sabato, aprile 25, 2015

5,7







Domeniche pomeriggio. Passaggi a vuoto. Fuori dai cocktail bar la gente ha ancora voglia di bersi lunghi & acquosi caffè. Iniziare a parlare del futuro, la settimana che viene, i piani per una stagione di pioggia. Destinazioni cancellate, perfino rimpiazzate. I giornali bagnati da macchie di tabacco che impregnano le colonne della politica estera. Gorbaciov fa progressi. Glasnost, Perestrojka. Contenuti politici da stato occidentale. Si discuteva della validità della pena di morte. Iniezioni letali, cinghie di cuoio, scariche elettriche emanate da generatori nucleari. La fine che fanno certi detenuti in certi contee. Enormi luoghi di detenzione, sorvegliati e puniti. Il fiume che muove dalla tromba d’aria che sta per arrivare in città. Ci si parla per le strade, gli argini reggeranno una volta ancora. Miriam sta facendo ancora il suo turno. Sto guardando gli scatti fatti due mesi fa in 2.000 chilometri di viaggio. Filosofi inchiodati in cabine telefoniche & pensatori senza eroi. La vita nei boschi o solo quella a ridosso della palude. Zone di depressione che non verranno mai bonificate. Caricare la macchina, girare. Il rock ’n’ roll che ci parla dalla radio, tirando giù i finestrini per l’avvento di una quarta dimensione. E’ possibile che siano passati così tanti anni. Le elezioni alle porte anche se non ci si vuole mettere a danzare con quello che chiamano il diavolo. Miriam, quando torna a casa. Quella sera iniziò a parlarmi in modo diverso, iniziò ad usare parole vuote e un certo qual senso di allusione. Parlava di maternità, di andarcene via dalla roulotte, di cambiare il nostro stile di vita, di fare una vita più normale. Possiamo farcela. Era la prima volta che non la guardavo con curiosità. Aveva preso a recitare il solito refrain di una donna a ridosso dei quaranta che si sente mancare la terra sotto ai piedi. Pensavo di essere stato chiaro fin dalla prima sera, Miriam. Di tutta risposta lei iniziò a dare di matto, urlando, tentando di prendermi a pugni. La paralizzai. Iniziò a piangere e mi disse che non voleva abortire un’altra volta. 





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