domenica, dicembre 25, 2016

Lorena, 9.





Qui, nell’incondizionata presenza del tempo, dove appena solo la luce morente di un tranquillo pomeriggio nazionale può passare attraverso la sgangherata grata dietro il sottile vetro nella porta che a malapena sbatte e che non riesce a chiudersi del tutto, con uno strascicato refolo di vento, caldo, umido, inviscidito dal taglio di faccia di queste persone, prima che un’altra sparatoria al di là del fiume con proiettili vaganti si conficchino nelle assi di legno che riparano le pareti delle case danneggiate dall’ultima inondazione, colpi esplosi per regolamenti di conti di piccolo taglio che finiscono addosso a prede involontarie, armi da fuoco usate per l’ingordigia di un certo senso per gli affari. Seguo la mia solita vecchia lezione: composto al bancone, quattro birre in bottiglia e tre doppi, un amalgamato, un irlandese ed uno di segale, e puoi vedere dopo come ti cambia la vita. Estraggo il taccuino e lo metto sul bancone, pulendo il sottobicchiere una chiazza di lascito zuccheroso di qualche avventore passato, appoggiando la penna in modo ordinato, nel senso opposto del taccuino. Il barista mi guarda. Metto la mano nella barba sotto il mento e dirigo gli occhi verso il televisore che sta appeso a qualche metro da me, in un angolo a sinistra a lato dell’entrata del locale. Anche io, come tutti qua, sono qua per starci per ore, forse tre quarti di giornata, il locale è sempre aperto, tutte le sante ore dell’anno, cambiano solo le fattezze di chi ti prende la bottiglia di birra dal frigo basso in lamiera dietro il bancone, ne fa saltare il tappo in aria, e la fa scivolare per qualche centimetro fino a che non raggiunga la tua presa; come tutti qua siedo nella mia privata postazione per chiudere la giornata, per andare avanti, per far finta che niente sia esistito prima - Maya, e che niente esisterà dopo. Sono qui in cerca di risposte, non solo di informazioni. Adesso è entrato chi stavo aspettando. Mio nonno mi aveva insegnato ad usare bene il coltello da pesca, proprio come quello che ho nella tasca della coscia destra dei pantaloni. Lo tocco per sentirne i contorni, la superficie, per assimilarne le dimensioni e l’aggressività. Alla fine di tutto, chi potrebbe negare che la vita è tutta una questione di potenzialità espresse o inespresse. Su, andiamo.







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