Il
professor Ashkenazi.
La
scena si apre qui. Inquadratura di quinta.
Poi
si riparte da sotto, dalle scarpe inglesi butterate e dai calzini di lana
spessa a disegni scozzesi. Le scarpe sono tenute in modo impeccabile. Scarpe da
lord.
Si
risale lentamente. Le coste dei pantaloni di velluto sono come la fossa delle
marianne nella pellicola. Sono dei solchi impietosi nella terra, dei tagli
irrimediabili nella pietra, nella roccia.
I
pantaloni di velluto sono color terra di siena.
La
ripresa avanza, prosegue.
Sotto
c’è un fondo sonoro molto forte, sono i Jefferson Airplane con la voce di Grace
Slick che stacca l’intonaco dai muri e fa crollare le misere certezze degli
avventori del Dry Martini di Barcellona.
Questa
vicenda dei Jefferson Airplane è del tutto un’anomalia per questo locale e per
la vita del professor Ashkenazi.
Prima
di tutto perché al Dry Martini mettono su sempre la stessa identica selezione -
Miles Davis, classic jazz ed alcune volte ci scappa Charles Mingus.
Secondo
ed ultimo, il professor Ash. ascolta solo Bach, di rado Mozart e due volte all’anno
Prokofiev, Sergej.
Chi
ha voluto questa musica che il professore ha definito “immaginifica e
blaterante, ma d’altronde in quegli anni là si viveva così e sa che mia figlia
ci è morta di eroina, lsd e tutto il resto, proprio ad haight-ashbury, fu una
delle prime morti di overdose; forse è anche per quello che detesto così tanto
quella musica; ma rispetterò il contratto”.
La
pioggia fuori nel quartiere Eixample.
Fin
dove potesse arrivare e anche oltre. Triste giornata di tutti gli eskimo.
Era
cittadino americano da anni e parlava sette lingue. Sfiorava un metro e ottanta
di altezza ed aveva il volto ben rasato con un naso polacco o lituano piazzato
in mezzo. Taglio degli occhi grande. Rughe in ogni senso e verso in fronte.
Seduto
su uno sgabello era fasciato in un cappotto di cashmere cammello. Dopo che si
era leggermente sbottonato si intravide il suo abito, un gessato doppiopetto
grigio scuro segnato da filanti e suntuose righe azzurrine.
La
camicia stessa era di un azzurro tenue con il collo libero da bottoni e
leggermente cadente, allungato. La cravatta era di un blu notte screziata da
puntinature malva.
Per
fare omaggio al locale ordinò un dry martini, ma solo per assaggiarlo disse.
Gli
american bar erano una passione ed una fissazione sia del regista che dello
sceneggiatore che poi erano, in ordine,
sorella e fratello.
Ash.
disse che alla sua età poteva farne a meno, farne a meno degli american bar,
anche se aveva citato il Loos di Vienna. Aveva vissuto anni a Vienna.
Lui
era sopravvissuto alla guerra ed aveva inventato discipline universitarie. Ed
ogni anno sfiorava il Nobel. Confidò che non gli era mai stato conferito perché
avrebbe seguito la scelta di J.P. Sartre e la reale accademia di Svezia non
poteva permettersi di cadere due volte nella stessa tomba.
L’unica
cosa giusta che hanno fatto gli americani nel ’45, è stato di non sganciare la
bomba su Tokio. Io fui tra quelli che si opposero. Lo dissi a Truman. E lui ne
sganciò due. Per otto mesi dovetti sospendere l’insegnamento.
Sì
sapevo cosa stava succedendo a noi, nei campi. Ma di questo non voglio parlare.
Sì
ci ho perso tutta la mia famiglia, e allora? Sono andato avanti.
Fece
spegnere le telecamere e disse: si ricordi che abbiamo un contratto. Ha visto
come è finito Nixon nella strampalata intervista di Frost? Pensi solo cosa
possa capitare a lei, a parti invertite, qui, invertite due volte.
Come
considera i suoi apporti alla filosofia, alla sociologia, all’antropologia dai
suoi studi, dal suo lavoro che la contraddistingue da così tanto tempo in
ambito accademico e non solo, perché tutti conosciamo la sua risonanze tra le
masse.
Guardi
di solito. No interrompa.
Riprendiamo.
Guardi
di solito dicono: Marx, lo sa, questa è la vulgata, libretto rosso di Mao, Weber,
Engels, Fromm o chi per lui, e poi tutti gli altri a cascata o alla rinfusa.
Poi
sesto o quinto spunta il mio nome. Ashkenazi. Mi viene solo da ridere.
Perché
le viene da ridere?
Perché
mia madre mi avrebbe detto: vedi sei solo sesto o settimo.
Tu
e la tua filosofia, tu e la tua arte. Dovevi commerciare in pietre, idealista.
Non
ne capisco perfettamente l’attinenza. Lei rappresenta uno dei punti massimi del
pensiero occidentale, del pensiero occidentale cristiano-giudaico-occidentale.
Sì
questo lo capisco. Ma lei non capisce che io sono un uomo anziano.
Vede
la vita va sempre così. Ci sono persone che fanno qualcosa. Ma fondamentalmente
non sono così interessate a quel qualcosa. Lo fanno solo per vivere e
sopravvivere e anche perché non saprebbero che fare di altro. Allora si mettono
lì a studiare, a creare, a stupire.
Lei
prima mi parlava del Nobel. I premi sono stupidi. I paragoni sono stupidi
diceva Cervantes. La verità non è nei premi, ma nella realtà, che poi può
essere quella di tutti i giorni, la verità è nelle persone. La verità è nelle
visioni.
Mi
perdoni, forse non tutti sono capaci di quelle visioni di cui lei sta parlando.
Tenga conto che il 99% della gente là fuori non sa minimamente niente, di
quello che lei sta dicendo, non sta capendo niente.
Meno
male che ci è arrivata. Cara la mia amica e giovane regista, anche se più
giovane forse non la si può chiamare, lei è sulla quarantina e deve ancora
sostanzialmente incominciare a vivere, deve capire che noi tutti siamo
limitati. Magari abbiamo delle intuizioni, ma poi quelle le pagheremo per il
resto della nostra vita.
Io
credo che lei si senta in colpa perché ha avuto successo, cosa che non ha mai
chiesto e soprattutto si sente in colpa perché è sopravvissuto in questo modo
alla sua famiglia.
Signori,
vedo che qui avete una regista ed uno sceneggiatore preparati.
Domani
qui, stessa ora, che iniziamo le riprese.
Vi
informo che metterò più eau savage e berrò molto di più.
Ma
il mio aspetto e la mia parlata, le mie parole, rimarranno impeccabili.
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