Qualche
settimana fa
ho
intitolato una mia foto
“Whitney”
si parla
oramai di settembre
quel
titolo l’ho riscritto con una matita bianca
cosa per
me insolita & in cui non credevo
su un
misero passpartout di cartone nero
che
incorniciava alla bella & meglio
un mio
scatto in bianco & nero
formato 18
x 24
& che
è stata fissato
con le
segrete arti dei maestri francesi
parecchi
in una stanza bianca
sono
entrati in fila
con
vestiti scuri
capelli
tinti & trucco & gioielli
donne
uomini
in una
sorta di minuta processione delle 7 sera
rimasti
tutti a secco secondo le mie volontà
qui non si
beve, A.A.
& subito chi più chi meno
ha
guardato, ha chiesto
quantomeno
un qualcosa
hanno
visto i miei testi alle pareti
alcune si
sono sbottonate le camicette bianche
&d
hanno esibito pelle borghese da superdieta
altre
hanno liberato i polsi intrisi di essenza chanel
le più
spregiudicate sono venute con il marito
& gli
uomini hanno aperto il giaccone di pelle
& hanno sciolto le loro caviglie
che in
sfondati mocassini inglesi
si
torcevano comandate dalle gambe
drenate da
qualche drink del dopo ufficio
& da
quello del bar di fronte
uno
inorridito, dopo avermi detto
belle
foto, grazie sir
ma se l’america
è questa
dovremmo
preoccuparci
niente da
preoccuparsi sir,
gradisce
tornare a casa
o un
doppio gin tonic?
un’altra,
mi spieghi come mai nelle tue foto
non ci
sono mai le persone?
è un bene
assoluto la loro assenza
diciamo
una specie di solitudine
o per
meglio dire
i giornali
di John Cheever
Whitney
non l’hanno
vista & mi hanno chiesto
perché una
foto del genere che
ritraeva
una panchina di cemento & legno
nella
stazione dei ferries che unisce
New Orleans ad Algiers & viceversa
avesse
quell titolo
& d io
ho risposto
quel
giorno ero in giro
con Whitney
lavora al
Road Kill
un negozietto
di cianfrusaglie
dal gusto
decadente sulla Decatur.
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