lunedì, settembre 19, 2011

Thomas il maestro



La mattina era iniziata con l’inno alla tromba, uno stiracchiato soffio marziale degno dei periodi di guerra più assurdi ed inutili che un soldato può permettersi di incontrare quando è chiamato a compiere il proprio dovere.
Annaspavo mentre la signorina Levar mi pungeva con un ago caldo, la signorina Levar, una delle infermiere più disilluse del nostro essenziale ospedale da campo … dicevo di annaspare mentre bucandomi la signorina Helena Levar non mostrava compassione, né rimorso alcuno per aver compromesso ripetutamente la salute ed il retto andamento delle mie facoltà cognitive con le sue pomeridiane medicazioni.
Sentivo i passi della capo reparto, la madre Durkeim, come va generale, la vinciamo questa guerra?
Oh il nostro istrione, come sta caro? La trattano bene? Procede bene il suo Musil? Helena, il dottor Egres ha autorizzato il calmante, glielo dia, glielo dia. Mio caro la faremo dormire bene ora.
Chiaro madre Durkeim.
Signorina Levar Helena! L’ho già ripresa più e più volte in merito! Ad un mio comando lei deve rispondere con le esatte parole sì, signora madre. Glielo ripeto. Sì, si-gno-ra madre. Ha capito adesso? Ma si ricomponga, eviti queste inutili scenette da pianto! Si asciughi immediatamente quelle lacrime dalle guance! Se le levi! E’ patetica!
Dopo questa scenetta, come la chiamava la signora madre Durkeim, Helena Lavar mi conficcò l’ennesimo ago ed iniziai subito a chiudere gli occhi e mi vedevo di ritorno in città, finalmente lontano dalla guerra, di nuovo tra i tavoli della biblioteca centrale dell’università tra i miei libri pronto per un concerto sinfonico o una rappresentazione teatrale e dopo sarei andato alla taverna Gavrash con amici o a starmene appartato a riflettere e quando nelle strade i desideri degli uomini incappano in vicende sentimentali o assassine, io avrei imboccato la tetra e pensosa scorciatoia per in ponte Ginsbergen, attraversandolo di corsa sotto una falce di luna, senza che nessuno fosse capace di emettere suoni tranne un’oscura civetta di passaggio e a qualche decina di metri di distanza dal ponte Ginsbergen stava la casa dove abita Domitilla Piranesi.
Come si può dire ad un uomo che quanto ha fatto per quattro anni interi è finito, che è stato demolito nelle macerie e che con esse è deceduto, che è stato bombardato, vittimizzato, che ha cessato la sua implicazione con il mondo reale, ovvero quello che sta fuori dalle mie pupille iniettate di farmaci che non mi fanno sentire il dolore, non mi fanno ragionare, leggere, figurarsi scrivere … risento le parole di quello che mi vendeva l’inchiostro, quel becero di un vecchio idiota di provincia, lei pretende troppo …
Se c’è una cosa che ho fatto nella mia vita è stato pretendere, ma certamente non nel senso che intendeva lui, un venditore di articoli di cartoleria porta a porta, povero diavolo, gli ero affezionato, mi ero sempre riproposto di offrirgli un bicchiere di vino alla taverna Gavrash.
Una mattina dovevo andare in università per assistere ad una delle ultime lezioni di estetica ed un mio compagno di corso, una delle bestie più rare che io abbia mai conosciuto con l’unica qualità umana di saper stare sempre zitto, mi stava venendo in contro con fare da indemoniato, con andature scomposta, forsennata, è chiusa, è chiusa fino a novembre, è crollata una trave!
Conoscendo Thomas e la sua spavalderia nell’affrontare colossali bevute, volli verificare di persona che il crollo della trave non fosse frutto della sua ebbra immaginazione.
Per me fu un trauma: l’intero corpo accademico riunito in assemblea fu travolto.
Va bene Thomas andiamo a bere qualcosa. Vai alla taverna che ti raggiungo più tardi.
Alla parola bere Thomas stava già saltellando in direzione della taverna Gavrash ed io stavo andando in libreria.
Giunto a metà del vicolo Idonoff vidi una donna seduta sul ciglio del marciapiede che si lamentava gemendo.
Signorina tutto bene?
Io non ho più nessuno al mondo, da oggi. E lei mio gentile giova.. la stavo chiamando giovanotto ma vedo che lei è un signore distinto, educato e di buon animo per soccorrere una donna disperata. Oggi ho perso il mio promesso sposo e il mio amato padre. E lo sa che l’Europa sta per farsi guerra di nuovo, o forse è già scoppiata e non me ne rendo conto.
Signorina se permette l’aiuto a rialzarsi. Si aggrappi al mio braccio, alla mia spalla. Ecco, tenga pure il mio fazzoletto.
Può accompagnarmi fino alla porta di casa? Lì può lasciarmi.
Come vuole.
Dopo aver salutato quella donna, decisi di non andare in libreria e di dirigermi direttamente alla taverna.
Thomas rubicondo, euforico era al solito tavolo e mi attendeva con una bottiglia vuota ed una appena iniziata, urlandomi Johannes, Johannes Maria! Sono qui, la fortuna ci ha colpito! Stanno arrivando anche gli altri! Lo sai che sono morti anche quel figlio di una cagna di Piranesi con il suo futuro genero? Proprio quella coppia di omuncoli  che aspirava alla cattedra di Ulyakov!
Lo stavo soffocando. Cercò di colpirmi, ma io gli feci sbattere la testa contro un pilastro di legno e Thomas capì che se voleva essere ammazzato come un cane ero pronto.
Hai detto una cosa molto grave. Non si sputa sui morti. Ora offri da bere.
Alla quarta bottiglia dopo un silenzio di un’ora e mezza, gli dissi che a causa di quelle morti una donna era rimasta sola al mondo e stava disperandosi.
Scusa Johannes ma sai come siamo noi gente di campagna, animi semplici, alle volte un po’ rozzi.
Thomas voleva fare il maestro nella piccola scuola del suo paese e qualche giorno fa per lui la tromba è suonata per l’ultima volta e non è riuscito nemmeno a dirmi una parola perché una raffica l’ha ucciso all’istante, mentre marciava verso la trincea sud-est.
Ora devo scrivere questo a sua madre.

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