martedì, settembre 13, 2011

Erica Maarsha



All’inevitabile notizia della morte del padre, una morte improvvisa quanto mai liberatoria, Erica Maarsha, fresca trentenne con una zazzera rossa coltivata con capelli scalati, diede un’occhiata fuori dalla finestra della cucina e continuò da dove si era interrotta prima che il telefono prendesse a squillare nervosamente, affondando le labbra nel bordo del bicchiere, ingollando un sorso sostenuto di Bushmills, lasciando il bicchiere vuoto tranne un misero alone giallastro sul fondo.
Non avrebbe dovuto dirlo a nessuno. La madre giaceva nel cimitero di Feenda da un decennio. Nessun altro parente da avvisare, con cui condividere un pianto straziante per il dipartito. Tuo padre è morto, Erica.
L’esperienza da quel momento in poi di essere orfana, sola al mondo, l’affascinava. Un ultimo sorso per non lasciare indietro niente, bicchiere finito Erica, stavolta.
E’ facile, devo sbrigare le faccende pratiche, andare all’ospedale, riconoscerlo, parlare con un’agenzia di pompe funebri, comprargli una bara, organizzare il funerale, seppellirlo nella fossa già pronta accanto a mamma e dire addio papà, così sia.
Disposto sommariamente il piano di azioni da compiere senza tralasciare qualche eventuale variabile, Erica Maarsha si trovava seduta al tavolo della cucina con un bicchiere di whiskey irlandese vuoto, trent’anni appena passati, molte recriminazioni sul suo vissuto ed un rapporto con suo padre definitivamente fallito. Il padre se ne era andato (tuo padre è morto, Erica).
Chiamò la sua amica Dana. Non so se essere in colpa, provo indifferenza, anzi non provo niente.
L’amica le fece il quadro della situazione. Con la morte di tuo padre potrai dipingere a tempo pieno per via dell’eredità.
Non credo che lascerò il lavoro. Almeno per adesso. Mi piace lavorare con i ragazzi. Il futuro non lo si sa mai.
E’ inutile che continui a ripetermi che non mi capisci, fidati che è sufficiente che mi capisca io, vuoi che venga da te? Ah c’è Dmitrij. Non mi scolo due bottiglie, promesso. E poi comunque sono cazzi miei, è morto mio padre, che cazzo di promesse mi fai fare.
Dieci anni prima Dmitrij era stato il grande mancato amore di Erica. Lui voleva fare lo scrittore lei la pittrice. Entrambi impazzivano per la musica, qualsiasi tipo di musica e famose sono rimaste le loro apparizioni nei locali di musica dal vivo di Feenda. Lei si arrangiava sul piano e lui con la chitarra, e spesso si invertivano gli strumenti. La sua amica Dana tutte le volte le diceva non so come fai a stare con un soggetto del genere poi quando è in odore di bevute pesanti sarebbe da ricoverare ma hai visto come si riduce come fai a stare con un uomo del genere non lo capisco. Erica le rispondeva di trovarsi un uomo. Dana aggiungeva una cosa è sicura con uno così mai piuttosto zitella per tutta la vita.
Dopo due anni di convivenza due fatti piombarono nella loro vita: la morte della madre di Erica e il successo di Dmitrij ed entrambe le cose capitarono nello stesso momento.
Erica cadde in una terribile depressione come Dmitrij raggiunse un costante stato di esaltazione e qualche mese dopo si lasciarono.
Seduta al bancone del Frida Lounge pensava a questo e a come la sua vita fosse iniziata nel 1979 quando accadimenti di vario genere si avvicendavano sulla scena globale, dal sequestro dell’ambasciata USA in Iran al pieno corso della guerra fredda con le immagini di Breznev che passeggia sulla Piazza Rossa con alle spalle missili a testata nucleare, dagli svariati festival commemorativi di Woodstock alle trasmissioni televisive per i dieci anni dell’uomo sulla luna.
Fino alle tre di notte del sei dicembre del ’79 Bruno Maarsha era stato un uomo risoluto, granitico, riuscito nel proprio intento di guadagnare denaro e la posizione di esponente dell’alta borghesia di Feenda.
Il matrimonio con Linda Gustavi e la nascita della primogenita – che poi rimase l’unica e sola figlia – corredarono le sue aspirazioni di successo.
Era uno di quegli uomini che scambiano il senso del dovere con la propria personale visione del mondo … quel maledetto senso del dovere voleva impiantarlo a me, solo negli ultimi anni ha capito qualcosa della vita, povero vecchio con tutti i suoi milioni e solo.. quanto mi hanno fatto male le sue parole … ti aiuto solo perché sei mia figlia. Dio è morto e si è portato nella tomba vicino a mamma il senso del dovere.
Il padre stava due metri, forse tre, sottoterra, per sempre e per sempre significava oltre la durata dell’esistenza di Erica e oltre ancora.
Passando davanti al colorificio guardò le tempere esposte in vetrina e alitandoci contro scrisse non voglio dipingere più.

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