domenica, ottobre 15, 2023

LETTERA A DIO. L'Opera dello Spirito ovvero l'Odio nel Mondo


I Quadro.

La Venuta ovvero La Rivelazione.

Eccoti dunque. Senza alcun preavviso. Avrei dovuto immaginarlo. Ma sì, in fondo l’ho pensato migliaia di volte, ti ho pensato talmente tante volte, che mi è difficile confidarti quante volte, dirti il numero delle volte, o almeno, per abbozzare, darti un qualcosa che si avvicini all’idea di questa cosa che si è ripetuta in me, il pensarti. Ma sei qui, ora. E parli. E' qualcosa di tremendo, di definitivo, di salvifico. Io sono il Signore, il Dio Tuo. Sono l’Alfa e l’Omèga di Tutte le Cose. Io Sono. Sono il Tutto, dal Principio alla Fine. Vengo al Mondo, prima del Mondo Stesso, visto che sono stato Io a crearlo. E’ normale che tu mi abbia pensato innumerevoli volte. Io ci Sono Sempre Stato. E non ho numero. Io, l’Infinito. L’infinito che per sua stessa ragion d’essere e definizione esistenziale, tende all’infinito stesso, non conoscendo fine alcuna. Di questo e di Altri Mondi. Prima della Vita e dopo la Morte. Per me, esse non esistono. Sono solo delle Creazioni che ho imposto agli uomini, per dare un senso alle loro vite attraverso un termine. Si nasce e si muore. Voi. Dunque, eccoti qua, mio Signore. Tu sei anche il Padre di Gesù Cristo, colui che ho amato di più. Anche se sai benissimo, avendomi tu fatto, che ho amato molto Mozart e Beethoven, Pollock e Rothko, Kerouac e Nietzsche, Bob Dylan e Lou Reed. Ma l’amore che ho avuto per Cristo, non l’ho mai avuto per nessuno. Certo ho amato di più le donne, ma in modo differente, come ben potrai immaginare e di conseguenza, perdonarmi. Sii indulgente, mio Signore. Il Padre di Cristo. O dovrei dire del Cristo. Suona meglio. Più secolare, più millenario, più trascendentale. Dire il Padre del Cristo nel mezzo di una cattedrale gotica risuonerebbe, rimbomberebbe, tuonerebbe in modo perfetto, potente, celestiale, paradisiaco, sarebbe la nota dominante di una sentenza definitiva sul Mondo Intero. E dopo di che, tutto potrebbe anche andare in pezzi. Sai, sono curioso. Mi parleresti dello Spirito Santo? Sai, perché, a dirla tutta, mi è sempre sembrato, scusa se mi permetto mio Signore, come uno che, come … direi il Terzo Incomodo. Sta scritto: “Quando il giorno della Pentecoste giunse, tutti erano insieme nello stesso luogo. Improvvisamente si fece dal cielo un suono come di vento impetuoso che soffia, e riempì tutta la casa dov'essi erano seduti. Apparvero loro delle lingue come di fuoco che si dividevano e se ne posò una su ciascuno di loro. Tutti furono riempiti di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro di esprimersi”. Grazie, non avrei saputo darmi risposta migliore. Impeccabile, davvero impeccabile.


II Quadro.


La Vita dei Filosofi ovvero La Conoscenza.


L’immaginario collettivo accolse - forse tutt’ora accoglie, con gentile compostezza mentale ed animosa predisposizione corporale,  l’assunto  per cui la filosofia fosse stata generata, che provenisse da qualche remoto lido ellenico o che discendesse per donatrice concessione democratica magari attraverso l’emanazione di uno specifico atto legislativo disceso direttamente dall’elevata statura regale dell’Acropoli della πόλις Ateniese, o che, diversamente, fosse tramandata - come un’anomalia genetica detonata per errore dalla principale ed imperante arte divinatoria della poesia - dalla bronzea favella oracolare di Omero o dall’adamantina cetra incantatrice di Orfeo. Nulla di più falso. La Filosofia è scaturita fiammeggiante da un riparato anfratto di una  discosta grotta non precisamente rinvenibile e rintracciabile su carte geografiche. La Disciplina di cui si sta discorrendo, è nata al suo cospetto, quello della abscondita cavità terrestre nel fagocitante regno del buio e la sua primigenia promanazione era nella mente di un uomo proveniente da Efeso. Il nome di quell’uomo è immortalmente scolpito sui frontoni delle imperiture accademie del pensiero nella durata dei millenni: era colui che indagava su se stesso, l’oscuro, l’enigmatico, il mistico, il mantico, il solitario, il meditativo, l’errabondo mentale par excellance - Eraclito. Poi sono venuti tutti gli altri, ma l’origine della filosofia, la fragorosa scossa tellurica che ha provocato il distacco, la rottura della terra e la formazione della crepa che permettesse la prorompente uscita dell’antica sapienza greca custodita ingiustamente dal sottosuolo soporifero dell’Ade, deve essere ascritta ad Eraclito e solo a lui. Socrate ha fatto del dialogo, dell’ἔλεγχοςè e della maieutica la propria missione di vita e poi è morto per cause politiche in un processo farsesco. Platone ha riempito pagine e pagine di racconti, aneddoti e idee ed il magister vitae, l’imperscrutabile astro, l’inarrivabile erudito ed intuitivo Aristotele, è stato come il dio padrone delle terre, dei mari e dei quattro venti per lungo tempo. Poi, come è inevitabile che fosse nella Storia dell’Uomo, è giunta una Rivoluzione. E fu una Rivoluzione di carne e sangue, di membra mozzate e di teste decapitate, in quel della terra di Francia. La disgrazia ghigliottinante non la sola. Vi si accompagnò, trionfante, la Rivoluzione dei Lumi come un Grande Risveglio dell’Intelletto Europeo. Irruppe Kant con le Sue Tre Critiche, con l’affermazione dell’importanza della libertà individuale e l’ancillare corollario della teoria del sommo bene. Venne quindi il turno di molti altri, prima e dopo del filosofo di Königsberg: Pascal, Spinoza, Kierkegaard, Schopenhauer, Marx. Poi da un luogo recondito, poco frequentato, appartato nel Land della Sassonia-Anhalt, una piccola municipalità denominata Röcken, venne colui il quale filosofava con il martello, il filologo Friedrich Wilhelm Nietzsche. Da lui in avanti, da lì in poi, cambiò tutto. Scrisse moltissimo e profetizzò con ancor inarrestabile fervore l’avvento dell’Übermensch, figlio unico e prediletto della genia del Superuomo, destinato ad attuare la Trasvalutazione di Tutti i Valori, al di là del Bene e del Male. Giunse a comporree a congegnare, abbeverandosi interminabilmente dalla stanca fonte dei voluminosi, densi, prorompenti scritti postumi, un testo dal titolo L’Anticristo, che non fu per lui di buon auspicio, visto che a breve la malattia mentale e fisica s’impossessarono di lui, facendone un malato, un debole, proprio quel tipo di individuo contro cui si era battuto e scagliato contro tutta la vita con tutta la sua incredibile forza intellettuale, la sua geniale intelligenza e il suo potente e virtuoso talento discorsivo e la sua fulgida dote scrittorea. Poi arrivò il Novecento, il secolo breve o quello del pensiero debole.


III Quadro.


Il Camposanto ovvero Il Giardino dei Giusti.


Come mi hanno insegnato. Mio padre prima di me e suo padre prima di lui. Quindi il nonno di mio padre a mio nonno. E così via, risalendo con calma e saggezza la corrente umana, di generazione in generazione, di secolo in secolo. Abitiamo questo posto e siamo parte della comunità ma non ho mai capito che ruolo abbiamo verso gli altri membri, come ci considerano e come vedono il nostro futuro in questo posto. Hanno pensato a noi? Hanno pensato al nostro avvenire? Hanno preso delle decisioni alle nostre spalle che vanno contro la tradizione, intendo, la Nostra Tradizionedi Famiglia? Non posso neanche dire che siamo degli stanziali. Di sicuro siamo una famiglia con un cognome, ognuno di noi ha un nome e come un gruppo di individui che vive e condivide lo stesso tetto, formiamo un nucleo famigliare. A scuola vado male, riporto costantemente brutti voti nei compiti e giudizi reprimendi sulla mia condotta. Mi presento con  abiti disordinati e sgualciti oltre ad avere in molte occasioni le mani gonfie dal freddo, sporche di terra e le scarpe sudicie, gonfie di fango e lorde di erbacce. Ma è quello che sono. E’ quello che facciamo. Io, mio padre, mio nonno ed il padre di mio nonno prima di lui. E forse, se faccio mente locale, se mi sforzo, se provo solo ad immaginare intensamente ad un corpo umano che non sia quello di mio padre, quello di mio nonno o quello del padre di mio nonno, arrivo a quello che forse si chiama trisavolo, o almeno credo. Una sorta di nostro progenitore, vissuto tanto tempo fa, che ha creato la nostra famiglia e ha confinato le nostre esistenze in questo posto, in questa comunità e condannandoci amorevolmente ed in modo lungimirante a svolgere indefessi il nostro dovere, che poi è il nostro compito, la nostra funzione, il nostro mattino, il pomeriggio, la sera, la notte e di nuovo il nostro mattino, il pomeriggio, la sera e la notte, che con il sonno reprime i sogni e i rimpianti delle donne di questa casa. Seppellire i corpi, farli  scivolare in una buca od incastrali in un loculo, dare un luogo ben preciso per il riposo eterno, non è una cosa così disdicevole, non è un’attività da denigrare, noi non siamo persone da evitare; ma questa è l’impressione che gli altri membri della comunità mi trasmettono. E di questa cosa sono stanco. Cosa succederebbe se decidessi di profanare i corpi? Cosa farebbero i loro signori membri della comunità se mi divertissi di nascosto con quello che resta dei loro parenti sepolti due metri e mezzo sottoterra? Non farò niente di tutto questo, poichè me lo proibiscono le regole della mia famiglia, della mia casa e del mio Dio. Però una cosa la farò, raggiunta la maggiore età: per i cadeveri dei bambini creerò un giardino solo per loro, un giardino speciale, dove possano riposare, ridere e giocare ancora per un’altra vita. Che Dio mi perdonami.


IV Quadro.


La Morte degli Artisti ovvero il Mestiere della Trascendenza.


La morte di un esponente della comunità artistica era sempre vissuta con un certa compostezza pietistica, che si potrebbe anche definire, una complesso formalmente precostituito di gesti dai connotati ambigui, conditi da rigidi rituali dal sapore moraleggiante e accompagnato da un insieme di comportamenti dalle declinazioni e dalle pieghe di un’appariscente ed irritante pubblica mostra di uno sciatto e squallido contenimento ipocrita. Ma delle volte accade che qualcuno muoia più di altri. Non che questa morte, che questa specifica dipartita, sia più o meno rilevante di altre, sia più o meno impattante, od addirittura così significativa e drammatica da produrre un’inevitabile scissione nella comunità di artisti di cui il defunto faceva parte ed era anima produttiva, attiva e persino organizzatrice, per non arrivare a definirlo un vero e proprio maitre a penser, animatore, agitatore o movimentista. Non si scomodi, non si pensi nemmeno di contemplare il caso unico e raro del decesso del fondatore di un movimento stesso, ovvero di colui che sarebbe stato annoverato tra i pochi, veri, unici ed autentici mostri e maestri, Signori, Despoti e Padroni del Destino dell’Arte, l’Arte quella Vera, quella che sta nei Musei Parigini, Romani, Londinesi, NewYorkesi e di molte altre capitali di nazioni di mezzo mondo e città culturalmente superiori ed elette, sparse per il globo terracqueo, tutte accomunate dalla benedizione sacrale dell’incancellabile imprimatur del sigillo della cultura e dell’intellettualismo, entrambi marchianti con le rispettive lettere iniziali in caratteri maiuscoli di eterna duratura ed ineffabile destino. Edgar Allan Poe è morto male, decisamente male. Non se ne hanno notizie certe, dettagli precisi, appigli incontestabili, non si ha un vero e proprio rapporto documentale di decesso che promani da una precisa e certa istituzione od organo, che sia di polizia, di obitorio o di addetti alle cerimonie funebri. Si sa che è morto il sette ottobre dell’anno 1849 per cause che rimangono sconosciute, misteriose, che non sono state oggetto di accurate e definitorie indagini autoptiche. Fu trovato il giorno tre ottobre in una taverna di Baltimora, con un aspetto esteriore e fisiologico di trasandatezza, di incuria, di trascuratezza ed in una condizione psicologica versante in evidenti manifestazioni riconducibili ad un generale, confusionario e traumatico stato di delirio psicotico accompagnato da un conturbante fenomeno di delirium tremens oltre ad un manifesto obnubilamento dovuto probabilmente alla protratta abitudine condotta per intere giornate e nottate in cui si era ostinato all’uso ed abuso di sostanze alcoliche e oppiacee. Portato d’urgenza al Washington Collage Hospital, lasciò le umani spoglie all’età di quaranta anni e fu sepolto in una sparuta tomba sul retro del Westminster Hall and Burying Ground.


V Quadro.


Vicissitudini Familiari ovvero la Nascita del Figlio Primogenito.


I rapporti fra Chloé e Nicholas erano giunti ad un punto che non si poteva neanche definire di rottura. Almeno la rottura, quando avviene, e quando avviene tra una coppia eterosessuale in cui la donna è incinta di oltre sette mesi, ha un suo perché, un suo motivo razionale, fondante, capace di produrre conseguenze materiali, quotidiane e di far discendere da queste una catena consequenziale di eventi comportamentali e sentimentali in grado di mettere un certo qual ordine tra la vita che è stata convissuta tra queste due persone e che, da lì a poco, le renderà divise, nemiche, partigiane, fautori e fautrici in campi di lotta contrapposti, le porterà ad avanzare rivendicazioni, ripicche, a formulare ritrattazioni, avanzare contestazioni pretestuose ed irrazionali, ad essere invase dalla gelosia, da un perverso senso di proprietà del corpo e della mente dell’uno verso l’altra e dell’altra verso l’uno, a lasciarsi trasportare in elucubrazioni trasandate, insensate, piene di odio reciproco, li porterà ad uno stato patologico generale di sordida malizia mal riposta, li condurrà nel terreno avvinghiante dell’ingiuria pronta ad essere esternata in ogni occasione e a valutare le situazioni di vita di ogni giorno e non solo, come delle maledette ed infingarde imposture, come colossali menzogne propagandistiche architettate da un regime avversario e li farà camminare lungo l’arido e sottile percorso della violenza psicologica, della facile e comoda scelta della prevaricazione discorsiva od addirittura fattiva sul prossimo, come se fosse l’unico comando osservabile sotto l’ingiusto sguardo di un dio minore, di un destino avverso, di una disgrazia inaccettabile, di una vita che sta venendo al mondo nell’alveo doloroso e teso di un amore collassato irrecuperabilmente, di un rapporto di coppia che per anni ha vissuto di strascichi e di stenti fino a provare i gangli della fame e le arsure della sete. Ecco una relazione sentimentale che mai ha raggiunto quello che Nicholas e Chloé si erano immaginati quando si erano innamorati, si erano preposti festanti quando si baciavano dappertutto, e per dappertutto si intendeva in ogni luogo e posto di Milano ed in ogni parte e porzione dei loro corpi nudi … le fantasiose proiezioni prometeiche che avevano gioiosamente ed infantilmente concepito come due terribili amanti, le giornate trascorse al parco a fotografare le giostre e gli estranei, a passeggiare, a correre dietro le enormi bolle di sapone dei clown, a smuovere coi piedi la ghiaia che stava arroccata ed umida sotto le panchine mentre le occupavano - lui, Nick, di solito leggeva uno dei suoi mostri sacri, Sartre, Camus, Kerouac, Steinbeck, Jung, Lacan, Walcott, Auden, Valery, Beckett, Bernhard, Burroughs e molti altri e lei, Chloé, si limitava ad esporre la sua bellezza alla luce obliqua e tragica del mese di ottobre.


VI Quadro.


Il Viaggio ovvero la Scoperta dell’Altro Mondo.


Ero arrivato in aeroporto quattro ore e mezzo prima dell’orario previsto per la partenza del volo diretto a New Orleans, con scalo ad Atlanta. Uno dei miei due soliti itinerari. Lo scalo od era ad Atlanta od era al JFK e devo dire che poco cambiava, anche se avessi da sempre una leggera preferenza per l’aereoporto nella capitale della Georgia, visto le dimensioni e le quantità di negozi, boutique, bar e duty free da poter girare. Inoltre c’era un semplice, banale, motivo personale. La prima volta che sono andato negli Stati Uniti d’America ero diretto all’Università UCSD di San Diego, La Jolla, California e feci lo scalo proprio ad Atlanta. Sono passati oramai venticinque anni e venticinque anni sono più della metà della mia vita e in questo arco temporale, in questo quanto di spazio in eterno movimento, seppur sempre in ossequio di un principio generale di relatività, di cose ne sono successe e sono stato testimone di tanti eventi. Parlando dell’America, la Terra dei Liberi e la Casa dei Coraggiosi, c’è stato l’undici settembre 2001, ci sono state le guerre in Afghanistan ed in Iraq, ci sono state le prime apparizioni di Barack Obama, un senatore di colore dell’Illinois che in quei tempi e negli anni subito ad avvenire calcava ed occupava fisicamente e metaforicamente, con la stessa enfasi storica che caratterizzò la limpida, penetrante, solida arte retorica, la stagliante ed ingombrante figura di riferimento che fu  Abraham Lincoln. Obama che nel 2004, alla Convention del Partito Democratico, mentre mi trovavo a San Francisco, usava il potere della parola in quel modo che è tipico di chi può pronunciarla con il dono etereo, temporaneo, saettante che valica per origine e destinazione l’afflato emblematico di una classica saggezza peripatetica, perché nei momenti cruciali in cui quel particolare individuo pronuncia libero discorsi dai toni declamanti, viene riconosciuto quale Giusto, Giusto fra la sua gente, giusto sul suo popolo, Giusto per la sua Nazione. Poi come una colossale e continuata sbornia da Quartiere Francese, arrivò il 2016 e capii immediatamente che il Paese che più amavo oltre al mio di origine, sarebbe stato guidato dalla versione peggiore dell’America, non quella in cui mi riconoscevo di New Orleans-Louisiana, di San Francisco-California, di Austin-Texas e di altri posti sparsi nella nazione nordamericana a stelle e strisce (Chicago, Seattle, Washington D.C., Downtown Los Angeles, Downtown Las Vegas e la magnifica, decadente, rabdomante post-industriale Detroit), ma da quella della rabbia, dell’intolleranza, della prepotenza, delle frodi, dei fallimenti ed infine dell’assalto a Capitol Hill. Su un muro di una casa di Bywater, un quartiere tipico dei New Orleanians, c’è dipinta una celebre frase di Tennessee Williams “America has only three cities: New York, San Francisco, and New Orleans. Everywhere else is Cleveland.”







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