Sto vedendo la televisione, qui in questa camera di motel, Beaumont Texas. Potrebbe essere anche Haarlem, Paesi Bassi. Ha rapito la figlia del primo matrimonio. Grazie allo pseudonimo non sanno mai chi sono veramente. Credo che voglia farsi ammazzare. Farsi sparare. Se esce da quella porta potrebbero spararle. So che mi sta cercando, per sapere cosa fare. E’ tutta una vita che le do consigli. Poi iniziò la depressione per quella gravidanza. Lei è convinta di aspettare la nostra bambina o il nostro bambino che sia. Gli aborti erano 4 e quello che non accettò era il quinto. Lì la testa le si staccò e fece un giro tra le stelle e le paludi. Venne la chiesa, la setta, o forse le migliaia di sette. Io guardavo il golfo, scaricavo tonnellate di roba all’anno. Non vivevo secondo le regole insegnatomi dalla mia famiglia, dall’università, dai posti di lavoro in cui ero stato lungo un ventennio. Guardavo, mi mettevo da parte a scrivere. Documentari su rock star in punto di morte permanente. Eravamo così amici, mi ha scritto nove mesi fa. Certo che vivere nella roulotte per anni non era una grande prospettiva. Io non ero una grande prospettiva. Non le garantivo niente se non la mia presenza. Il che non significava niente. Leggevo tutto il tempo. Scrivevo e riscrivevo. Passavo ore ed ore al telefono con amici musicisti e pittori e con donne avute; o con altre da averne. Miriam non voleva lottare come me. Voleva solo avere una vita tranquilla. Le notti con la botola della roulotte aperta. Passava l’aria del deserto e non ne avevamo niente. Mangiavamo crauti in scatola e würstel direttamente dal pacchetto. Alle 3 di mattina mi alzavo a fare 4 litri di caffè. Ogni tanto qualche amico le regalava della roba e la facevamo fuori subito. Vivi facile, vivi veloce.
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