mercoledì, settembre 21, 2011

In attesa



Ecco, la mia faccia si è allargata in un sorriso, si è smagliata in uno squarcio, si è ridotta a rappresentare “quello che si è” …  ho preso tutto quello che dovevo prendere e il comunque non manca mai.
Ai cari tempi, ai tempi, l’ho fatta franca, con quel gesto ho dato un impulso irrefrenabile.
Oggi va di moda il 1977, anno impagliato, domani è grano da prendere a piene mani, ma la parola per me, la parola a cui aspira uno come me, a cui elevo il mio oltraggio, oltre cui non intendo azzardarmi, la parola è lo spazio di ogni uomo, il proprio abomino messo in strada, in scena, un sordido mal di testa mal recitato.
Poteva ben finire così e ce ne erano i presupposti.
Oh, il casellario della posta. Quel grandissimo minorato, quell’eminente nullità che si occuperà della distribuzione della posta lungo gli inverni, lungo il viale. Non arriva mai la domenica in certe situazioni e quando mi hanno abbandonato, sbattendomi su questo letto di ferro, non è niente rispetto a come ho ridotto i vestiti e la stanza di quella povera crista. Ah, gli anni … combattere, difendersi, attaccarsi, ritirarsi, abbattere, estirpare quando se ne ha l’opportunità. Ho compilato questa lurida traduzione, questa incompleta trascrizione, un difficile traslitterazione da capo a piedi e dal fondo del piede alla cima della testa per intravedere e vedere cosa ha funzionato, cosa è stato rivelato, accertato e si è addentrato fino in fondo alla terra. Sono un credente fervido di fervente fervore, si direbbe dopo una non  accurata prima impressione.
Ora, devo essermi perso, quando faceva freddo, con molto liquore alle more sullo stomaco, ma non una quantità tale da giustificare l’accatastarsi di quella serie di azioni, di quelle concrete omissioni, del fatto e non fatto, in poche parole. Quella terrificante serie di notizie, indiscrezioni, sull’aspetto del possibile attentatore o meglio sull’indagato, il prospettato assassino.
Uno qualunque, si va avanti a dire nei cortili, nelle piazze, nelle automobili che occupano i parcheggi degli ospedali, nei tragitti infami che portano migliaia di persone sul posto di lavoro, negli specchi dei camerini dove donne fanno un pensiero languido e lussurioso. L’essere umano è una bruttura sconfinata e sconfinare nella bruttura dell’essere umano è un vantaggio sconfinato.
Si crede, si punta come quel troglodita di Pascal sull’aldilà, psicopazzo che uccide, titoli che corrono in prima pagina, ma questo non vuol dire che si uccida, che qualcuno abbia ucciso, o che qualcuno abbia deciso di uccidere in quel modo.
Tutte quelle fandonie, quelle fantasticherie sugli assassini che corrono via …
Un individuo non è che preda e depreda la preda delle sue stesse           parole finali, delle sue ultime occasioni di vita.
La penitenziaria, l’addetta di turno, mi chiede doveva fare quella telefonata.
Immagino che, ai limiti della mia personale convinzione, in questo genere di cose arriva il momento in cui arrivano a prenderti, non so per portarti dove, ma a prenderti certo che vengono.
Mi chiedo: come si presenteranno, dichiareranno la loro appartenenza ad un corpo, la militanza ad una corrente di pensiero piuttosto che ad un’altra, il loro stare in società …
“ […] donna uccisa nel proprio appartamento. Dopo lunga m..., il marito le ha inferto il colpo di grazia.”
A questo punto si dovrebbe dire “si attende la sua piena e spontanea confessione.”
Morire in un modo così silenzioso che i vicini non hanno avuto di accorgersene. Per quattro ore sei andata avanti senza neanche respirare e gli occhi ripiegati all’indentro come due fiori chiusi. Non è vero che i morti emanino fragranze nauseabonde, ferine, rivoltanti. Neanche lì si può dire che sia veramente finita, come ti piaceva quella frase rubata che torturavi dal mattino alla sera, dal giorno che ti ho conosciuta, carnalmente conosciuta.
Ottanta canne scure lungo il perimetro del nostro cortile, ottanta canne ingioiellata dalla tua cura per le cose
che abitano il mondo esterno e lo ingombrano, talvolta deliziandolo, talvolta smembrandolo, ottanta canne scure nel nostro destino scrivevi prima della malattia e quando te lo chiederò, per me, la farai finita.
Dolores con le orecchia a cipolla e giù a ridere quando te lo dicevo, Dolores andante per il guado con il corpo miracolosamente inodore, marciando verso ottanta canne prima di un lembo di terra da cui spunterà solo una ciocca di capelli.
Come ti piaceva Henry Lee. L’abbiamo ascoltata per tanto tempo. Ma adesso non ti seguo subito, non ancora. Lì per lì mi ero aperto una bottiglia, ero sceso in strada verso il commissariato di zona o la questura, quello che è.
Io, Alberto Maria Cartazor, marito di Dolores Yoanni in Cartazor, io la ho ammazzata, in modo determinato, cosciente, libero, intenzionale. Sono qui per costituirmi. Fate quello che dovete.
Ti ho lasciato un paio d’ore sole. Poi sono venuti a prenderti per portarti via nelle loro stanze di stato.
Mi hanno permesso di assistere a quando ti hanno messa nel forno.
Eri in casa ma in strada c’era un odore pesante, mi sono dovuto mettere il fazzoletto sul naso e sulla bocca ed ho dovuto premere.
Prima di lasciare la libertà sono entrato in un bar dove non mi conoscevano e mi sono fatto l’ultimo paio di bicchieri. Forse mi avevano visti solo passare, probabilmente con te, mentre mi spalleggiavi ed adesso mi vedevano solo, ubriaco, con la faccia di uno che ha appena visto la morte.
Dolores, in bagno sono crollato aggrappandomi alla tazza e ho detto mio dio adesso che cosa faccio, ma dopo che sono uscito dal bar ero di nuovo in strada e mi sentivo bene ed ho sentito quello tranquillità che avevamo seguito per dieci anni, qualcosa di decisamente sbagliato nel nostro vissuto, nelle nostre scelte di vita si dice, a te è arrivata la malattia e ti ha ridotta a trenta chili, anche la bara sarà più piccola, forse su misura, scherzo Dolor maior et ubi minor lo sappiamo, una delle nostre preferite, una delle mie porche invenzioni di parole, una delle mie esaltazioni.
Tu hai sempre creduto in Dio e negli ultimi mesi hai confessato ho creduto talmente tanto che ho raggiunto il livello del sospetto, ho visto, intuito qualcosa.
Con il passare del tempo mi perdonerà, come io ho perdonerò lui per averci portato via  nostra figlia per i suoi secondi fini, ma quello che ha fatto con te è stato troppo.
Suicidi e assassini quando passeranno la linea verranno con in mano il sapore dell’oleandro, per gli altri rimarrà il dimesso canto.
Dirò queste tue parole al giudice.

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