domenica, dicembre 18, 2016

Lorena, 7.







Spiriti asurici, contraddizioni femminili sul tavolo, ancora - le braccia di Lorena. Una polaroid dai contorni carbonizzati e con colori saturi di tempere acriliche. Inchiodati ad una inquietudine incommensurabile, ho letto e: sviati dalla moltitudine dei loro pensieri. Giù, giù in fondo. Le colazioni in questi motel con i camionisti che si preparano per viaggi da costa a costa, da capitale a capitale, dal delta nel golfo all’eruzione di un cratere dormiente, solo per una pagina strappata dalla Bibbia macchiata di bourbon nel cassetto del comodino destro. Una storia che non svanisce oltre l’uscita di sicurezza, attraversando un piazzale inondato di umidità con le macchine a fianco, le une alle altre. Chiamo Lorena. Dice, giura di essere pulita dal giorno dopo la scomparsa di Maya. Crederle, sospettarla, una cosa vale l’altra. Sono passati tredici giorni. Sto cercando di raccogliere informazioni, analizzare segni, aspetti, sto cercando di sentire e vedere cose, nomi che sono sfuggiti e che sono là fuori. Tredici giorni che viaggio e non ho trovato niente; tutto si sta gonfiando, dilatando nella mia mente e questa è un luogo di morbido, liquido dissenno, ora, le foto di Maya da piccola sparse sul letto. Richiamo Lorena. Non riesce a mangiare da due giorni. Le sue sbandate amiche le stanno dando una mano nel quartiere, vagando come delle tossiche furie in cerca di brandelli di parenti persi e mai avuti. Oggi penso di andare ad est, il distributore non è lontano da qui, non vedo altro.



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