venerdì, aprile 24, 2015

5,6







Dopo aver segnato nervosamente quel numero su un pezzo di carta volante prese su la borsa nera e se la mise addosso, in spalla. Usciva dalla roulotte, come quasi ogni mattina dell’anno. Miriam, io la guardavo. Abitava in città. In ascensore si dava una stretta nelle spalle, nelle scapole doloranti e sminuite da mesi di corda tirata. Un amante per un altro, qualcuno di passaggio. Di lunedì il mondo non canta se stesso. Dispiaciuta finché si poteva, guardandosi allo specchio dell’ascensore che scendeva lungo la pompa appena oleata. Quante stagioni all’inferno nostro caro Rimbaud. Chi ti legge più. Sei solo un cadavere di carta sparso nei nostri cieli, nelle nostre discariche bianche di tossine di ultima generazione, sei solo un altro morto che cammina per i nostalgici. Un Paese in movimento. Qualche volta è la festa dei lavoratori, la festa della nazione, la festa della presa del carcere, la festa di tutta la pletora dei santi. La guerra è finita signore & signori. Tutti a casa, con tanto di mancia nel cappello. Tempo, tempo, tempo. Tutte cose che terminano con un buon fine. Tenere le mattine viste in cui gente incolonnata saliva sui mezzi pubblici per andare al lavoro. Una sosta drogata sul posto di lavoro. La sera a casa dalla propria famiglia davanti alla televisione. E domani si ricomincia. E’ passato così tanto tempo da quando si parlava in un modo differente. Un modo completamente falso. Adesso non c’è neanche più quello: non possiamo neanche permetterci il lusso di essere completamente falsi. Ci guardiamo nei nostri stessi passi. Non sono cose che puoi aggiustare. Case che crollano come polmoni infartuati. Miriam mi raccontava queste cose, era il suo termine di invito per prendere parte alla sua sessualità minuta e debordante. Una notte mi confidò di avere visto il diavolo, faccia a faccia, in un sogno di mezzo pomeriggio. Mi disse che era rosso e che voleva impossessarsi di lei. Sei matta Miriam, il diavolo non esiste. 



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