lunedì, aprile 13, 2015

5,4







La lettera firmata Miriam e sapeva che Miriam era il suo nome di battesimo, una donna che si sarebbe fatta chiamare Lia, per tutta la vita. Molti scrittori o paria, usano pseudonimi, per non farsi riconoscere, per cambiare, dimenticare la propria storia famigliare. Miriam/Lia. Di solito le situazioni più squallide sono quando un uomo ed una donna si lasciano. Cercano di riempire il vuoto inutile delle proprie vite con parole, gesti, esternazioni di un’infinita tristezza. Per loro non era andata così, lui aveva assalito e tramortito il predicatore. Storie, storie, storia. La vita scappa via, il fumo sopra le nostre teste. Se fin da piccolo impari che tutto può finire, che tutto è destinato a finire, allora puoi essere sincero ed onesto. Un sabato pomeriggio in cui la tua donna beve un frullato alla banana e ti parla di un film da andare a vedere. Ok, andremo a vederlo. Quando? Martedì. Martedì è sempre un ottimo giorno per vedere film in enormi sale cinematografiche, vuote, costipate da odori di vecchi amori, stregate da fantasmi senza spina dorsale. Il giorno della funzione. Tutti si preparano per andare in pubblico, per lasciarsi una scia di benestare collettivo, una benevolenza concessa per un ultimo solo minuto. Sei stato lì, in piedi. Hai guardato la gente, i vestiti delle persone, i clown fumiganti  prima dell’esplosione nel nome dell’irredimibile decenza. Dopo l’aborto spontaneo, nel giro di una mattina, Miriam iniziò a vestire in modo diverso. Abbandonò il trucco e l’acquisto di anticoncezionali. Lui uscì fuori dalla roulotte ed andò e si comprò un machete. Poi andò al bar verso le undici di mattina. E’ incredibile come si cambi nel giro di tre quarti d’ora. Che cosa. Le parole. Un’immensa ingovernabile liturgia parodistica. Dove siamo cresciuti e fino al termine della notte. Lia oltre al supermercato andava ad arrotondare come barista. Qualche volta aveva ballato. Di sicuro era una ragazza buona. Si guardavano per giorni nella roulotte, mentre si alzava e si metteva a leggere sul letto o a scrivere sul tavolo della cucina. Poteva Dio rientrare nelle loro vite. Lui le rispose, dopo qualche minuto. Innanzi tutto chi è Dio. E poi in quale tipo di dio dovremmo credere. Quello che ha fatto il mondo e poi un giorno si è messo a riposare. Quello che da uno scranno su Giove ci ha giudicato e dannato. Quello del perdono, della misericordia infinita o quello delle reincarnazioni plurime. Un dio lontano e assente o un dio a pieno servizio, che quando lo preghiamo per i nostri bisogni ci accontenti come un distributore automatico. Dio dammi dei soldi, dio dammi una donna, dio dammi il successo. Quale dovrebbe mai essere il nostro dio. Che aspetto avrebbe. Come parlerebbe con noi. Dio forse, è la cosa più umana che esiste. Oppure dovremmo spingerci all’affascinante ipotesi di un dio della rivoluzione permanente. Lei si alzò, non lo guardò e gli fece notare che non era stata educata a ragionare in quel modo spregevolmente cinico. A lei era stato insegnato il valore della compassione e della speranza. Di risposta lui prese il registratore vocale e lo fece partire per incidere queste parole: la senti questa sirena. Questa è la sirena della notte dei tempi. Va avanti da quando tutto è iniziato. Questo è l’unico Dio possibile. Il dio dell'emergenza.



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