sabato, marzo 08, 2014

Inquadratura di quinta








Il professor Ashkenazi.
La scena si apre qui. Inquadratura di quinta.
Poi si riparte da sotto, dalle scarpe inglesi butterate e dai calzini di lana spessa a disegni scozzesi. Le scarpe sono tenute in modo impeccabile. Scarpe da lord.
Si risale lentamente. Le coste dei pantaloni di velluto sono come la fossa delle marianne nella pellicola. Sono dei solchi impietosi nella terra, dei tagli irrimediabili nella pietra, nella roccia.
I pantaloni di velluto sono color terra di siena.
La ripresa avanza, prosegue.
Sotto c’è un fondo sonoro molto forte, sono i Jefferson Airplane con la voce di Grace Slick che stacca l’intonaco dai muri e fa crollare le misere certezze degli avventori del Dry Martini di Barcellona.
Questa vicenda dei Jefferson Airplane è del tutto un’anomalia per questo locale e per la vita del professor Ashkenazi.
Prima di tutto perché al Dry Martini mettono su sempre la stessa identica selezione - Miles Davis, classic jazz ed alcune volte ci scappa Charles Mingus.
Secondo ed ultimo, il professor Ash. ascolta solo Bach, di rado Mozart e due volte all’anno Prokofiev, Sergej.
Chi ha voluto questa musica che il professore ha definito “immaginifica e blaterante, ma d’altronde in quegli anni là si viveva così e sa che mia figlia ci è morta di eroina, lsd e tutto il resto, proprio ad haight-ashbury, fu una delle prime morti di overdose; forse è anche per quello che detesto così tanto quella musica; ma rispetterò il contratto”.
La pioggia fuori nel quartiere Eixample.
Fin dove potesse arrivare e anche oltre. Triste giornata di tutti gli eskimo.
Era cittadino americano da anni e parlava sette lingue. Sfiorava un metro e ottanta di altezza ed aveva il volto ben rasato con un naso polacco o lituano piazzato in mezzo. Taglio degli occhi grande. Rughe in ogni senso e verso in fronte.
Seduto su uno sgabello era fasciato in un cappotto di cashmere cammello. Dopo che si era leggermente sbottonato si intravide il suo abito, un gessato doppiopetto grigio scuro segnato da filanti e suntuose righe azzurrine.
La camicia stessa era di un azzurro tenue con il collo libero da bottoni e leggermente cadente, allungato. La cravatta era di un blu notte screziata da puntinature malva.
Per fare omaggio al locale ordinò un dry martini, ma solo per assaggiarlo disse.
Gli american bar erano una passione ed una fissazione sia del regista che dello sceneggiatore che poi erano, in ordine,  sorella e fratello.
Ash. disse che alla sua età poteva farne a meno, farne a meno degli american bar, anche se aveva citato il Loos di Vienna. Aveva vissuto anni a Vienna.
Lui era sopravvissuto alla guerra ed aveva inventato discipline universitarie. Ed ogni anno sfiorava il Nobel. Confidò che non gli era mai stato conferito perché avrebbe seguito la scelta di J.P. Sartre e la reale accademia di Svezia non poteva permettersi di cadere due volte nella stessa tomba.
L’unica cosa giusta che hanno fatto gli americani nel ’45, è stato di non sganciare la bomba su Tokio. Io fui tra quelli che si opposero. Lo dissi a Truman. E lui ne sganciò due. Per otto mesi dovetti sospendere l’insegnamento.
Sì sapevo cosa stava succedendo a noi, nei campi. Ma di questo non voglio parlare.
Sì ci ho perso tutta la mia famiglia, e allora? Sono andato avanti.
Fece spegnere le telecamere e disse: si ricordi che abbiamo un contratto. Ha visto come è finito Nixon nella strampalata intervista di Frost? Pensi solo cosa possa capitare a lei, a parti invertite, qui, invertite due volte.
Come considera i suoi apporti alla filosofia, alla sociologia, all’antropologia dai suoi studi, dal suo lavoro che la contraddistingue da così tanto tempo in ambito accademico e non solo, perché tutti conosciamo la sua risonanze tra le masse.
Guardi di solito. No interrompa.
Riprendiamo.
Guardi di solito dicono: Marx, lo sa, questa è la vulgata, libretto rosso di Mao, Weber, Engels, Fromm o chi per lui, e poi tutti gli altri a cascata o alla rinfusa.
Poi sesto o quinto spunta il mio nome. Ashkenazi. Mi viene solo da ridere.
Perché le viene da ridere?
Perché mia madre mi avrebbe detto: vedi sei solo sesto o settimo.
Tu e la tua filosofia, tu e la tua arte. Dovevi commerciare in pietre, idealista.
Non ne capisco perfettamente l’attinenza. Lei rappresenta uno dei punti massimi del pensiero occidentale, del pensiero occidentale cristiano-giudaico-occidentale.
Sì questo lo capisco. Ma lei non capisce che io sono un uomo anziano.
Vede la vita va sempre così. Ci sono persone che fanno qualcosa. Ma fondamentalmente non sono così interessate a quel qualcosa. Lo fanno solo per vivere e sopravvivere e anche perché non saprebbero che fare di altro. Allora si mettono lì a studiare, a creare, a stupire.
Lei prima mi parlava del Nobel. I premi sono stupidi. I paragoni sono stupidi diceva Cervantes. La verità non è nei premi, ma nella realtà, che poi può essere quella di tutti i giorni, la verità è nelle persone. La verità è nelle visioni.
Mi perdoni, forse non tutti sono capaci di quelle visioni di cui lei sta parlando. Tenga conto che il 99% della gente là fuori non sa minimamente niente, di quello che lei sta dicendo, non sta capendo niente.
Meno male che ci è arrivata. Cara la mia amica e giovane regista, anche se più giovane forse non la si può chiamare, lei è sulla quarantina e deve ancora sostanzialmente incominciare a vivere, deve capire che noi tutti siamo limitati. Magari abbiamo delle intuizioni, ma poi quelle le pagheremo per il resto della nostra vita.
Io credo che lei si senta in colpa perché ha avuto successo, cosa che non ha mai chiesto e soprattutto si sente in colpa perché è sopravvissuto in questo modo alla sua famiglia.
Signori, vedo che qui avete una regista ed uno sceneggiatore preparati.
Domani qui, stessa ora, che iniziamo le riprese.
Vi informo che metterò più eau savage e berrò molto di più.

Ma il mio aspetto e la mia parlata, le mie parole, rimarranno impeccabili.





Nessun commento:

Posta un commento