronte ad un altro individuo ed inizia a parlargli, cercando di vendere il suo prodotto. Vede signora, proprio come lei e me, ora, potremmo essere seduti in un lussuoso hotel della Svizzera, in un bar di Parigi, in una banca di Wall Street: la cosa importante è fare il nostro accordo, siglare il contratto. Quindi io vendo qualcosa e lei, signora, la compra ad un prezzo - più le tasse più e la mia commissione. Ha visto come la giornata è cambiata. Sì, avevo una famiglia, Avevo anche una nonna che preparava torte, ma sono tutti andati e l’unica famiglia che ho e che mi rimane è la mia compagnia e io farò qualsiasi cosa per questa compagnia. Sono stato il migliore per 12 anni consecutivi poi mio figlio e mia moglie sono morti in un incidente. Mia moglie era alcolizzata, signora, mia moglie era una maledetta alcolizzata mantenuta che non faceva niente dal mattino alla sera e che ha portato mio figlio alla morte. Glielo avevo detto. Non portare mai nostro figlio in macchina se sei fatta. Non metterti in macchina. Il treno passò e. Signora cara, mi scusi, non posso biasimarla. E’ ancora in linea? Anche suo marito è morto. Capisco. Incidente sul lavoro. Morire sul lavoro è una casuale assurdità. Sa, si muore giorno per giorno, vivendo, diceva il saggio. Alcuni prima ed altri, inevitabilmente dopo. Sono contento di farla ridere, signora. Mi scusi ma ho delle strategie commerciali molto ciniche. Non dovrei dirglielo, ma sento di poter parlare liberamente con lei. Non c’è bisogno che firmiamo il contratto ora. Se vuole passo a prendere un caffè da lei, venerdì verso le due del pomeriggio. Bene, mi vedrà arrivare. Guido una vecchia mercedes verde oliva. E’ veramente una donna molto dolce, signora.
















742, Rivisto




Chi aspira alla verità proclama la giustizia,
il falso testimone proclama l’inganno.

PROVERBI 13,9






Guardo questo mondo, questo tempo che mi sono creato secondo una legge naturale che era scritta nei libri e forse fluttuava in una conversazione datata. Non siamo mai andati oltre. Mi chiese cosa dovessimo farne. Della nostra storia, delle sue figlie, delle notti e delle giornate passate in giro per quello che ci spettava. Perdite di grasso dal motore. Rumori morbidi e niente di più eccezionale. Frazioni illimitate. L’avevano licenziata dal posto di commessa del negozio di vestiti perché ritardava al mattino. La vita non è ingiusta, non c’è nessuna ingiustizia. Di quando in quando o come potrebbe essere. Abbiamo passato oltre diecimila anni a ripetere le stesse cose. Elaborati su una proposizione, sulla più ampia delle illusioni, ci siamo dati un percorso. Una piccola camera come il promontorio delle legge. Non ucciderai. La piccola famiglia passa. Cosa è andato storto. Ogni tanto mi guardo attorno, che sia in strada o nella mia stanza. Perché non devo rubare o prendere la donna d’altri. Mi hanno insegnato di non spostare il confine antico, di non invadere il campo degli orfani, perché il loro vendicatore è forte ed egli difenderà la loro causa contro di te. Esulteranno le mie viscere. E’ possibile. Per chi i guai, per chi i lamenti. La solitaria Dea della Giustizia. Una statua abbandonata su un’isola della Grecia Antica. Non c’è più nessun imperatore, nessuna religione, nessun codice e quando mi sveglierò, lui ne chiederà dell’altro. Come chiamano quelli come me. Come li chiamano. Siamo sempre stati distanti. Abbiamo visto troppo per l’età che abbiamo. Tutta questa vita. Ogni giorno, una storia. Questo è quello che ci siamo venduti per prendere l’età adulta. 





13, Rivisto







Se in quel momento uno non incontra queste istruzioni,
a nulla gli serve la sua dottrina religiosa, pur vasta come l’oceano.

LIBRO TIBETANO DEI MORTI







Esodo.

El Paso, da qualche parte ancora, Texas. La cordigliera al Confine esala. Da oltre un secolo una coramella è stata tesa lungo due nazioni, da un oceano all’altro; la lama del rasoio viene fatta passare di continuo producendo vibrazioni, suoni densi, contrazioni e tagli profondi, irrimediabili. Falsificatori. In un posto nel nome di Dio. Una lei e un lui, due messicani disposti a rivelarmi i particolari di un affare che si sta per concludere in una via dietro la Placita. Poco prima delle 5 di mattina, lontano da occhi indiscreti. Molto bene per voi, andate avanti, fate il vostro colpo. Li guardo uscire dal locale, con la testa bassa e quindi svoltare nel buio che si sono guadagnati. Il quotidiano del giorno dopo riporta le loro foto in prima pagina sotto il titolo di: Ricercati.


Atti Preliminari.

La vita è così ampia che non riusciamo neanche più ad immaginarla. Stiamo in bar solitari per cercare di avere quella che chiamavamo coscienza. Facciamo i conti con noi stessi per raccomandarci a noi stessi: poi non se ne fa più niente. Viviamo queste viste distanti e se non c’è termine alla notte, non facciamo altro che cambiare strada. Una donna in stato interessante si accarezza l’addome ricurvo; un vecchio seduto sulla panchina del parco mugugna; una bambina tenta di saltare la corda senza successo. E certo che ognuno ha la sua storia, i propri bisogni, le grandi ambizioni rivoluzionarie. E’ accaduto ancora una volta: la terra ha rigettato i propri figli, facendoli annegare nella regione delle paludi.


Degli Eventi Senza Misura, 1.

Una massiccia esplosione è avvenuta nella zona portuale, area Cargo C1. Le autorità hanno riportato con un certo grado di sicurezza che la causa è da attribuirsi ad un errore umano e precisamente ad una errata manovra di un operatore dell’area dell’incidente. L’addetto allo spostamento dei container avrebbe accidentalmente perso il contatto con un carico che si sarebbe sganciato, ribaltato e poi caduto rovinosamente sull’asfalto del piazzale, sfasciandosi e facendo aprire le porte. Di conseguenza, i barili di greggio custoditi all’interno sarebbero fuoriusciti, rotolando e colpendosi uno contro l’altro, scatenando un considerevole caos e un'incredibile situazione di pericolo.  Si attendono nuove notizie dalle autorità.


Degli Eventi Senza Misura, 2.

Le prime immagini delle telecamere del sistema di sicurezza mostrano come la vera causa dell’esplosione sia da determinarsi in una sequenza di eventi susseguenti l’errata manovra dell’operatore portuale. Una volta che il piazzale era oramai cosparso di greggio, il caso ha voluto che la rete elettrica della città avesse un improvviso sbalzo di tensione provocando in un cavo sovrastante la zona dell'incidente, sobbalzi e scintille, le quali riversandosi al suolo avrebbero detonato il greggio. Da lì la prima esplosione avrebbe dato inizio a successive esplosioni multiple, in quanto i container intorno a quello danneggiato avevano al loro interno materiale chimico altamente infiammabile oltre a, si teme, armi di contrabbando provenienti da un non meglio precisato Paese straniero.


Degli Eventi Senza Misura, 3.

L'esplosione ha provocato la formazione di un cratere di cinquanta metri di diametro e sedici di profondità. La dimensione della voragine è soggetta ad aumentare nei prossimi giorni a causa della friabilità del terreno sottostante e a causa del passaggio di forti piogge previste sulla regione. L’esplosione ha liberato numerose sostanze chimiche nell’atmosfera. Si prevedono complicazioni respiratorie e patologie dermatologiche. Gran parte della popolazione si sta trasferendo a nord, visto che i venti soffiano verso sud, portando le sostanze nocive verso l’oceano. Si temono conseguenze negative per l’agricoltura, la fauna e in definitiva, per l’intero ambiente ed ecosistema.


Degli Eventi Senza Misura, 4.

Le autorità hanno deciso di rendere pubblici i filmati integrali del disastro. Sostanzialmente la sequenza di eventi è stata confermata, così come la causa. Si è inoltre appurato che l’operatore che stava effettuando la manovra è di fatto crollato contro la plancia di comando del mezzo a seguito di un malore. Si crede che sia deceduto prima dell’esplosione. Quello che più ha impressionato l’opinione pubblica è stata la dimensione e la violenza dell’esplosione. Qualcuno ha parlato di natura atomica, altri di apocalisse. Intanto il cratere continua ad espandersi, sia in superficie che in profondità, tanto che il porto è per l’ottanta per cento stato inghiottito e non si riesce più a distinguere un confine tra terra e mare.


I Salmi Del Giusto, 1.

“ […] e perché questi eventi non sono casuali. Sono causali per voi? Voi il Dannato Gregge di Dio, Voi che avete abbandonato la parola di Dio Nostro Signore, sono eventi casuali per voi? Non c’è niente di casuale sotto il cielo di Nostro Signore il Potente ed Unico. Voi avete tradito la sua fiducia come fecero Adamo ed Eva. Voi avete giocato con la sua benedizione sulla nostra terra e avete portato il nostro Creatore alla Collera. La vostra avidità, la vostra lascivia. Sono sicuro che in una vostra giornata normale non vi fate mancare neanche uno dei vizi capitali. Siate dannati per quello che avete fatto. Potete redimervi? Io sono solo un umile strumento nelle mani del Signore. Spero che a breve mi parli della vostra salvezza.” 


I Salmi Del Giusto, 2.

“ […] e voi, donne gravide, pensate di portare un figlio sano, benedetto da dio, oppure il figlio del demonio? Siete sposate, avete rispettato la parola del Signore? Voi chi siete state? Le ancelle di Dio Nostro Unico Signore oppure le serve dell’Angelo Nero Lucifero? E’ inutile che vi mettiate a piangere ora, oramai è troppo tardi. Voi portate la maledizione dentro di Voi. Fate ammenda e chiedete perdono all’Unico Potente Signore Nostro Dio. Nella Bibbia sta scritto, Mosè disse loro: Avete lasciato in vita tutte le femmine? Proprio loro, per suggerimento di Balaam, hanno insegnato agli Israeliti l'infedeltà verso il Signore, nella faccenda di Peor, per cui venne il flagello nella comunità del Signore.”


I Salmi del Giusto, 3.

“ […] e sappiamo quindi che abbiamo attirato volontariamente su di noi l’ira di Dio, sappiamo che questa comunità è invisa agli occhi del Signore. Io gli chiedo di parlarmi ma ora Lui non mi risponde. Io ho cercato di fare di tutto per questa comunità, questa chiesa, questa famiglia. Ma voi avete abbandonato me e la parola di Dio. Non vi nascondo che per la prima volta ho paura del potere di Dio. Potrebbe schiacciarci un’altra volta, e questa volta per sempre. Cancellare questa città e le sue vite da questa terra. Ho offerto la mia vita in sacrificio a Lui, ma Lui non mi risponde. Sappiate, sono pronto a donare la mia vita per questa chiesa sofferente, per questa comunità colpevole.”


I Salmi del Giusto, 4.

“ […] e dunque venne la notte e la notte sprofondò nel buio dell’Inferno. Sedetevi qui mentre io prego, il Signore disse loro. Poi: Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà. E sapete cosa successe alla fine? Che tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono. Come avete fatto voi in questa città. Ma Gesù Cristo Nostro Signore è venuto al mondo per liberarci da tutti i peccati. E io credo in Gesù, io credo nel Nostro Salvatore. Lui verrà ancora una volta in terra e quando verrà per giudicare i vivi e i morti, i giusti dai peccatori, chi sarà in Paradiso vicino alla Luce Divina e chi verrà condannato al Fuoco Luciferino per l’Eternità?" 


Giudici.

La Commissione incaricata per l’indagine sul disastro ha concluso le proprie operazioni con una relazione ambigua, contraddittoria, giungendo a conclusioni che esonerano tutti i soggetti coinvolti da responsabilità, salvo l’operatore portuale che manovrava l’automezzo e colto, come ha confermato l’autopsia, da malore. L’uomo lascia tre figlie ed una moglie. Quindi l’esplosione, il cratere e la nube chimica sono da imputarsi ad un uomo morto. Il Pastore della Chiesa dei Sette Monti di Sion ritiene altrimenti che sia stata una punizione di Dio e che tutta la comunità sia colpevole. Ha inoltre espresso l’opinione di come il povero portuale non sia stato altro che un mezzo nelle mani di Dio come lo fu Giuda nel podere del Getsemani per il compimento della Volontà Divina.


Atti Conclusivi.

Qualche facile commento prima dell’inizio della serata ed, eccoci. Fantasie, oltre il Golfo. Una rapida medicina ci attende prima che i pescatori con le loro barche escano per collezionare crostacei o qualsiasi forma di vita cada nelle reti e nelle ceste. La decenza dell’età sul fiume universale che osserviamo prima dell’apparizione di un nuovo samaritano. Una Nazione sotto Dio, sotto la Sua Legge. All’orizzonte nessuna novità a parte il rossore di questo globo indeterminato. La selvaggia latitudine si sposta a suo piacimento, anche se questo non è fisicamente possibile. Un’allarme della protezione civile prevede allagamenti che devasteranno cento mila abitazioni. Le ricadute avranno conseguenze per anni.


Sapienza.


Uomini in un bagno della stazione dei traghetti cercando una visione definitiva, permanente, una costante che gli elevi. Una visione declinata nella distanza che dia un segno di perfezione a questo intero sistema. Una donna appartata guarda sconsolata una stampa che riproduce un quadro di Hopper e fa petizione per una richiesta di aiuto che mescola compassione a superbia. Una patina priva di empatia incarta l’intera scena. Il futuro perso del credente. Qualche individuo chiama se stesso, Noi il Popolo. Nuovi indizi di infedeltà, vecchi crimini coassiali. Una lunga varietà di prodotti congelati dentro ad un frigo ad anta multipla. Previsioni del tempo ancora da definirsi. Nessuna coda per l’imbocco dell’autostrada.







863, Rivisto







C’è chi distingue giorno da giorno,
chi invece li giudica tutti uguali.

LETTERA AI ROMANI 14,5





Senz’altro, dopo aver attraversato le Colline Rosse e, sicuro nei miei modi, dritto, perso peso, dopo aver riconquistato i luoghi della Grande Pianura, guardai indietro e mi ero potuto dire, per me e per loro, le bambine, siamo salvi. Per anni ho guardato al sole come se fosse la sveglia. Un uomo può essere imprigionato, l'altro sposato, l'altro con un buon lavoro e tante cose, l'altro con un'ottima pensione ed un'eccellente assicurazione medica o qualche altra polizza sulla vita. Diciotto ore di guida e non sai nemmeno una cosa, non sai niente più al mondo, tranne quello che ti passa il finestrino, il parabrezza, il lunotto e lo specchietto retrovisore di sinistra, in macchina, con una famiglia che non è la tua, o non proprio. Le vertiginose ore del collasso, la preparazione maniacale, l’omicidio istantaneo, la confessione dopo il decennio, portami nel posto che più ho amato quando non stavo con te. Mamma sto bene, mamma sto bene, avevo risposto. Non era del tutto vero ma avevo un giornale in mano ed ero in fila alla stazione di servizio. 20 sulla sette più un pacco da sei. Cambiamo. Pacco da sei più un altro. Ottimo affare. Non potevo dirmi più disperato del giorno prima. Fermai la macchina, loro dormivano, altra stazione di servizio. Poi un motel, in quattro in un letto. Dormire abbracciati o meno. Ad Ovest il buio era così visibile. Il Rosso delle Colline per me non era altro che un vecchio sintomo del Tempo, senza coscienza, la liberazione dei sensi, l’energia elettrica sospesa nella provincia per allagamenti. Baton Rouge non è New Orleans. Altre Storie, Louisiana. Il solito stare nelle strade. Vedere la Gente, Parlare con le Persone. Fine della Città. Algiers, Ancora. WSB. Nessuno mi avrebbe dato ragione, guardandomi in faccia, vedendo i miei vestiti e gli anni che avevano schiacciato la superficie della mia faccia. Passando, forse un’eruzione universale, su una scala ben più ampia di quella che siamo abituati a vivere di giorno, avrebbe tracciato un solco per dare un segno alle famiglie di questa nazione. Dai sondaggi sembrerebbe che la popolazione stia bene, che stia ripartendo nei consumi. Non fumo più da molti anni ma ogni tanto compro grandi quantità di tabacco sfuso giusto per rivivere i fasti dei buoni momenti. A questo punto della città le costruzioni sono basse, e gli intonaci sulle facciate di mattone o di legno si screpolano, si sfaldano, e se un dito potesse passare sopra, gli interi edifici crollerebbero. Non vive più nessuno qua, se non qualche individuo con occupazioni saltuarie. Interessante. Dietro l’angolo, fanno del caffè ottimo, vendono fiori.