Lasciarlo
avrebbe significato insubordinazione, tradimento, un processo sommario, veloce
ed inesistente, tutte parole per dire: morte.
Ma
nella mia testa iniziava formarsi una convinzione che partiva dai brevi ed inaspettati
momenti che due individui completamente estranei possono avere; inoltre c’era
la questione di una mia ideale e teorica visione pacifista del mondo, uno
strascico proveniente dalla mia coscienza turbata anche per quello che avevo
fatto alle persone a me vicine.
La
rivoluzione era una scelta estrema e chiedeva atti estremi. E nella gamma della
declinazione del terribile, posso dire di aver lasciato il segno.
Avevo
preso parte, come da consuetudine, all’interrogatorio del prigioniero e la
ferita peggiore che questo riportava era opera mia (interno della coscia
destra).
Un
coltello incandescente gli aveva squarciato la gamba.
L’urlo
che ha fatto, nonostante avesse uno straccio lurido e bagnato in bocca, mi ha
provocato ribrezzo e non so se dire se per l’urlo in sé o se verso me stesso.
Due
ore fa mi ha implorato di finirlo. La cancrena lo sta massacrando.
E
adesso che rivaluto l’idea di compiere un atto di clemenza rilasciandolo ai
domiciliari, mi rendo conto che sarebbe solo un’idiozia totale; nel giro di un
giorno o due morirebbe.
La
gamba è fetida, puzza.
Pochi
minuti fa ha invocato il mio nome di battesimo e quello della mia famiglia, che
qui non posso riportare per esteso.
“R.M.,
nome di battaglia il Diplomatico, meglio noto come il Carnefice.”
I
nomi sono conseguenze delle nostre azioni.
Uno
può essere chiamato calzolaio perché ripara le scarpe altrui; imbianchino
perché dipinge le pareti; scrittore perché scrivi e pubblichi libri che
qualcuno leggerà; combattente perché imbracci le armi per una causa.
I
nomi il Diplomatico e il Carnefice riassumono con compiutezza e precisione due
personalità fortemente presenti in me, che coesistono da sempre,
accompagnandomi nelle mie scelte di vita.
“R.M.
io so chi sei! Cosa hai fatto alla tua famiglia! Tua moglie e tua figlia si
sono ammazzate quando hanno saputo chi eri, cosa facevi!”
Prigioniero,
noi dobbiamo iniziare a confrontarci su un piano diverso. Vedi sei tu che stai
crepando attraverso sofferenze indicibili, sofferenze create e gestite da me.
Io
sono causa della tua morte, imminente.
“Infame,
cane, dio ti giudicherà!”
Alvaro,
Alvaro Morales, maresciallo del re, colui che diede l’ordine di uccidere 17.000
persone nelle manifestazioni dell’Alba Montante, sparando in modo indiscriminato
sulla folla inerme con fucili, mitragliatrici e granate.
Vedi
Alvaro, tu hai sbagliato tutto nella tua vita, e ora sei qui.
Credi
che non sappia dei tuoi tentativi di garantirti una via di fuga, un’impunità assoluta
offrendo come merce il tuo arsenale e i tuoi soldati?
Credi
che non mi ricordi della tua caserma?
La
caserma Alaban, XI circoscrizione, chiamata il forte dei colli spezzati.
Prova
a rinfrescarmi come si chiamava il compagno con cui avevi trattato per una resa
incondizionata. Provo ad indovinarlo … una cosa tipo Carlos.
“Sìii
… si chiamava Carlos.”
Alvaro,
ascoltami, volevo aprire una parentesi, per chiarirti un punto su cui mi sembra
che tu sia molto confuso, uno dei tanti. Dio non giudicherà nessuno perché dio
non esiste.
Sta
scritto da tre anni nella Carta Rivoluzionaria della Repubblica.
Dunque,
ritorniamo al compagno Carlos.
Ho
presente la zona della caserma Alaban. poco al di sopra della costa. Aiutami
quando dista dal mare, due miglia, due miglia e mezzo?
“2,370
miglia.”
Grazie
per la collaborazione Alvaro, sai mi sembra che ci stiamo avvicinando in questa
conversazione.
“Tu
mi stai uccidendo. Di certo abbiamo fatto dei passi avanti dall’interrogatorio,
che possiamo anche chiamare tortura. Tu devi essere stato un mio carcerato, un
mio numero. Un intellettuale dissidente, dal modo con cui parli.”
Dimmi,
Alvaro. Quanti ne hai ammazzati. Usi ancora il dopobarba al rabarbaro?
“Non
riesco a capire come tu possa sapere queste cose. No non lo uso da mesi, e poi
credo che tu mi voglia fare fuori. Con questa gamba mi hai fottuto.
Completamente. Hai voluto scrivere la mia condanna a morte con il tuo coltello
nelle mie carni. E’ stata un’esecuzione, dopotutto. Forse, oltre che un
intellettuale, sei uno che avuto un addestramento militare o quantomeno
paramilitare. Uno dei colpi che mi hai dato l’ho visto fare solo nella legione
straniera. Un’eccezionale determinazione, un’impressionante violenza applicata
sul nemico. Sai avevo fatto solo complimenti del genere qualche mese fa, mi
sembra. Si trattava di, sì, di colui che doveva garantirmi la libertà, Carlos.
Ma non deve essere stato lui, no. Lui stesso deve essere stato tradito. Carlos
faceva parte della rivoluzione, ma non era un integralista. Era una sorta di
ambasciatore, parlava bene e conosceva a fondo le questioni di stato e le
trattava con competenza. Era conscio che i suoi compagni stavano esagerando in
alcuni casi, come dissi lui che quello che avevo fatto nei cinque anni
precedenti, l’avevo fatto per la paga, per la mia famiglia. Invece, anche se
cerchi di confondermi, tu, non sei altro che un figlio di puttana.”
Ti
stai contraddicendo. Non provare a mancarmi di rispetto. Hai già segnato una
tacca. Alla terza ti scarico qualche pallottola in testa.
“Vedi,
vedi come parli! Carlos era un signore, tu un macellaio!”
Potremmo
parafrasare dicendo che io sono un Carnefice e Carlos era un Diplomatico.
“Potremo
ben dirlo, pezzo di merda!”
Andiamo
sempre peggio. Due tacche. Quattro pallottole in faccia
“Se
fossimo fuori di qui, davanti a me, a mani nude, ti pisceresti nei pantaloni.”
Questa
non la conto, perché con te non ho finito.
“Cosa
vorresti farmi, impalarmi?”
Tra
poco, se continua così, entrerò nella tua cella, mi avvicinerò e lo saprai.
Magari quel momento durerà giorni, gamba permettendo, magari talmente poco che
non capirai cosa stia accadendo per il resto della tua amata eternità.
Ti
sbagli Alvaro, su molte cose. I miei genitori stanno bene e sono all’estero.
“Che
cosa?”
Gli
ho trovato un posto sicuro all’estero. Rientreranno in Patria quando la
Rivoluzione sarà permanente ovvero vi avremo spazzati tutti via.
“Eccola
la verità: ucciderci, eliminare il nemico. Tipico dei comunisti.”
Io
sto per compiere dei passi, passi fondamentali verso di te, verso la tua cella,
e verso la tua gamba marcia ed il resto di te che compone il tuo corpo. Ma mai
niente come il whiskey irlandese.
“Tu
mi stai avvelenando la mente.”
Nient’affatto.
Te lo ripeto: ma mai niente come il whiskey irlandese
“Faccio
fatica a sentirti, capire. Mi viene da vomitare.”
Alvaro,
sto per entrare nella tua cella. Ti porto un panino con pollo ed una bottiglia.
L’ultimo pasto di un condannato. Un maresciallo del re che vendette 6.989
uomini e delle armi per la sua salvezza.
“Sì,
Carlos me l’aveva promessa, avevamo firmato un accordo. Nero su bianco.”
Quell’accordo
lo lessi a quei 6.989 uomini. Si unirono per acclamazione, in massa, al mio
battaglione.
“Il
tuo battaglione?”
Sì,
Alvaro. Le teste rosse.
“Sei
tu. Mi hai voluto morto fin dal nostro primo incontro. Ma speravo che voi, voi
internazionalisti, foste diversi da noi.”
Hai
riposto male le tue speranze.
“Dimmi
ma come hai fatto a far espatriare la tua famiglia?”
Alvaro,
bevi.
“No
Carlos, non voglio niente. Rispondi alla mia domanda. Da nemici che si sono
rispettati. Anche se tu sei stato più
freddo, crudele, furbo. Ci avete veramente ammazzato tutti. Sparami in testa
dopo avermi detto.”
Alvaro
i miei genitori veramente sono all’estero e sono salvi.
Mia
moglie e mia figlia no.
“Quindi
hanno saputo e …”
In
quel momento non ho potuto fargli dire quello che voleva dire e gli ho sparato.
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