venerdì, settembre 16, 2011

Il caso Bangli


Quando la giuria si è avviata in modo scomposto verso casa, all’occhio del cronista di giudiziaria Christian Chrosof è balzata la giurata n° 9, bassa, minuta, sempre abbottonata nel suo tailleur marrone impreziosito da improbabili decorazioni madreperla intorno alle asole.
Per il caso del quadruplo omicidio Bangli Christian Chrosof, la penna di punta del Vert Point, un quindicinale di irregolare distribuzione e di scarso pubblico, era l’uomo adatto: quarantenne, oramai lontano dalle illusioni che si hanno ad inizio carriera e dotato di fiuto per le persone e le loro storie.
Il voto della giurata n° 9 era stato miracolosamente determinante per il verdetto di colpevolezza: cinque a quattro e la pena di morte come premio.
Era l’ennesimo caso dubbio a Naledo. Stavolta era più dubbio del solito.
Matubo – per tutti era solo Matubo, intanto veniva portato nel carcere di Duban per l’esecuzione e quando aveva sentito il responso della giuria era crollato a terra assieme alla zia presente in aula e morta di crepacuore poco dopo per la notizia e per l’incontrollabile dolore della perdita di Matubo, che aveva cresciuto sin dall’infanzia dopo la morte della sorella Lisa per AIDS. Morì sul colpo la non più giovane Haieda, perché Matubo non poteva averle detto che la verità del Signore (Matubo era pieno d’amore per la sua zia). Per questo morendo lui, Haieda si lasciò morire, non avendo nient’altro al mondo e non potendo reggere una seconda morte in famiglia per di più in quel modo (impiccagione).
Il giornalista del Vert Point Christian Chrosof si era ripassato tutti i bar di Naledo. Non è che qualcosa nell’intero caso Bangli non gli tornasse, fosse stato solo quello. Venne travolto dalla morte della zia di Matubo avvenuta alla sola pronuncia della sentenza capitale. Ne uscì intossicato dal dolore, dal male e da tutto il resto.
Mica si era laureato in legge per finire in quel modo, pieno di dubbi, tradito dal sistema, totalmente bevuto ed a fare il mestiere di cronista giudiziario di una piccola e squinternata rivista.
Che ci fosse segregazione, persecuzione, razzismo e ingiustizia nei confronti della popolazione di colore di Naledo era come respirare l’aria, ma il fiuto di Christian Chrosof stavolta si era abbattuto su quella casalinga dai capelli corvini tirati indietro sulla nuca, completamente foderata in quel tailleur marrone chiuso con quei grossolani bottoni; il ritratto che si era fatto della signora Rustic, vedova cinquantenne, era preciso.
In un caso come quello Bangli il ragionevole dubbio doveva avere per forza il sopravvento, almeno non doveva essere calpestato, soprasseduto per l’ennesima volta.
L’accusa non aveva nessuna prova certa, inconfutabile: solo incongruenti, inconsistenti testimonianze indirette, che individuavano un’ ombra di un ventunenne di pelle sicuramente scura, di media statura e corporatura. Questo e tanti altri fatti processuali di contorno stavano conducendo il collo di Matubo al cappio.
Chrosof si svegliò il giorno dopo assuefatto, con un leggero tremore alla mano sinistra e con un cono di cartone contenente cibo cinese, cacciando un mezzo urlo tra il lamento e la voglia di riscatto compose il numero di telefono del Vert Point.
Francois ascolta, stavolta ce l’ho, lo sento. Lo so che qualche volta posso essermi sbagliato e anche in modo imbarazzante per me, la mia carriera e per la rivista. No. No. Solo qualche bicchiere per rischiararmi la gola e farmi vedere le cose sotto un’altra angolazione, quella della verità. E l’ho vista. La giurata n°9, quella del cinque a quattro, del vivi o muore, la carnefice, è corrotta. Non ho ancora prove del suo coinvolgimento. E’ ovvio che vi sia implicata la polizia. Lo so che ci ascoltano! Però gli ha fatto piacere quando gli ho fatto quello straordinario articolo sulla nuova scintillante sezione della biblioteca dell’accademia di polizia! Gli piacciono quelle cose, eh! E gli piace anche metterlo nel culo ai neri! Stavolta li mandiamo a casa tutti! Grazie Francois. Sì mi calmo. Va bene. Capisco. Grazie per il tuo consueto mancato appoggio. Un vero direttore di giornale. Farai carriera. Andrai al Post, di sicuro e in fretta. Sei un fottuto reazionario! Sai cosa faccio? Telefono ai cari cugini del Philosophes dimanche e gli propongo l’inchiesta, cagasotto. Ci vediamo.
Prima di chiamare la rivista da dove solo qualche mese addietro se ne era andato per divergenze editoriali, pensò di fare una pausa meditativa, di guardarsi allo specchio e di provare a bere del caffè nero.
Il suo aspetto riflesso nello specchio del bagno era quasi tollerabile, a parte lo strano colorito che guarniva le occhiaie. Decise di non bere il caffè. Solo un succo d’arancia. Neanche quello. Meglio acqua e ghiaccio e limone. Si mise il suo abito verdone ed uscì con le sue matite, il quaderno per note, il registratore portatile ed un berretto dei Boston Red Sox in testa.
Poteva andare meglio nella vita, e invece no. Vediamo l’oggi cosa ci riserva.
Guardò un orologio di una farmacia per strada, erano le 15.28: l’ora della verità sul caso Bangli, quella verità che tutto il mondo aspetta. Entrò in un bar e richiamò il Vert Point.
Pronto sono Chrosof, allora ci sono novità? Passami comunque Francois Darla, grazie. Lo sapevo. No non era il tipo di novità che mi aspettavo. Quindi ha confessato… L’avranno costretto! In effetti la zia è morta e non ha nessun altro al mondo. Sì non avrebbe avuto molto senso. Il contenuto della confessione?
Dopo aver agganciato molto lentamente la cornetta del telefono, chiese al barista del Frank’s una Miller ed un Paddy triplo, liscio.
Matubo – perché tutti lo chiamavano così e basta, aveva ucciso a colpi di fucile l’intera famiglia Bangli, nella notte mentre dormivano. Nessuno di loro fece tempo a difendersi. Madre, padre e le due figlie.
Il motivo: non volevano rientrare dal prestito concesso dalla zia Haieda, che non era altro che una delle più spietate usuraie della zona.
Matubo quella notte avrebbe voluto solo spaventarli, ma l’assunzione di metanfetamine, crack e parecchio alcool, lo portarono a commettere gli omicidi.
Le sei del pomeriggio di Naledo sono fatte per non passare mai e sopra le spalle di Christian Chrosof il tempo non era più veloce. Ordinò il suo terzo giro, ancora un’altra corsa, ed iniziò a pensare al prossimo articolo sulla nuova esibizione di Mark Bradford. Per un po’ avrebbe lasciato stare la giudiziaria.

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