lunedì, settembre 12, 2011

Testo d'accoglienza per la presentazione del libro "Cronache del vissuto inverno"



INTRODUZIONE PER UNA PRESENTAZIONE


Nell'affrontare un testo, si potrebbe dire, prima di iniziare ad affrontare la questione di una propria scrittura, bisogna decidere e realizzare qual è lo spazio, qual è la superficie su cui si intende sviluppare, stendere, il proprio cervello.
La domanda è: di che cosa sto andando a scrivere. Cosa sto per scrivere.
Perché uso queste parole e perché mi volgo verso questo determinato tipo di linguaggio.
Nei fatti, la domanda, verte sugli effetti della stessa e non sulla sua causa.
E' completamente irrilevante il perché io mi muova, mi danni l’anima, studi, per scrivere. E’ una causa di nessun conto.
Nell’atto dello scrivere è pienamente insito l’effetto creando.
Questa non è un’idea che tormenta colui che si accinge a scrivere, ma è qualcosa di presente, di ben delineato.
Saltando il secondo snodo, l’effetto, andrei al mezzo contenuto nel rapporto di causa ed effetto de quo. So di star tornando indietro, so che sto facendo qualcosa di ellittico e so anche di muovermi lungo un percorso per niente affatto rettilineo.
Un individuo scrive per la parola.
Questo è il punto fisso.
Questo è il pugno su un tavolo, una pestata di piede su un proscenio, il silenzio in sala prima di un’esecuzione concertistica, questo la prima goccia di tempera su una tela.
Allora, adesso, le mosse sono prese da quel punto fisso, scrivere per la parola, e a quel punto fisso ci si arriva solo con la volontà di. Lungi da me volermi spingere in un tentativo di analisi sul luogo di provenienza di quella volontà specifica.
Nei libri essa risulta come la volontà di voler comporre un testo, quindi di sviluppare un discorso, quindi di articolarlo, quindi di voler usare certe parole, quindi di voler parlare.
Questo voler parlare tramite un linguaggio tiene in sé tutto l’atto della scrittura, intesa nel suo senso più scarno, più materiale se vogliamo, ma non direi più essenziale.

Credo che la parola sia espressione diretta dell’esistenza di un individuo.
Troppe vicende umane sono troppo importanti per essere limitate a priori al solo campo dell’agire, alla meccanica tesa della sola fattività, all’egemone dominio delle azioni umane quali mercantilistico prodotto di una vita intera.

Porto alla Vostra attenzione un qualcosa di molto banale ed al tempo stesso molto personale.
Quando pensiamo ad una persona sono certo che la prima sensazione psichica è un immagine più o meno presente.
Ma se ci mettiamo lì, concentrandoci, se ci si mette lì perché si vuole sapere, si deve sapere, abbiamo bisogno di ricordare, di risentire la voce del tale o della tale, dobbiamo poterla sentire in uno spazio invaghito dal tempo e dalle situazioni intercorse, dobbiamo ripercorrere con l’udito le parole pronunciate, poiché, salvo casi eccezionali, una voce ha senso di esistere in quanto pronunciatrice, articolatrice di parole.
La parola non è solo la remota estrinsecazione di un ricordo, la traccia marcata di una persona che è passata per caso nella nostra vita, ma è la sua vita nella nostra.
Difatti ciò che ci fa più felici, ciò che solletica il nostro buonumore, la nostra fantasia, sono le parole che i nostri amanti, i nostri padri, le nostre madri, ci hanno detto.
Questo è indubitabile. Quant’è indubitabile l’opposto.
Ovvero che più che dai comportamenti ingiusti ricevuti, siamo segnati dalle parole ingiuste.
L’essere umano non è una misera sommatoria di fatti, di gesti, ma è una di questi ultimi e soprattutto di quanto si è sopra detto.
Il veicolo di un’esistenza, in fin dei conti, è la parola.
Credo che per uno che tenti di scrivere, questa sia una verità difficilmente controvertibile. 

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