Quasi sei anni fa, ero ad Amsterdam, di fronte alla casa (thuis) di Rembrandt (Rembrandthuis).
Cosa quasi insolita per me, ero fermo.
Guardavo l'acqua ingolfata del canale, agitata e smossa dalla chiglia di un barcone per turisti e dal mulinare dell'elica del motore, così che la luce del sole delle cinque di pomeriggio non riusciva a farsi fissare in piccoli e continui tratti facilmente coglibili da una svagata attenzione, ma si sparpagliava freneticamente, scomponendosi e disperdendosi.
Quindi, eccola. Una minuta, striminzita, rugata signora che si affianca a me, poggiando gli avambracci sul muricciolo del parapetto.
Iniziamo una conversazione su quello che abbiamo davanti gli occhi (canali, barche, luce, la casa di Rembrandt).
Con naturalezza le parole cominciano a montarsi una sopra l'altra e questo avviene tra un uomo di ventisei anni - sostanzialmente uno straniero, ed una anziana donna, ben oltre i settanta, cittadina di Amsterdam da sempre, che chiude lo scialle, sopra il suo dimesso vestito a fiori dai colori tetri, in continuazione, come a voler cingersi più e più volte, in quel sottile strato di lana blu slavato.
"Se lei dice di fare uno scrittore, o quantomeno di volerlo essere, scriva questa storia. Me lo prometta."
Stetti ancora per ore per le strade di Amsterdam e tornato verso le due di notte nella camera di in un hotel di Piazza Dam, iniziai a battere tutte le parole che Elizabeth mi aveva detto per circa due ore, e buttai giù descrizioni dei personaggi, ne aggiunsi altri, feci disamine storiche, tracciai delle linee narrative ed imprecai con i vicini di camera, dei rumeni definitivamente alterati.
La storia di Elizabeth, quell'apparizione di donna davanti alla casa di Rembrandt, è contenuta in "Famiglia Gurskij", qui sotto leggibile.
Ho ritenuto doveroso riproporre questo vecchio scritto come reazione alle notizie antisemitiche che giungono, oramai con cadenza quotidiana, da ogni parte d'Europa.
In fede,
Niccolò
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