Questa vita va proprio spinta a fondo per darle un significato. E se non a fondo va spinta: boom, proiettata, lanciata in qualche direzione esplosiva. Qualcosa che vada a fuoco rapidamente ed incendi tutto quello che trovi sulla propria direzione. Qualcosa come la strada. Ai vertici delle paure. Se fossi un ipocrita, direi, ai confini della notte. Guarda quella ragazza. Guarda come è imballata, nel suo trucco, nei suoi modi, nel suo drink dolciastro. Guardale le mani, gira la testa. Uno stato di grazia per quello che ci circonda. L’altro giorno sono stato in chiesa. Ci vado ogni due, tre anni. Capito in una chiesa a caso e vedo cosa si dice. Per me è un posto come un altro, un posto dove la gente va. Professare una fede, incontrarsi nella propria solitudine. Di solito si chiama qualcosa-in-cui-credere. Ecco, vedi, vedevo la luce. Guardavo la luce che scivolava algebrica, roteava come un ammasso di sabbia. Colori rossastri. Mio padre. Ho pensato a mio padre, a quello che mi diceva, a quello che aveva fatto. Quella mattina non volevo perdere tempo, poi dovevo andare a sporcarmi le mani al lavoro. Dio, il Grande Imputato. Sai, le lettere maiuscole. La neve. Da ragazzino pensavo alla neve, così lontano dai nostri territori. Volevo esplorare e stare da solo. Magari ogni tanto ritornare a casa, ma solo per poco, e in qualche ora ripartire. Mi parlavano. Da piccolo, pensavo agli alfabeti antichi. Vedevo le lettere sulle pareti di giorno, e di notte, quando non dormivo, le vedevo per tutta la casa. Ero sonnambulo. Mi sedevo davanti al televisore ad occhi aperti. Ma la tele era spenta. Ho sempre visto un mondo che gli altri non vedevano. Lo vedevo molto prima. Poi accadeva. Tutto o quasi. Un’altra cosa che ho sempre fatto è stata far ridere le persone. Dramma & Risata. Tragedia & Commedia. Il soglio impercorribile tra gli estremi. Parlare in questo modo, non mi piace più. L’altro giorno hanno trovato un senzatetto con i piedi nel ghiaccio. Stava disteso a testa in giù. Dovevamo scriverci e fare delle foto per il giornale, ma ho detto no. Il mio editore mi ha detto: ti do 500 pezzi, lo fai? Sì, profano i piedi di un cadavere. Dopo che l’avevo fatto mi sono chiuso in un bar per ore. Ho scritto il pezzo. Il titolo: Una diga nel cielo. L’ho cambiato, prima di mandarlo in stampa, in La diga che sta nei nostri corpi, sottotitolo Un referto istantaneo. Ho chiamato un taxi per farmi riportare a casa. Erano le 10 di sera, credo. Guardavo la città fuori dal finestrino della macchina. Ti giuro che ho visto andare tutto a fuoco.
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