venerdì, settembre 30, 2011

Parole di Lew Welch, parole in qualche modo condivise









Soltanto i più poveri, o gli eccentrici, sanno circondarsi di sagome di estrema eleganza (che verranno presto demolite) tra cui si muovono con grazia signorile come obbligati dalla povertà stessa. Noi teniamo gli occhi aperti, per non essere investiti, ma poi basta che uno si sposti qualche metro, e l'intero gigantesco macchinario ci passi di fianco, senza degnarci di uno sguardo.




Nero fuori, ovvero tu non puoi ritirarti dalla bella e la bestia



Il mondo di un'opera come questa
è il mondo antico di sempre
dice Malraux
l'uomo la folla
gli elementi la donna il destino
parlando del mondo della tragedia
l'altro giorno a proposito di tragedia
alla radio è scappato il nome di Jaspers
e subito ho pensato a Uber das Tragische
poi hanno passato la trilogia berlinese di Bowie
e anche quello è stato un viaggio
troppo lungo qui per parlarne
ci vorrebbero bobine chilometriche &
laboratori di fotografia sempreaperti
anche dopo la loro chiusura
per farsi un bicchiere con loro
qualcosa di diretto
per parlare delle tue pellicole
e di come sia andato lo sviluppo
di quella serie di rullini comprati
a ridosso di un'impietosa strada di Baltimora
dopo aver visitato il museo di arte contemporanea
ed aver baciato l'unica donna che stava alla cassa
citandole Jack Spicer 'la mia Euridice personale'
dandosi un nomignolo preso da il
Dizionario del diavolo di Bierce
facendo tutto velocemente
tradizionali violino & voci
cantando sentendo
origliando trascrivendo
prendendo posto a tavola
dopo un premio Pulitzer a Snyder
leggendo Welch & P. Lamantia
per una stantia 'ntossicazione bianca
sopra la leggenda di Duluoz
celebrata da una libreria che mi manda ogni giorno
i suoi profumati appuntamenti
Divina Commedia e tourbillon di letture poetiche
il mio nome non c'è mai
mi affido alle parate estetiche della mia parete
astraggo & somatizzo
private escatologie della pagina


Malraux


Link per "Parlando di Jarold & altri racconti"

Ecco che arriva, brano dalle Cronache del vissuto inverno

Link per i Canti della Costa

Presa diretta


lunedì, settembre 26, 2011

Uomo di buona fortuna



Chicago Nights
gente mi chiede
se vivo qui
ma sono solo di passaggio
Tavern Picknway o Pinnepines
molta gente attorno al bancone
sempre che chiede per rifornimento di alcool
tanti neri & Mr. Obama
ai giardini in riva al porto
una tartaruga di stadio
di cui non sanno dirmi il nome
non so cosa significhi
Chicago con tutto questo
una coltellata
nella schiena compiacente
un bel niente
le ore passate a cercare
il Perduto Quaderno del Maine
le molte ore dietro a rosse
con grandi mascelle
proprio in questo posto
Chicago Kingstone Miles
Halsted Street
un'ora distratta dove niente conta
e niente va a contare
1/4 di birra per una blueswoman scassata
chissà cosa canterà
stupide note di Chicago
questo locale chiude alle 5 a.m. man-sir!
gradite scommesse sul destino del mondo
prese a bordo
prese di mira
notturni rifugi presi d'assalto
tutto è prenotato
e le case sono chiuse
nelle vie dove scatole di rottami roteano
fili dei bus innumerevoli
poi finiti giù in buche pozze
è il grande destino del conoscere
un avvertimento colossale
piantato su una pietra sacrificale di passaggio
memorie prese a prestito
dimenticanze dei padri
ributtate nelle tombe dei figli
registi di teatro ritirati a vita per questo
presi a calci dagli alti vertici del partito
con idiozie funebri celebrate
da preti sconsacrati
dipendenti da servizi segreti di una nuova religione
una botte mezza vuota di dio
perché ostetriche hanno
un mestruo interminabile e piuttosto forte
per pezzenti idolatri dei centro città
Dylan Thomas piange
e ha bisogno di una bottiglia
per attraversare le considerazioni
della scuola di Frankfurt
appena accettabili
strani scrittori che hanno finito di vivere
critici di arte venduti allo zoo
antenne trasmettono
attraverso oceani ricoverati
in mondi dalla O allungata
in una camera di un ragazzo
autoproclamatosi chagalliano
tarantolato è colpito
da una delle peggiori carestie
ma riprende berlin
e la fa viva.

domenica, settembre 25, 2011

Brano per J.Joplin



Sei hai letto i giornali
non ci sono notizie su di noi
e tutti stanno bene
pur avendo escluso la religione
ci sono gli amori e le vittime forzate
è possibile che si siano lamentate
ma non che non abbiano camminato
per riflettere sulla strada per la metropolitana
ci hanno tirato fuori nella folla dove avevano bisogno.

La testa



New Orleans grande rapina
di nuvole di stagno & piombo
raccomandazioni homeless
con l'Iliade nei pantaloni che sporge
come una richiesta d'affetto
no-way-men canal street
chiusa per lavori
preparativi arrancano per il satchmo festival
market street andata in fumo
per una bomba di caffè
il times picayune batte notizie dal Congresso
e i saints sono dati a 9 sui 49ers
il santo patrono della città
è finito al fresco
per aver venduto alligatori
lessati &d imbalsamati
come credi che ci si senta
a fare l'amore per procura
avvistando waits su burgundy
palchetti rivestiti di gomma nera
composizioni miscellanee
di un pianista di alto bordo
sospetti d'intrighi
in negozio di musica riforniti
di zydeco & cajun
ai confini municipali
prima dell'acquitrino chiamato little charlie
monteleone e royal sonesta in svendita
in un bidone per le mance finite
con un diretto ad harlem
gumbo annegati
nella vasca del Doctor John
bancarelle di cappelli e poster tuttojanis
appesi con lo sputo sulla decatur
per un solo giorno a new orleans
ho vinto al casinò
alla hen-ry chinaski
giocati 10 $ vinti 787
un bel deal
un trip per la fortuna
non passa mai due volte
in questi casi i ragionamenti
non servono a molto
ho ritirato la vincita
e me ne sono andato
verso molte persone che barcollano
per bourbon street
facce gonfie di bourbon
fuoco incrociato su decatur
al Molly's la barista
si sente una gran donna
conta di continuo i soldi
si volta verso i clienti
prima con un sorriso
poi con una smorfia
alcune donne si credono
irrimediabilmente irraggiungibili
e allora assumo un'espressione drammatica
e scoppio a riderle in faccia
le dico
hey baby take a walk on the wild side
io preferisco cambiare il mio mondo
viaggiarci attraverso
anche se dipende dal ricordo
che ci siamo fatti
che ci portiamo dietro
come una tenaglia al polso cresimato
la mente tende a falsare
a prendere parte
ad assemblarsi in modi diversi
a scappare
a ridurci in pezzi
a darsi in pasto
le notti dorate
di odiosi miti
ma tutto questo non ci tocca
senza una donna
sempre solo negli specchi
odio questa presenza da bibliotecario
la mando al macero
bisogna cavarsela controcorrente
quando le riviste patinate
prendono la scena e decretano
test di gravidanza
i misfatti non vengono fatti
in cambio di niente
per questi tramortiti suonatori
e non cambia mai niente
quella che spilla la birra
ha un passato tutto da raccontare
è stata attraverso il continente
e le piaceva fumare l'ero
se la fumava in nightclub in bianco & nero
ma quello che si ricorda di colore è il viola
assieme all'arancione ed al giallo ed al verde
e quando soffriva di più il rosso e il marrone
ma non il marrone degli escrementi
un marrone celestiale vitalizzato d'ossigeno
non vendono mai la luna mi dice
non amo torquato tasso le dico
dopo ci vediamo
su un unico & solitario blues per nola
ok madame
dopo tutto averti o non averti
fare un giro negli angoli dello square
è prendere un altro impegno
verso le mie macchine da scrivere
che stanno transoceano
e tu che ne sai
se ora passeggi per frenchmen
electrict ladyland tattoos
per farmi le braccia mi chiedono 5 teste di $
invoco divinità apotropaiche
al pirate's alley caffè
piccolo posto multicolore
vicino jackson square
teschi e pappagalli
una bella donna in vita e in carene dietro il bancone
passato i cinquanta
con tanto di ampia rouge bandana piratesca
impartisce spiegazioni
ad una sorprendente bellezza afro
dai capelli schiariti
bottiglie di absinthe ovunque
caraibico clima dinamitardo
il caffè sta zitto e fermo e stanco nella sua bolla
in un angolo di scaffale sulla sinistra
tre maracas stanno appese sopra la porta del bagno
e suonano quando si tira l'acqua
incombono a mo' di leoni gotici
abbondante menta fresca per mojito
sta arricciata e sterilizzata in un contenitore ghiacciato
di plastica trasparente
le spiegazioni della signora
vanno avanti
siamo al punctum dolens
del dosaggio degli shots
anche se un esemplare uragano minaccia la città
perché chiamato emily
o sa dio cosa
agito le braccia incrociandole
sfondando la quiete del delta
ci sarà sempre un bancone
timide scintille apparse
su pavimenti di legno & zucchero di canna
fino a che nessuno inciamperà in valzer
wagner e ives incompresi
si sono presi una bella vacanza
nessuno si è spaventato
per la nuova banda del momento
incentrata su uno stile india-us
clarinetto flauto banjo tamburi rudimentali
dei bodhisattva del venerdì lousiana
e lì vicino ci sono anche delle rotaie dritte innocue
che non vengono mai usate
e dei volontari in pensione
con tanto di cappello e cesto
raccolgono soldi per disgraziati soldati
appena tornati dalla guerra
qualsiasi guerra & qualsiasi tipo di soldato
marine o aviatori
i miei occhi stanchi
presi a calci da una coppia appena sposata
mi raccontano quanto sia eterno il loro amore
e vanno in giro a gridarlo
a farsi prendere a bicchierate dai passanti
buon compleanno
buon soggiorno
buon viaggio
buona vita insieme sposini
è solo un altro scatto a new orleans
ma mentre stai attraversando piazza navona
ricordati che la città non è un posto divertente.




Dogma



Ho sempre creduto
che amarti fosse una faccenda di corpi
che sfregano inseparabili
nella sete dei tessuti organici
ho sempre creduto
nell'alternanza dell'amore
& nel suo esatto contrario
non ho mai preso a prestito
frasi di scrittori & filosofi
ne ho solo fatto vedere
l'intelligenza & l'onesta
ho perpetrato
il dubbio la domanda il sospetto
non è stato facile sapere
che non si è tagliati per la gioia
aspettare il mattino nella buca della sincerità
pretendere in continuazione
credendo di essere inesauribile.

Filtrato



Alla sera quando mi sveglio
mi preparo il caffè - lentamente
in quest'ora della città
coperta dal buio
l'inverno non è mai atroce
agisce solo diversamente
non dissimula
colpisce
& fa vittime per le strade

Alcuni brani da Washington


I.
Gente da tutto il mondo agli Smithsonian
tutti genuflessi alla Star-Spangled Banner
gonfi musei scontati
a Washington non si paga
magari fosse così al Met al Louvre
e dappertutto
entrare e uscire
una donna anziana mi ha ammonito
però il cibo si paga
Hopper Whistler Kline
Pollock Rothko
e poi tanti europei sparsi
questa è una delle mie solite cronache
dai musei della Terra
gentili homeless sulle scalinate
dell'obelisco di D.C.
Capitol Hill sosta monolitica dubbiosa
molti mi hanno chiesto
ma l'autobus ferma sulla 7a
ma arr iu frromm tde touunn
no penso di essere come voi
solo un po' più accorto e paziente.

II.
La CNN ha il suo inviato di punta
un mitomane deviato
Anderson Cooper 360°
che fa giri nelle tendopoli
e dice al grande pubblico
che la plastica sulle tende
è un'accortezza per le intemperie
cose come il vento o la pioggia
in diretta si spalleggia con Santone Bono
furente con l'Occidente preoccupato dal crollo dell'economia
se la prende con chi sta dietro a Londra in fiamme
l'unica cosa è che 600.000 vite umane
sono a rischio in Somalia
è facile come dirlo
si continua a morire in Africa.

III.
Hanno beccato Omero stanco & deluso
dai suoi capolavori di calce
e dall'opera omnia di Cioran
che l'ha veramente alienato
ha dovuto constatare come  Aristotele
abbia tentato di farlo fuori dal mondo della letteratura
Diogene ha dato fuoco all'acropoli
in un fallito tentativo di suicidio
l'incendio è stato spento in fretta
un philosophe dei Lumi insegnava carbonizzato
altro che cadere in una buca e morire
le apparenze di follia ingannano
e allora Omero detronizzato cita il franco-rumeno
'niente potrà togliermi dalla mente
che questo mondo sia il frutto
di un dio tenebroso'.

IV.
Si sono mossi
tra il Vietnam Veterans Memorial
veloci davanti a quelle lapidi plumbee
e il Lincoln con i 14 Stati dell'Unione
no minati sul frontone
hanno fatto scatti
si sono raffigurati la marcia del '63
congetturato distillato dilemmi sociali
sulla Constitution Ave
dagli Uffici del Senato
al Dipartimento di Stato
schivando disseminati baracchini d'alluminio
che vendono la quintessenza dell'hot-dog
cucinato tra i simboli degli Stati Uniti d'America
e le magliette con la faccia del 44° Presidente
con scritto 'SPERANZA'.

V.

La solita gigantografia
di Whitman mezzo addormentato
barcolla dall'interno di Barnes & Noble
oramai piccola nutrita Disneyland del libro
salagiochi del vero lettore
accanito e mai sopraffatto
Arlington ha dato il tutto esaurito
e la Phillips Collection
ci mette sempre tanto a svegliarsi
attorno a Dupont Circle
cassonetti-vendi Post
nel bruciante inqualificabile
avanzo di mattino di W.D.C.
turisti attesi sulla Constitution Ave
pensieranti di mestiere
sprofondati nel Mall
maitresse di Madame Tussauds
immobili come cere &
teleobbiettivi spianati pronti
per il rientro del Presidente.


La dignità di un uomo


La dignità di un uomo, la sua compostezza o il suo stare al mondo possono essere talmente radicati che singole e solitarie situazioni possono confermarli o demolirli … basta una parola che viene dall’esterno e che voglia rimanere parte di noi per affiancarci come compagna mentre queste mezze pastiglie, umide, rotte, screpolate, aggrottate, fredde sulla mia fronte, mi sono perso l’anima l’ultimo venerdì la voce dalla radio dice, queste pastiglie che sono dei dolci sfatti per la festa per quelle cerimonie allestite in onore della prostrazione di un destino comune sui cui non si riesce a porre il dominio.
Di nuovo queste pastiglie di cerone con la loro immancabile pellicola che riflette tra la polvere, vedremo cosa si può ben fare, anche stavolta, ah mia cara consolazione, prenderti in disparte, miseramente davanti agli altri, nei momenti in cui ci incontriamo e ci diciamo ‘che sia lungo il canale o lungo la costa o solamente lungo la via’, devi andare bene a me per le pazze gioie, ma poi viene la preparazione delle battute e prima ancora la meditazione ancestrale quindi la scrittura,  e poi con la volontà della strada si compongono, tra soddisfazioni, accenti strabilianti ed espressioni che diano un nuovo corso alla storia.
A fine spettacolo, quando ho solo voglia di bere, risento le mancate domande del pubblico.
Da quanti anni fa questo lavoro. Allora. Ha una famiglia. Come si sta in un camerino di un circo. Che rapporto ha con le bestie. E’ pacifista. Si guadagna bene. E’ un a vita d’agio. Quanti numeri ha fatto nella sua carriera. Sa suonare qualche strumento. A che età ha iniziato. Pensa che la pensione sia il prossimo passo. Quante ore prova al giorno. E alla settimana. Ma lei è sicuro di quanto fa. Come chiude la serata uno come lei.
Domande intelligenti, di spirito direi, a voler dir bene, ben accettate dalla mia vocazione, vista la mia inclinazione ad inscenare, tanto più che mi viene normale pensare adesso a quella bolla chiamata passato, per quell’uno o quell’altro fatto, distinguere le cose buone o quelle andate bene da quelle cattive, andate male. La mia condizione è quella di un uomo seduto, fermo, pensante che beve il suo bicchiere di roba e con le ultime tre dita della mano sinistra affondo la mia riconoscenza, la mia perplessità verso il livore dei contorni del mio volto sporcati da questo specchio.
Quello che più avverto negli ultimi anni sono le colorazioni della notte quando costringe un vento incatenato che viene dalla ferrovia a sbattere sulle persiane dei condomini popolari, mi sono inoltrato nelle colorazioni imbronciate delle notte, nel suo assente e dubbioso sapere, inghiottita dalle cadenti paludi delle palpebre, dagli zigomi fiaccati, guance mal rasate persistono sul mio profilo come tracce di un incendio inopportuno.
In alcune ore di buio di un cielo che si vorrebbe vedere, si addensano riflessi dell’attività umana di questo mondo illuminati dalla corrente elettrica deviata nelle strade e divampata in attimi nei caseggiati tumulati di mattoni, il quieto vivere nei retrobottega perfino nei sottoscala in affitto, la vita allegra nei gabinetti pubblici perfino nei confessionali disabitati.
E’ da tempo che la mia malmenata percezione visiva e così il mio fisico e il mio stato mentale sono interessati a quell’impasto di pigmento accasciato sul fondo della tinozza notturna.
Ma veniamo a noi, quella parte di noi raccontabile, quella parte che un conoscente qualsiasi accetterebbe e non esaminerebbe con esagerata recrudescenza, con alterato sospetto, con un ingrato ed inaspettato senso etico del dovere verso gli altri, i morbosi, gli afflitti, gli umiliati, i vincenti puri ed indifendibili quando si attardano in un posto qualsiasi  per estraniarsi ed accettare loro stessi.
La mia infanzia è stata la più felice fioritura della critica della ragione, la più seminata e continuativa divulgazione di volumi storici, filosofici, letterari, antropologici, filologici, sociologici, la mia infanzia a quarantasei anni di distanza, ora che posso qualificare quella distanza e quantificarla tra le mie delusioni apparse sulla mia pelle.
La danza dei cavalieri a cui mia moglie ha sacrificato l’esistenza e la sua immatura maternità, il movimento continuo del suo concepimento quanto mi ricordava mia madre con la sua irripercorribile femminilità con quella compagnia di compositori, pianisti, pittori e dio mio, scrittori russi che aveva in bocca, aveva sempre in testa … sulle cui parole mio padre morì con il cappotto del nonno ed il cappello della nonna, morendo, terminando fatalmente.
Al mio primo maestro di pianoforte dissi se ne vada non studierò mai le sue righe parallele, tantomeno quelle staffe, quegl’abortiti tentativi di dieresi, quelle ciglia frantumate su un foglio, quella letteratura a servizio di una spietata algebra del sentore, dell’ispirazione al dramma, vada via con le sue incontestabili partiture sul vivere e non cada nel solito caso del cattivo allievo.
Per prime le ballate di Chopin, odiavo la parola romanticismo, avevo nove anni, ma faceva sognare ripetere mazurca e mi ridussi ad un invalido del mondo della musica, un ritardato della partitura, un convalescente da quel tipo di isterismo che conduce all’incapacità dei migliori talenti, frequentando senza alcun senso la scuola e degli altri volevo farne un a polpa, mi dicevo domina i dominabili, gente già segnata, già finita appena adolescente … sempre il mondo diviso tra dormienti e saggi, un quid di materia cerebrale in più, o diversa. Non era tanto che mi ero dato a quell’espressione sul viso, elaborata o causata che fosse, cadente od accettata, tirannica o democratica, capitata e studiata, davanti al nome di mia madre su una lastra di pietra incasellata al cimitero comunale della città.
Un essere umano una luce interrogatrice, mamma voleva che fosse scolpito nella pietra, ma pensavo la stessa cosa quando veniva giù per le scale con i capelli ricci papà sta scrivendo, andiamo mamma, andiamo giù, nascondevo il bicchiere e l’aspettavo, sputando nel lavandino, risciacquandomi la bocca con quello che capitava, lurido e mentitore, lurido e simulatore fino alla fine, papà! scendeva e chiedeva, chiedeva che le raccontassi una storia.
Da quelle scale al parlare della morte, sentirsi gli unici interpreti e sacerdoti del corso della giornata, era lo stare sulla terra, prima che con quello sbuffo precipitasse e chiamarla Rose, Rosie o addirittura la Nostra Nona Rosa, non poteva salvarla, uno sbuffo di dio la sollevò e la fece crollare e non si può stare in piedi per un dio del genere, un mauvais démiurge.
Quando Rosie veniva ad aprirci la porta, dopo le nostre discussioni, il nostro stare insieme, ci saltava addosso e tutto si poteva ridurre a quello, con l’aria piena, e poi mettevamo su Fat City di Huston e sul divano mi dicevi hai i vestiti sporchi, mettili a lavare.
Spregiudicato, cattivo, idiota, dopo Rose ti sei ridotto così, ma non vedi che tremi tutto, un insetto acculturato, uno spiantato di un clown, un emerito coglione e già sono delicata se proprio vuoi saperlo, ma prima di quello leggevamo la cronaca nera nella notte negra e nuda ed allora mettevamo giù fantasie sulle vite degli assassinati – dei trovati morti in poche parole dicevi o come viene più comunemente detto da più secoli, di sicuro in svariate regioni del mondo - e sugli assassini, e finiva a letto con la testa tra le tue gambe e mi sentivo uomo fino in fondo, mi dicevi di abbassare Lay lady lay, ma ne avevo bisogno e tacevo tra le tue gambe, e dopo ancora le canzoni d’amore ed odio di Cohen, ti piegavi su quel mastodontico volume comprato per radio, mentre io dormivo vicino alla piccola Rosie con Masqualero, quella summa dell’opera shakespeariana, quell’immenso truffatore, io considero il mondo per quello che è un palcoscenico dove ognuno deve recitare la propria parte, palle bastardo, nella bibbia va scritto il ladro dovrà pagare l’indennizzo; se non avrà di che pagare sarà venduto in compenso dell’oggetto rubato, ecco una sacrosanta verità, sarò venduto a causa del mio talento inesistente altro che il mondo un palcoscenico, non hai fatto altro che alimentare la mia disperazione molesto ingannatore, ma quando uno crede nei testi teatrali è difficile da fermare, da mettere al torchio.
Ci pregava di considerarla un estranea, una di passaggio, perché la sua vita era fuori da quella casa e oltre noi, lontano dai nostri rovinati ed abusati oggetti e aggeggi, un’aria sconsolata, muta con la bocca, seduta al tavolo della cucina e tu le davi addosso, basta farti del male, basta prendere quel veleno, riversavi su di lei, già fragile, la tua bava mentale e mi tiravi dietro quello che ti capitava sotto tiro quando la chiamavo la mia piccola Cosette, per te i personaggi dei libri devono essere il nostro riferimento esistenziale eh pazzoide mi urlavi, smettila con le tue idee blateranti, con le tue assurde costruzioni letterarie, vedi dove ci hai trascinato, e mi prendevi a pugni sul petto chiedendo perché perché dio mio che cosa possiamo fare dio mio ci sta morendo tra le braccia e io ti dicevo lo so, vedrai che capirà, parlale parlale continuavi, se ascolta qualcuno, anche in minima parte, quello sei tu.
Mi ero ripromesso di parlarle la sera stessa, prima che arrivasse il terzo canto del gallo, prima dell’inizio di un’agonia incontrastabile e definitiva. Non feci a tempo.
In questa stagione gli animali offesi non andranno a nascondersi in qualche rifugio della foresta urbana.
Stasera farò uno dei miei ultimi numeri e poi tornerò dalla madre di Rosie, Alva.

venerdì, settembre 23, 2011

Edgar Lee Masters



Da "Il nuovo Spoon River"

Chandler Nicholas


Ogni giorno a lavarmi e radermi e vestirmi.
Ma nessuno nella mia mia vita a trarre piacere
dal mio fastidioso aspetto.
Ogni giorno a camminare, e respirare profondamente
per amore della mia salute.
Ma a che scopo la vitalità?
Ogni giorno a migliorarmi la mente
con meditazione e lettura,
ma nessuno con cui scambiare saggezza.
Né l'agorà, né la camera di compensazione
per le idee, Spoon River.
Cercando e non essere cercato,
maturo, amante della compagnia, utile,
ma inservibile.
Incatenato, qui a Spoon River,
il mio fegato sdegnato dagli avvoltoi,
e autodivoratosi.

Brano distribuito in occasione della presentazione del libro "Cronache del vissuto inverno"



Un anno fa
stesse ore
stesso giorno
stavo in questo balcone
petto aperto
contro quello
che l'alba stava portando
panni stesi intontiti
uccelli imbronciati
scene sacrileghe
in qualche fondo di vie
su questo fronte personale
sto con una tazza con scritto
WAR IS OVER
if you want it
dai Maccabei leggo
'grave e intollerabile per tutti
era il dilagare del male'
altri tempi mi dico
il caffè dentro la tazza
è uguale alle mie notti
in giro per Mission St.
o sulla Van Ness
l'anno scorso andavo a vedere
i Demoni di Peter Stein
in un hangar
adesso dormono tutti
sopra un aereo in verticale buca l'ozono
tram fanno tremare i denti
stazioni riprendono a bestemmiare
ed il cosmo accoglie
una piuma di benzene
è disposta a bruciare
ancora per qualche minuto

mercoledì, settembre 21, 2011

In attesa



Ecco, la mia faccia si è allargata in un sorriso, si è smagliata in uno squarcio, si è ridotta a rappresentare “quello che si è” …  ho preso tutto quello che dovevo prendere e il comunque non manca mai.
Ai cari tempi, ai tempi, l’ho fatta franca, con quel gesto ho dato un impulso irrefrenabile.
Oggi va di moda il 1977, anno impagliato, domani è grano da prendere a piene mani, ma la parola per me, la parola a cui aspira uno come me, a cui elevo il mio oltraggio, oltre cui non intendo azzardarmi, la parola è lo spazio di ogni uomo, il proprio abomino messo in strada, in scena, un sordido mal di testa mal recitato.
Poteva ben finire così e ce ne erano i presupposti.
Oh, il casellario della posta. Quel grandissimo minorato, quell’eminente nullità che si occuperà della distribuzione della posta lungo gli inverni, lungo il viale. Non arriva mai la domenica in certe situazioni e quando mi hanno abbandonato, sbattendomi su questo letto di ferro, non è niente rispetto a come ho ridotto i vestiti e la stanza di quella povera crista. Ah, gli anni … combattere, difendersi, attaccarsi, ritirarsi, abbattere, estirpare quando se ne ha l’opportunità. Ho compilato questa lurida traduzione, questa incompleta trascrizione, un difficile traslitterazione da capo a piedi e dal fondo del piede alla cima della testa per intravedere e vedere cosa ha funzionato, cosa è stato rivelato, accertato e si è addentrato fino in fondo alla terra. Sono un credente fervido di fervente fervore, si direbbe dopo una non  accurata prima impressione.
Ora, devo essermi perso, quando faceva freddo, con molto liquore alle more sullo stomaco, ma non una quantità tale da giustificare l’accatastarsi di quella serie di azioni, di quelle concrete omissioni, del fatto e non fatto, in poche parole. Quella terrificante serie di notizie, indiscrezioni, sull’aspetto del possibile attentatore o meglio sull’indagato, il prospettato assassino.
Uno qualunque, si va avanti a dire nei cortili, nelle piazze, nelle automobili che occupano i parcheggi degli ospedali, nei tragitti infami che portano migliaia di persone sul posto di lavoro, negli specchi dei camerini dove donne fanno un pensiero languido e lussurioso. L’essere umano è una bruttura sconfinata e sconfinare nella bruttura dell’essere umano è un vantaggio sconfinato.
Si crede, si punta come quel troglodita di Pascal sull’aldilà, psicopazzo che uccide, titoli che corrono in prima pagina, ma questo non vuol dire che si uccida, che qualcuno abbia ucciso, o che qualcuno abbia deciso di uccidere in quel modo.
Tutte quelle fandonie, quelle fantasticherie sugli assassini che corrono via …
Un individuo non è che preda e depreda la preda delle sue stesse           parole finali, delle sue ultime occasioni di vita.
La penitenziaria, l’addetta di turno, mi chiede doveva fare quella telefonata.
Immagino che, ai limiti della mia personale convinzione, in questo genere di cose arriva il momento in cui arrivano a prenderti, non so per portarti dove, ma a prenderti certo che vengono.
Mi chiedo: come si presenteranno, dichiareranno la loro appartenenza ad un corpo, la militanza ad una corrente di pensiero piuttosto che ad un’altra, il loro stare in società …
“ […] donna uccisa nel proprio appartamento. Dopo lunga m..., il marito le ha inferto il colpo di grazia.”
A questo punto si dovrebbe dire “si attende la sua piena e spontanea confessione.”
Morire in un modo così silenzioso che i vicini non hanno avuto di accorgersene. Per quattro ore sei andata avanti senza neanche respirare e gli occhi ripiegati all’indentro come due fiori chiusi. Non è vero che i morti emanino fragranze nauseabonde, ferine, rivoltanti. Neanche lì si può dire che sia veramente finita, come ti piaceva quella frase rubata che torturavi dal mattino alla sera, dal giorno che ti ho conosciuta, carnalmente conosciuta.
Ottanta canne scure lungo il perimetro del nostro cortile, ottanta canne ingioiellata dalla tua cura per le cose
che abitano il mondo esterno e lo ingombrano, talvolta deliziandolo, talvolta smembrandolo, ottanta canne scure nel nostro destino scrivevi prima della malattia e quando te lo chiederò, per me, la farai finita.
Dolores con le orecchia a cipolla e giù a ridere quando te lo dicevo, Dolores andante per il guado con il corpo miracolosamente inodore, marciando verso ottanta canne prima di un lembo di terra da cui spunterà solo una ciocca di capelli.
Come ti piaceva Henry Lee. L’abbiamo ascoltata per tanto tempo. Ma adesso non ti seguo subito, non ancora. Lì per lì mi ero aperto una bottiglia, ero sceso in strada verso il commissariato di zona o la questura, quello che è.
Io, Alberto Maria Cartazor, marito di Dolores Yoanni in Cartazor, io la ho ammazzata, in modo determinato, cosciente, libero, intenzionale. Sono qui per costituirmi. Fate quello che dovete.
Ti ho lasciato un paio d’ore sole. Poi sono venuti a prenderti per portarti via nelle loro stanze di stato.
Mi hanno permesso di assistere a quando ti hanno messa nel forno.
Eri in casa ma in strada c’era un odore pesante, mi sono dovuto mettere il fazzoletto sul naso e sulla bocca ed ho dovuto premere.
Prima di lasciare la libertà sono entrato in un bar dove non mi conoscevano e mi sono fatto l’ultimo paio di bicchieri. Forse mi avevano visti solo passare, probabilmente con te, mentre mi spalleggiavi ed adesso mi vedevano solo, ubriaco, con la faccia di uno che ha appena visto la morte.
Dolores, in bagno sono crollato aggrappandomi alla tazza e ho detto mio dio adesso che cosa faccio, ma dopo che sono uscito dal bar ero di nuovo in strada e mi sentivo bene ed ho sentito quello tranquillità che avevamo seguito per dieci anni, qualcosa di decisamente sbagliato nel nostro vissuto, nelle nostre scelte di vita si dice, a te è arrivata la malattia e ti ha ridotta a trenta chili, anche la bara sarà più piccola, forse su misura, scherzo Dolor maior et ubi minor lo sappiamo, una delle nostre preferite, una delle mie porche invenzioni di parole, una delle mie esaltazioni.
Tu hai sempre creduto in Dio e negli ultimi mesi hai confessato ho creduto talmente tanto che ho raggiunto il livello del sospetto, ho visto, intuito qualcosa.
Con il passare del tempo mi perdonerà, come io ho perdonerò lui per averci portato via  nostra figlia per i suoi secondi fini, ma quello che ha fatto con te è stato troppo.
Suicidi e assassini quando passeranno la linea verranno con in mano il sapore dell’oleandro, per gli altri rimarrà il dimesso canto.
Dirò queste tue parole al giudice.

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lunedì, settembre 19, 2011

Thomas il maestro



La mattina era iniziata con l’inno alla tromba, uno stiracchiato soffio marziale degno dei periodi di guerra più assurdi ed inutili che un soldato può permettersi di incontrare quando è chiamato a compiere il proprio dovere.
Annaspavo mentre la signorina Levar mi pungeva con un ago caldo, la signorina Levar, una delle infermiere più disilluse del nostro essenziale ospedale da campo … dicevo di annaspare mentre bucandomi la signorina Helena Levar non mostrava compassione, né rimorso alcuno per aver compromesso ripetutamente la salute ed il retto andamento delle mie facoltà cognitive con le sue pomeridiane medicazioni.
Sentivo i passi della capo reparto, la madre Durkeim, come va generale, la vinciamo questa guerra?
Oh il nostro istrione, come sta caro? La trattano bene? Procede bene il suo Musil? Helena, il dottor Egres ha autorizzato il calmante, glielo dia, glielo dia. Mio caro la faremo dormire bene ora.
Chiaro madre Durkeim.
Signorina Levar Helena! L’ho già ripresa più e più volte in merito! Ad un mio comando lei deve rispondere con le esatte parole sì, signora madre. Glielo ripeto. Sì, si-gno-ra madre. Ha capito adesso? Ma si ricomponga, eviti queste inutili scenette da pianto! Si asciughi immediatamente quelle lacrime dalle guance! Se le levi! E’ patetica!
Dopo questa scenetta, come la chiamava la signora madre Durkeim, Helena Lavar mi conficcò l’ennesimo ago ed iniziai subito a chiudere gli occhi e mi vedevo di ritorno in città, finalmente lontano dalla guerra, di nuovo tra i tavoli della biblioteca centrale dell’università tra i miei libri pronto per un concerto sinfonico o una rappresentazione teatrale e dopo sarei andato alla taverna Gavrash con amici o a starmene appartato a riflettere e quando nelle strade i desideri degli uomini incappano in vicende sentimentali o assassine, io avrei imboccato la tetra e pensosa scorciatoia per in ponte Ginsbergen, attraversandolo di corsa sotto una falce di luna, senza che nessuno fosse capace di emettere suoni tranne un’oscura civetta di passaggio e a qualche decina di metri di distanza dal ponte Ginsbergen stava la casa dove abita Domitilla Piranesi.
Come si può dire ad un uomo che quanto ha fatto per quattro anni interi è finito, che è stato demolito nelle macerie e che con esse è deceduto, che è stato bombardato, vittimizzato, che ha cessato la sua implicazione con il mondo reale, ovvero quello che sta fuori dalle mie pupille iniettate di farmaci che non mi fanno sentire il dolore, non mi fanno ragionare, leggere, figurarsi scrivere … risento le parole di quello che mi vendeva l’inchiostro, quel becero di un vecchio idiota di provincia, lei pretende troppo …
Se c’è una cosa che ho fatto nella mia vita è stato pretendere, ma certamente non nel senso che intendeva lui, un venditore di articoli di cartoleria porta a porta, povero diavolo, gli ero affezionato, mi ero sempre riproposto di offrirgli un bicchiere di vino alla taverna Gavrash.
Una mattina dovevo andare in università per assistere ad una delle ultime lezioni di estetica ed un mio compagno di corso, una delle bestie più rare che io abbia mai conosciuto con l’unica qualità umana di saper stare sempre zitto, mi stava venendo in contro con fare da indemoniato, con andature scomposta, forsennata, è chiusa, è chiusa fino a novembre, è crollata una trave!
Conoscendo Thomas e la sua spavalderia nell’affrontare colossali bevute, volli verificare di persona che il crollo della trave non fosse frutto della sua ebbra immaginazione.
Per me fu un trauma: l’intero corpo accademico riunito in assemblea fu travolto.
Va bene Thomas andiamo a bere qualcosa. Vai alla taverna che ti raggiungo più tardi.
Alla parola bere Thomas stava già saltellando in direzione della taverna Gavrash ed io stavo andando in libreria.
Giunto a metà del vicolo Idonoff vidi una donna seduta sul ciglio del marciapiede che si lamentava gemendo.
Signorina tutto bene?
Io non ho più nessuno al mondo, da oggi. E lei mio gentile giova.. la stavo chiamando giovanotto ma vedo che lei è un signore distinto, educato e di buon animo per soccorrere una donna disperata. Oggi ho perso il mio promesso sposo e il mio amato padre. E lo sa che l’Europa sta per farsi guerra di nuovo, o forse è già scoppiata e non me ne rendo conto.
Signorina se permette l’aiuto a rialzarsi. Si aggrappi al mio braccio, alla mia spalla. Ecco, tenga pure il mio fazzoletto.
Può accompagnarmi fino alla porta di casa? Lì può lasciarmi.
Come vuole.
Dopo aver salutato quella donna, decisi di non andare in libreria e di dirigermi direttamente alla taverna.
Thomas rubicondo, euforico era al solito tavolo e mi attendeva con una bottiglia vuota ed una appena iniziata, urlandomi Johannes, Johannes Maria! Sono qui, la fortuna ci ha colpito! Stanno arrivando anche gli altri! Lo sai che sono morti anche quel figlio di una cagna di Piranesi con il suo futuro genero? Proprio quella coppia di omuncoli  che aspirava alla cattedra di Ulyakov!
Lo stavo soffocando. Cercò di colpirmi, ma io gli feci sbattere la testa contro un pilastro di legno e Thomas capì che se voleva essere ammazzato come un cane ero pronto.
Hai detto una cosa molto grave. Non si sputa sui morti. Ora offri da bere.
Alla quarta bottiglia dopo un silenzio di un’ora e mezza, gli dissi che a causa di quelle morti una donna era rimasta sola al mondo e stava disperandosi.
Scusa Johannes ma sai come siamo noi gente di campagna, animi semplici, alle volte un po’ rozzi.
Thomas voleva fare il maestro nella piccola scuola del suo paese e qualche giorno fa per lui la tromba è suonata per l’ultima volta e non è riuscito nemmeno a dirmi una parola perché una raffica l’ha ucciso all’istante, mentre marciava verso la trincea sud-est.
Ora devo scrivere questo a sua madre.

The B.L.U.E.S.


domenica, settembre 18, 2011

Miles Davis - Antibes,France July 26,1969 - "Nefertiti"

Tra gli aranceti di Kosmoskoya



Tra gli aranceti di Kosmoskoya si avverte la distrazione dell’oceano e ci si arresta anche se si è in movimento e ci si annienta per qualche istante … mi hanno raccontato che molte persone di questa terra hanno preso e se ne sono andate … da quel poco che sono qui credo che una buona e sostanziale ragione stia nello stato dolce, depressivo, riparato delle foglie degli aranci di Kosmoskoya mentre insospettabile la scogliera rimane lontana in attesa di uno scossone dal vento proveniente dall’Atlantico o di un cedere delle terre mai dome di queste zone.
In agguato Juan sta nel suo locale con le mani pesanti, gonfie, ingrossate, sfaldate in alcuni punti, le nocche salde, i palmi raggrinziti, segnati,  palmi idioti delle mani dice Juan, che le usa per il suo lavoro quando prende posizione dietro il bancone e ti confida di come si consideri un prodotto dell’Atlantico e che Kosmoskoya con i suoi aranceti sta nel sonno atlantico indisturbata come una potente dea ormai doma, Juan che non si sofferma mai sui suoi amori, i matrimoni, le scapestrate sorelle disperse nel continente e che anche se sta zitto è come se continuasse a parlare della sua famiglia, della sua laurea in antropologia, di questa terra immutata nonostante i secoli e gli uomini.
Juan mi ha detto che il mio modo di parlare, di comportarmi, il mio essere prevedibile, monotono come il mio essere imprevedibile, discontinuo, magari può annoiare, stufare ma rimane qualcosa su cui riflettere visto che non ne capisce il perché e visto che io non sia ancora totalmente convinto che la mia presenza a Kosmoskoya sia definitiva, fissa, necessaria, ineluttabile senza bisogno di ulteriori ripensamenti.
Così Juan con i nervi a fior di pelle, il viso e la camicia sudati, prende ordinazioni e appena scritte sul taccuino verde le ripete a mo’ di recita di un salmo come quando si reca in chiesa due volte al giorno per starsene lontano dalla gente e ha sempre da ridere su ogni cliente sia che paghi o no, mettendosi le mani nei capelli  per metterli a posto, frugandosi nelle tasca dei pantaloni sempre in cerca di qualcosa e quando l’ha trovata magari va sul retro della cucina ed osserva Cecilia preparare da mangiare per gli ultimi avventori del momento, la guarda e si fa un goccio con una smorfia sospettosa mentre lei sta facendo friggere la pancetta e gli dice Juan mi serve il maiale, vai a comprare il maiale! e lui annuisce grugnendo, avvitando il tappo della fiaschetta, dopo che sei stato in chiesa vai prendere il maiale! gli ordina Cecilia e Juan si vede già appoggiato alla colonna della selvaggia chiesa di Kosmoskoya immerso nei suoi dubbi e nel buio, con la lista della spesa appuntata su un foglietto appallottolato e sudicio nella mano destra, quell’angolo esistenziale che lui aveva battezzato “il mio angolo” e che i suoi concittadini chiamavano l’angolo di Juan, dove borbotta inveendo contro quel dio imparziale e castigatore che gli ha tolto sua figlia e l’ha gettata tra le braccia di un uomo da lui ritenuto non all’altezza della sua bambina e quando gli è scappato qualcosa su questa storia è perché era al quarto o quinto bicchiere, almeno uno come te mi diceva, grazie per la stima Juan rispondevo, dovevi conoscerla tu Briseide, non quell’anziano manigoldo, vecchio mezzo delinquente rincoglionito, dovevi conoscerla tu, sai è una ragazza molto graziosa, per bene, non doveva farmi questo, ma se lo incontro quel bastardo …
Briseide aveva scelto il suo uomo, con trenta anni più di lei e per lui se ne era andata da Kosmoskoya, lasciando l’Atlantico, gli aranceti e Juan, che però aveva commesso l’errore di essere testardo e violento non accettando l’amore tra sua figlia e il suo migliore amico, quello stesso amico che pochi anni prima faceva giocare la sua bambina al parco giochi e che da piccola Briseide chiamava zio, e io gli ho detto vedi Juan, prendila così, prima lo chiamava zio ora marito, è solo un nome che si dà alle cose, sono termini per qualificare un rapporto famigliare o coniugale, da zio a marito … e quella volta Juan mi ha tirato dietro un bicchiere, per fortuna mancandomi, e mi ha cacciato dal suo locale urlando che mi avrebbe sparato se solo avesse avuto un fucile.
Da quel giorno non vado più alla tavola calda ma so che ogni giorno Juan con la sua bici raggiunge la chiesa di Kosmoskoya, va dritto alla colonna vicino all’altare dedicato alla Vergine dei Naviganti inginocchiandosi e scagliandosi contro il destino che gli ha rubato l’unica sua figlia, lasciandolo solo e sbalordito.
Ma so anche che uscendo dalla chiesa dalla chiesa si piega in un piccolo e sofferto inchino e mentre si rialza fa una promessa.

Parlando di Jarold



La sua storia, il suo blocco, il suo ferma fogli ossidato, i fogli che usa e riusa negli anni, Jarold ha scelto gli uomini per il suo gusto, per il suo piacere, per la sua emozionale weltanschauung e dalla Georgia è arrivato qui a New Orleans anche se ha vissuto attraverso il Paese, New York, California, dove ha pubblicato i suoi unici due libri, ha oltrepassato il mezzo secolo di età, nel suo aspetto è molto curato, ogni sera prima di dormire deve andare al Flanagan’s, aperto ventiquattro ore su ventiquattro, a bersi due scotch & soda con delle fette sottili di lime ed ha un modo tutto suo di gustarlo che è intriso nei suoi occhi grigi e quando gli chiedo avido della sua storia viene fuori un bambino un quarto cherokee e tre quarti americano ed una mappa tracciata nei suoi fogli, dove la sera prima mi ha scritto un suo brano di gentile accoglienza e di buon auspicio per il mio viaggio, la mia vita – lo stile gentile di Jarold è inimitabile – e ha disegnato tre rettangoli affiancati e ha scritto da sinistra a destra Mississippi-Alabama-Georgia e dopo su ognuno di questi rettangoli ha piazzato una grossa calcata K così formando l’acronimo del Ku Klux Klan come un grande guanto ferrato che governa e opprime i tre Stati.
Parlando di Jarold … il piccolo Jarold Cowey va nella sua scuola dove tutti sono bianchi purosangue, immacolati WASP e lui ha una mamma mezza cherokee e quegli che gli stanno attorno oltre ad incappucciarsi di bianco quando fa buio, non lo possono accettare perché a lui non piacciono le bambine e si è preso una cotta per un compagno della squadra di basketball della scuola di Bloomingdale nella contea di Chatham e Jarold desidera quel ragazzo robusto dai capelli ricci e neri che gli fa pensare alle statue di bronzo dell’antica Grecia che ha appena visto sul libro di storia ma deve fermarsi qui, a qualche desiderio inesaudibile ed a qualche erezione di nascosto e allo struggimento d’animo per quel ragazzo e quando è a cena a tavola con suo padre, i due fratelli e le due sorelle, il padre sbatte ferocemente i pugni sul tavolo e gli chiede a cosa diavolo sta pensando e che cosa deve fare con lui oltre a spezzarsi la schiena tutto il santo giorno nei campi e correre su e giù con il trattore per dare da mangiare alla sua famiglia, Jarold risponde stavo solo avendo una piccola dorata visione e lo dice in modo terribilmente dolce ed audace e il padre non può sopportarlo così si alza in piedi e gli urla di filare dritto a letto se non vuole una ripassata del suo rovescio o della sua cinta e Jarold si alza da tavola e dice al padre di non arrabbiarsi ma non riesce a schivare un colpo sul sedere che il padre gli riserva, Jarold continua a camminare e fa le scale di corsa mentre la sorellina Amy Lou piange per lui guardando nel piatto, occhi bassi, dicendo non è giusto e la madre Amy Lee dice Harold sai che è un buon ragazzo e Dio ne è testimone e il capofamiglia sta zitto, grugnendo, grattandosi, anche lui guarda dabbasso e dice che però ogni tanto il ragazzo ha bisogno di una sana raddrizzata ma non lo picchierai, non stasera s’impone Amy Lee e Harold dice no no e allora i bambini riprendono a mangiare e Amy Lou intanto con le manine sotto la tavola ha fatto una piccola polpettina di carne e pane per Jarold e se l’è messa nella tasca del suo grembiule lilla e la mamma l’ha vista e le pizzica il ginocchio e si guardano e scoppiano a ridere e allora il padre si alza, va verso un mobile della cucina, apre un’anta e prende una bottiglia di whiskey e fa un sorso lungo dalla bottiglia e bestemmia e dice al primogenito Little Frankie di andare a chiamare Jarold perché venga a finire la sua cena e che nella sua casa non si butta via il cibo sotto gli occhi e il giudizio di Nostro Signore e poi si fa un altro lungo sorso e anche Amy Lee ne chiede due dita nel bicchiere, intanto Jarold si era già messo all’opera leggendo Melville sotto le coperte con la luce fioca fantasticando di essere sotto coperta nel Pequod, sente salire le scale e per fortuna il passo non è quello del padre perché è Little Frankie che entra nella stanza e gli dice vieni a finire il pasto, esploratore e subito Jarold getta via il libro e scende e va in direzione del padre e lo abbraccia, il padre ha ancora la bottiglia di bourbon in mano ed è impietrito perché Jarold gli dice grazie papà e questi si commuove a allora a turno tutti si alzano da tavola e vanno da Jarold e Harold e si stringono in un grande tentativo di abbraccio a sette, un po’ ridendo e un po’ piangendo, sapendo che quello è solo un attimo di serena umanità e che le tempeste stanno sempre per arrivare.
Un’altra sera in casa Cowey, circa sette anni dopo.
E’ da diverso tempo che le conversazioni tra Jarold e il padre si limitano ai saluti, a frasi e a sorrisi di circostanza e ciò è successo perché oramai è evidente che il quindicenne Jarold non sia attratto dalle ragazze della sua età. A tavola il silenzio è appena intervallato dalle forchette che premono sui piatti e dai cucchiai che scavano la zuppa nelle ciotole. Negli ultimi tempi i raccolti sono magri e attorno a casa Cowey tutta la città di Bloomingdale è incendiata dalle pire del Ku Klux Klan ma stasera, a parte le notizie di pestaggi quotidiani, di ferite e mutilazioni, il fuoco è arrivato alla soglia della casa dei Cowey.
Il loro vicino, Tom Milk, un trentenne agente di commercio di convinzioni democratiche, dopo un breve viaggio di lavoro, rincasando non ha più trovato la veranda con le seggiole e il tetto rosso sopra le pareti bianche, non ha trovato niente di tutto questo.
Quando ha visto quello che ha visto è crollato sulle ginocchia e si è accasciato al suolo.
I buoni ragazzi del Klan gli avevano incendiato la casa e per essere sicuri che il messaggio fosse ancora più forte avevano sparso quintalate di sale sopra i resti carbonizzati della casa. Inoltre avevano lasciato una piccola croce ardente piantata all’inizio del vialetto che conduceva all’abitazione. Tripla K e arrivederci Tom Milk.
Al tavolo dei Cowey la tensione è insopportabile ma i due più provati sono Jarold e suo padre. Sanno entrambi che forse la prossima volta può essere il loro turno.
Non sono WASP, sangue cherokee scorre dentro ai Cowey e per di più una volta Harold ha avuto un brutto  un diverbio finito in una scazzottata con uno dei capi del Klan per via di un affare andato male. E poi c’era Jarold con la sua sessualità …
Padre e figlio sanno che se gli incappucciati prendono di mira la loro casa, Amy Lee verrà violentata, torturata e probabilmente uccisa, giusto per avere un altro trofeo, per avere un’altra tacca sui bastoni, per avere un cadavere da esporre.
Jarold ha già pronta una valigia. Sul letto il padre gli ha fatto trovare un biglietto con scritto figlio mio non ci siamo mai capiti / spero di esser stato un buon padre / buona fortuna. Entrambi sapevano che la sua partenza avrebbe diminuito il rischio di un’inevitabile tragedia e che comunque Harold Cowey avrebbe fatto di tutto per difendere la sua famiglia.
E sotto il dio minore, il dio incendiario, improvvido e ingiusto della contea di Chatham, l’animale più docile, più gentile e solitario venne sacrificato per la nuda sopravvivenza della sua famiglia.
Alla fermata dei bus di Savannah c’è un ragazzino alto, biondo, con degli occhi ghiacciati e pieni di rancore, dolore e paura che tiene nella mano destra una borsa di pelle.
Un bus argentato si ferma, il numero ottantadue con capolinea Boston.
E’ il dodici febbraio 1960 e Jarold Cowey sale a fatica su quel bus e scenderà alla fermata di New York City.