sabato, ottobre 21, 2023

La Scelta Letteraria. La Ragione dello Scrivere e L'appartenenza ontologica all'Arte.


Da ragazzino, e direi fino a qualche tempo fa, quindi prima della misurata e matura soglia dei quaranta anni, quando arrivavo in una città, per capire la tradizione, il senso ed il vero peso specifico di quella città, mi buttavo principalmente in tre posti: nei principali musei di arte, nelle biblioteche cosiddette, istituzionali e nei luoghi della musica, dalle sale da concerto ai più reconditi e malfamati postriboli dove si facesse musica dal vivo. Parlando di città, mi riferisco principalmente ed intenzionalmente a capitali europee, a città che ebbero una certa e ben definita importanza storica oppure a quelle che in quel momento avessero un rilievo immediatamente attuale e che comunque rappresentassero e costituissero un ruolo certo, ben determinato di centro nevralgico in quella specifica nazione e nel continente di giacenza, di appartenenza. Premetto che due sono i continenti che ho vissuto e visitato di più: la madre Europa, dove galleggia la Penisola del mio Paese d'origine, l'Italia, e soprattutto un nazione a sé stante, che ha tutti i crismi di un continente, ovvero gli Stati Uniti d'America. Per forma mentis, per complessione cerebrale, per spirito di appartenenza, sono un europeo che ha sempre amato l'America, e che ben presto è diventato, per molteplici motivi - studi, soggiorni, viaggi interminabili, periodi di vita vissuta appieno e visceralmente - un ibrido: sono un europeo per nascita e provenienza anagrafica, ma nel corpo, nel cuore e nella mente sono più americano di un Newyorkese, sono un NewOrleanians fatto e finito, perché New Orleans, NOLA, acronimo che sta per New Orleans Louisiana, id est, N.O.LA (LA non sta per le due lettere principali, capitali di Los Angeles, California, ma LA è l'abbreviazione formale dello Stato della Louisiana), è la mia città di elezione, è il mio porto sicuro, e il punto di partenza ed arrivo di ogni mia scorribanda nella terra degli yankee.


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Dunque: la cosa che facevo per prima, quella che facevo veramente come se fosse un'iniziazione o il principio di adesione alla procedura di un sacramento laico - poi non così tanto laico, visto il folle fervore predatore ed incontrollabile proposito proditorio - era quella, letteralmente e proverbialmente, di procedere, se non addirittura correre, verso i musei d'arte ed approcciare frontalmente le opere d'arte predilette, opere che avevo studiato per anni e a cui avevo anelato per notti insonni. Principalmente erano le tele dei grandi Maestri del Colore. Nei primi tempi furono gli Impressionisti, poi vi fu il sorpasso, per dirla meglio, uno sconcertante, iroso, colossale, militaresco, vittorioso, deifico e sbaragliante surclasso  da parte dell'Espressionismo Astratto sulla abbandonata causa dei pittori della seconda metà dell'Ottocento fino ai primi del Novecento. La stessa cosa la facevo con i libri: la mia prima volta a San Francisco, mi sono recato alle sei di mattina in stazione e sono salito su una carrozza del treno che portava a Berkeley, nel contesto meteorologico tipico di quell'area della California, un freddo che instupidisce con il tocco di una densa e graffiante nebbia onnipresente che ti avvolge ad altezza d'uomo. Quel giorno di luglio, giunto nella mitica Università che vide le prime Contestazioni con i Free Speech Movement (FSM) e il crescere e formarsi di un amplissimo corredo - dal dio della filosofia sceso in terra rispondente al nome di Herbert Marcuse, alla libertà di espressione ed accademica, dall'abolizione del divieto di libera pratica di attività politica alla cosmologica rieducazione, una piccola ma potente Trasvalutazione di Tutti i Valori direi - di idee, laboratori di nuovi concetti istituzionali e comportamentali, di nuove pratiche di vita vissuta e di cambiamento, se non addirittura di rovesciamento, della categorie sociologiche ed antropologiche che ordinavano la società del secondo dopoguerra tanto più una parossisticamente complessa e contraddittoria allo spasimo come quella che abitava e dà a tutt'oggi vita alla Nazione a Stelle e Strisce. La cosa che feci era quella di rintracciare la responsabile di Letteratura Moderna e Contemporanea Americana e una volta trovata, iniziare un animoso e trionfale discorso sui Beats ed il loro capostipite, Jack Kerouac. Mi ricordo il nome di quella ragazza, di qualche anno più grande di me; io ne avevo ventiquattro. Si chiamava Barbara e fu, almeno per me, piacevolmente sconvolta dalla mia conoscenza della materia del dibattito in cui l'avevo costretta, confronto terminato da una sua subitanea intima percezione di uno stato di esaurimento psichico e prostrazione fisica dovuta al nostro confronto e a quello a cui l'avevo sottoposta nelle prime ore di lavoro di un comune mercoledì di routine accademica. Per farla breve, nella sua stentata sopravvivenza all'inaspettato detrimento a cui l'avevo sottoposta, mi condusse verso l'ampia sezione degli autori e delle opere che mi interessavano e finii col passare lì diverse ore. Rientrai con il treno del tardo pomeriggio per Frisco, festante, pieno di hybris intellettuale, febbricitante per la mia incursione da conquistadores italico nel tempio della Gold Cost. 


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Poi, sono cambiato. Negli ultimi anni ho viaggiato di meno e questi si sono accumulati tra varie vicissitudini, ed ora non mi butto più anima e corpo nel sudario dell'opera d'arte. Adesso leggo saggi, studi ed interviste sugli autori, che già conosco, così completando la mia conoscenza e rafforzando la mia coscienza dell'autore. Leggo anche le raccolte epistolari, che alcune volte hanno le sembianze e il peso di quello che si chiama comunemente e volgarmente volume. Veri e propri tomi dalle dimensioni e peso che intimorirebbero anche il più cinico e freddo degli sguardi calcolatori e razionali di un aspirante studioso od intellettuale. Forse fa parte di un percorso inconscio di accrescimento personale nel nome della Conoscenza e della Comprensione, entrambe con le Ci Maiuscole. O forse è un vezzo di passaggio. Di sicuro quello che mi rende più curioso, mi rende più forte. Barbara, a distanza di diciassette anni, uscirebbe tramortita da un secondo incontro con me. O dichiarerebbe subito, esprimendo per iscritto la scelta di fine vita attraverso morte cerebrale, oppure, più semplicemente, vedendomi sopravanzare in una sezione della biblioteca di Berkeley, o salire uno di quelli scaloni, sarebbe indecisa se nascondersi od iniziare a correre furiosamente, come per scappare da qualcosa di animalesco, mostruoso, sicuramente letale.









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