domenica, novembre 13, 2022

Da Patricia Hansen/Celia Kentren



V.

Delle Ultime Cose. Non si dice così in filosofia, in letteratura, in qualche religione od in un’altra qualsiasi disciplina contemplativa. Vedere il mondo che scivola lungo il percorso circolare dei miei occhi. Un cielo così invernale, limpido, solcato da screziature arancioni e dorature rosastre. In mente ho le panchine di Villa Borghese a Roma, del Central Park a Manhattan - NYC, USA, e dei giardini pubblici di Via Palestro, a Milano, o qualsiasi altro posto, ove si voglia. Boulevard parigini. Cara Letteratura, torna. Vecchia Prudenza, vieni fuori di nuovo a giocare con me. Queste cose le ho dette al Dr. H.V.H. Le ho dovute memorizzare, dato che non riesco più a scrivere manualmente - sembra da anni, e dato che mi tengono legata, parte del Tempo. Un Orizzonte Incastonato in un Destino Ineludibile. Mi ricordo le Scritture. Cristo prese il pane e lo spezzò. Tutto per finire inchiodato su una croce e risorgere per l’intero mondo cattolico ed i suoi accoliti. La città di K. A volte immagino solo quanto sia duro il cosiddetto “mestiere di scrivere”. Parlo di quello vero, non di quello da classifica di quei quotidiani che devono bruciare la concorrenza editoriale e far rullare le rotatorie oliate fino ad uno stato nietzschiano d’incandescenza delle macchine e dei loro ingranaggi inchiostrati e stampatori. Quanto deve essere difficile mettersi lì, da soli, davanti ad un taccuino, ad un foglio, ad pezzo di carta preso da qualche al parte, davanti al niente assoluto da cui a volte non si fa ritorno perché il mondo ti rigetta e non riconosce. Descrivere, parlare degli altri, notare ed introiettare tutto quanto ti avvolge dall'esterno, ascoltare i discorsi delle persone attorno, intercettarne le inflessioni di toni ed analizzarne il loro vocabolario, la loro capacità d’espressione, valutarne la loro estrazione sociale, le loro esperienza di vita e il loro status culturale. Quanto può essere profonda e radicata una cultura e quanto può incidere il genio de il diverso, l’emarginato, l’escluso. Uno scrittore, per sua conformazione genetica e per un’inconscia volontà strisciante, alla fine, nelle ultime cose, è trascinato e tende a scrivere sempre lo stesso libro, racconta la stessa storia, cambiandola, capovolgendola, mettendoci mano, raffinandola, riducendo o dilatando, estremizzando o sdrammatizzando, a s-seconda del momento, di quello che ha visto, quello che ha mangiato o bevuto, a seconda delle occasioni. Pura opportunità, semplici contingenze, situazioni inaspettate. Devo tenere nella testa tutte queste considerazioni, perché non mi danno carta e penna, neanche un mozzicone di matita ed uno straccio di foglio. Fingo di essere in una sala da ballo e mi muovo sfrenata, incontrollata, dionisiaca. Non sono Patricia, non mi chiamo Patricia. Sono Celia. Celia Kentren.


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