Era rimasta fissa a due anni prima.
Si sentiva ancora una donna sposata e quando le chiedevano se aveva un un uomo lei diceva che era stata sposata in passato e che il marito era morto in un incidente. Altre volte lo stesso marito era passato a miglior vita a causa di un infarto, un cancro, leucemia, una malattia congenita, overdose, alcolismo, o addirittura perché ammazzato.
Il marito se ne stava sulla costa di un paesino del Sudamerica o dei Caraibi: questa la verità.
Aveva fatto saltare l’impresa di famiglia, trasferiti tutti i fondi pensionistici dei dipendenti, liquidato tutto il possibile ed un giorno sparì. Lei sapeva che prima o poi sarebbe successo. Lui veniva da una famiglia facoltosa, aveva fatto ottimi studi ma non aveva alcuna intenzione di morire in quella fabbrica tessile come la sua famiglia aveva fatto da quattro generazioni. Così la crisi del mercato globale della manifattura lo spinse ad attuare i suoi piani.
Virginia aveva tre lavori: quello all’università, quello al museo e quello negli affari di famiglia.
All’università era una delle assistenti storiche del professor Raschnovitz, titolare della cattedra di Teoria dell’Impressionismo, al museo, oltre ad essere amministratrice delegata del consiglio di amministrazione, faceva di quando in quando la curatrice di mostre di mostri sacri della pittura; infine rimanevano gli affari di famiglia che si sostanziavano in commercio di pietre preziose.
Fino al giorno prima del suo trentaquattresimo anno di età, giorno in cui lui partì, la vita filò liscia, tranquilla, un soffio lungo in una bottiglia di vetro trasparente. Ecco, lei adorava queste immagini letterarie. Adorava i romanzi, i classici, Flaubert, Zola, Maupassant, le piaceva parlare della Parigi dell’Ottocento, i viali, i lampioni, Montmartre, le bevute colossali nei bistrot, pensare i suoi pittori sifilitici seduti ad un tavolo di un bettola che tiravano giù il reggicalze ad una prostituta incipriata e quando era uscito un film di Woody Allen sulla Parigi degli anni Venti e Trenta del Novecento contrapposta a quella della seconda metà dell’Ottocento, andò venti volte al cinema per vederlo e rivederlo. Dalla sale ne usciva sempre un po’ perplessa perché era come se il regista le avesse rubato delle idee che aveva sempre avuto su Parigi.
Comunque tutto filò liscio, fino al giorno prima del 2 maggio. Sì, aveva avuto qualche periodo di depressione, qualche sbandata, qualche episodio di abuso di alcolici e stupefacenti, ma si sa che l’adolescenza e la prima giovinezza sono un alveo naturale per quelle esperienze.
Le piaceva usare queste espressioni in pubblico, riempire l’aria di affettazioni, di francesismi, la sua lingua preferita, anche se ne sapeva altre quattro, oltre all’italiano e oltre a tre lingue morte.
Questa ricercata situazione, che potrebbe essere arricchita da molti altri particolari non molto significativi e sostanzialmente in linea con il contenuto del quadro della sua vita, il 2 maggio cambiò.
Il marito era in fuga. Tre giorni dopo il professor Raschnovitz morì stroncato da un infarto fulminante e sapeva che questo avrebbe determinato la fine della sua carriera universitaria. Dieci giorni dopo il museo la contattò per chiarire un ammanco nei conti correnti - cosa che lei collegò immediatamente a suo marito. E per quanto riguardava gli affari di famiglia, un’indagine fiscale minacciava di creare gravi danni.
Il 15 maggio pensò di togliersi la vita con una boccetta di barbiturici. Non lo fece. Fino alla fine di agosto entrò in un turbinio di nottate dominate da alcol, tabacco e sostanze di vario genere. In tre mesi e rotti accumulò 12 chili. Durante questo periodo si fotografò ogni mattina, nuda davanti allo specchio, per documentare la deformazione del suo corpo e la devastazioni dei lineamenti e dei tratti del viso.
A settembre trovò nella casella della posta una lettera in cui l’università le comunicava che la sua collaborazione all’università era ufficialmente terminata. I primi di ottobre fu sospesa dal consiglio di amministrazione del museo; pochi giorni dopo fu costretta a firmare un accordo transattivo nel quale gli azionisti del museo e i suoi organi direttivi ritiravano ogni azione legale nei suo confronti a fronte delle sue spontanee ed immediate dimissioni. A novembre il padre, prostrato dalle indagini fiscali che rilevavano diverse irregolarità contabili ed un’evasione da capogiro, ebbe un attacco ischemico che lo costrinse all’immobilità ed a una deficienza pressoché totale. A seguito di questa disgrazia le patologie della madre iniziarono ad inasprirsi, pur non arrivando a forme estreme.
La soluzione per salvare l'attività di famiglia fu quella di trasferire quanto più denaro e di liquidare la società che gestiva il commercio di pietre.
In dicembre il padre morì, la società venne chiusa, la madre si trasferì in Svizzera, e lei rimase in città cercando lavoro. La risposta fu, qualunque fosse il posto dove chiedesse impiego - università, scuole specializzate, musei, gallerie d’arte, commercianti di preziosi, società di perizie per oggetti d’arte, case d’aste etc. - no, ed in alcuni casi, le faremo sapere.
Per la prima volta realizzò di essere bruciata. Nel giro, tutti sapevano chi era.
Moglie di un truffatore che aveva rovinato famiglie intere di operai, latitante da quasi un anno. Il fatto di quella presunta appropriazione addebita al museo. Tutte le pagine di giornale che aveva riempito con il suo ego, quando promuoveva un evento e magari ne era curatrice, quelle pagine intere in cui lei si autoproclamava come l’unica e vera interprete vivente dell’Impressionismo ed alcune volte si spingeva a definirsi la pizia dell’intero Ottocento tra noi: ora le giocavano contro.
Una giorno di febbraio di due anni dopo si svegliò alle 3 del pomeriggio e fuori la temperatura era al di sotto dei venti gradi. Dopo qualche giorno avrebbero esposto le sue fotografie di quando si ritraeva allo specchio con una polaroid, immortalando il cambiamento della sua persona. Il titolo del lavoro venne tradotto sui giornali italiani con "La resa di una donna" e l'esibizione si sarebbe tenuta in una galleria d’arte sul Sunset Boulevard. Viveva da qualche mese in un motel a pochi passi da lì.
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