sabato, dicembre 10, 2016

Lorena, 5.

Sono solo per la strada, adesso. E’ notte. Sto andando avanti nel fondo della regione. Il ponte regge ancora, nonostante siano passati 112 anni. Mi guardo attorno, penso a dove possa essere Maya. Sono pronto a tutto. Aspettavo questo momento da tanto tempo. Da quando avevo quattro anni, si potrebbe dire, sono maturato e cresciuto sotto la luce di una stella nera. I campi. Le paludi. Le piantagioni ammalate e marcite. Contagione, epidemie, carestie localizzate. Sono su questo ponte, sono lo spirito che viaggia sotto il tunnel. Spero solo di finirlo, e che quando l’abbia percorso, sia vicino, o in un altro stato. Non ci sono sentenze valide nei corridoi dei tribunali. Quella ragazza seduta al bancone, l’ennesima. Un’altra notte buttata in un bar a rimpinzare un juke box. Pensato ai musei di arte. Pensato a mia madre. Pensato a quando scrivevo per le vicoli di Frisco. E poi i nomi delle vie si sprecherebbero. Non sto pensando a mia sorella. Sto guardando solo fuori. Sono dodici ore che guido. Dopo quello che è successo ho deciso di mollare il lavoro e di riprendere a bere. Nessuno potrà fermarmi. Devo ritrovare mia figlia.

Lorena, 4.





Era la polizia. Non hanno ancora niente. Cristo. Potrebbe mettersi male, Lorena. Non dire certe cose. Mi fai schifo. Sei sicura di avermi detto tutto e che alla polizia hai detto tutto. Sì. E te lo ripeto. Sono uscita alle cinque per andare al bar di fronte. Ci sono i testimoni. Poi sono ritornata a casa verso le due, le tre. Ubriaca. Sì, forse un po’. Non ho controllato se Maya fosse in camera, nel letto, a dormire. L’avevo lasciata sul divano, davanti alla tv, guardava qualcosa alla tv. Alla mattina mi sono svegliata e lei non c’era. Senti. Prova a pensare la strada. A fissarla nella tua mente, quando sei uscita e quando sei rientrata. Hai notato qualcosa di diverso, di strano. No. Santo Dio, siamo ad un punto morto. Nel pomeriggio andrò ad appendere volantini. E’ una bambina di cinque anni, dove potrà essere andata. Non è a scuola, non è dalle amiche, nel quartiere non si trova, i vicini non sanno niente. Cerca di capire e rispondimi. Chi potrebbe essere, nella cerchia delle tue amicizie, il più pericoloso, potenzialmente. Hai debiti in giro. Dimmi dove è Maya. Dimmi dov’è. Lola, io sono così stanco. Non me ne frega niente della tua sfortuna, della tua tossicodipendenza e, e niente. E di tua nipote. E’ proprio qui il punto. Questo è il maledetto punto di tutta la storia, la storia della nostra vita. Ho deciso che stavolta lascio. Se Maya è scappata, stata rapita, violentata, dispersa od uccisa, questa volta tutto ricadrà su di te. Piccolo figlio di puttana, piccolo animale altezzoso. Lurido viscido animale borioso. Ora mi lasci. Sì. Bastardo figlio di puttana frequentatore di troiette universitarie e troie di strada. Infame. Assassino. Dimmi una cosa: se iniziassi a strozzarti. Se anziché infilarmi nel tuo letto per proteggerti, mettessi le mie mani intorno alla tua gola e togliessi un male al mondo. Parla, parla. Vai avanti a parlare, piccolo deviato.Come pensi che finiremo. Mi sto già rassegnando. Non la vedremo mai più. E’ inutile che spacchi la casa. Dai che stai venendo fuori. Dai che il professore tira fuori il suo vero io. Altro che lato oscuro, ho sempre saputo chi eri. E sapevo che non mi avresti mai fatto del male, neanche sessualmente. Drogarmi era l’unico modo per esistere, per sopravvivere, resistere un minuto sopra l’altro. Dio non ci ha neanche mai preso in considerazione. Quante cose abbiamo fatto io e te. Quante ne abbiamo passate. Eppure siamo qui, ancora qui, con una bambina scomparsa, sangue del nostro sangue. E sai di cosa parlo, papà. Non so dove sia Maya. Io sono quella bambina scomparsa, da quarant'anni.





giovedì, dicembre 08, 2016

Lorena, 3.






Quindi dimmi dove è finita Maya. Cosa hai fatto quella sera. Sai, me la vedo la scena. Te ne sei andata al bar di fronte per un drink e quel drink è diventato un uno seguito, da quale numero, due, otto. L’hai lasciata in casa sul divano davanti alla tv. Dimmi che non mi sbaglio. Non ti sbagli. Ho chiuso quella porta, ho chiuso quella dannata porta. L’ho fatto migliaia di volte. Maya è molto indipendente, mi ricorda te, l’ometto di casa. Come puoi dire queste cose, cosa importano questi riferimenti a me, a noi. Dov’è Maya. Non lo so, non lo so. Dio mio se l’ha presa qualcuno. Smettila di piangere, la polizia la sta cercando. Ti do da bere. Grazie. Stoli liscia su ghiaccio. Bevo anch’io. Sentiamo cosa dicono le notizie. Tu pensi che mi meriti anche questa punizione? Pensi che non sia abbastanza quello che ho vissuto? Lola, quello che tu hai vissuto, l’ho vissuto anche io. E’ stato come una nausea senza fine, che si alimentava del tuo disordine, della tua sofferenza e dei miei tentativi di stare a galla e limitare i danni. Tutta la vita. Uno stomaco incapace a smaltire. Ci siamo intossicati fin da piccoli. Tu sei sempre stato un pervertito, di quelli della specie peggiore: i vigliacchi. Venivi nel mio letto per starmi addosso e io continuavo a far finta di dormire. Ti strusciavi, viscido animale. Ma cosa dici, smettila di bere. Sei completamente pazza. Mi strusciavo. Io ti accarezzavo e ti tenevo al caldo, sotto le coperte. Ero io a tapparti le orecchie quando mamma e papà urlavano e tu piangevi. Mi sono rovinato la vita, la carriera, la salute per te. Ed ora, mentre mia nipote, tua figlia, è sparita e non si sa dove diavolo sia, mi dici che sono stato un piccolo pedofilo molto, molto attivo. Dove è Maya. Da qualche parte. Come. Da qualche parte: se non è qui è per forza da qualche parte - principio di esclusione, caro il mio filosofo. Noi stiamo qui fermi a distruggerci, trent’anni dopo. Lola, mamma è morta e sono passati trent’anni. Lo so. Si è uccisa con quella corda. Maya è troppo piccola per potere pensare al suicidio. La tua mente è un luogo infame, dove non c’è mai fine alla discesa, al degrado. Parli del possibile suicidio di tua figlia come se commentassi una notizia di cronaca rosa. Vorrei che fossi sparita tu, non Maya. E’ innocente. Maya è innocente come lo ero io. Io sono Maya quarant’anni dopo. Sarei dovuta scappare da te, da quella casa, da quell’infedele di nostro padre e da quella depressa di nostra madre. Tu mi hai fatto diventare quella che sono. Voi mi ci avete fatto diventare. E’ stata una corsa al massacro. Tu non ti ricordi come eri bella da piccola. Avevi un bel vestito giallo e delle scarpe verdi. Ora. Ora sembro una puttana drogata, giusto? Non essere così dura con te stessa. Vado a rispondere al telefono.




mercoledì, dicembre 07, 2016

Lorena, 2.





Prima che tutto questo iniziasse, ero un bambino seduto nel sedile posteriore della famigliare dei miei di ritorno dalle vacanze estive, che giocava, accarezzava e dormiva con sua sorella, guardando fuori dal finestrino, vedendo le lente scie dei fanali delle auto appesantite dai bagagli. Ero quel bambino che appena sveglio si infilava nel letto di Lola per abbracciarla e tenerla al sicuro nel momento in cui avrebbe aperto gli occhi per un nuovo tiepido mattino. Nei nostri primi anni di vita nostro padre e nostra madre litigavano di continuo e le urla, le porte sbattute, le bottiglie rotte contro i muri, sono stati gran parte dei ricordi che ci siamo portati dietro. Lorena piangeva e soffriva di continuo e c’ero solo io a tranquillizzarla. Poco prima del mio decimo compleanno i nostri genitori divorziarono; nostro padre trovò lavoro all’estero ed iniziò una nuova vita con una nuova famiglia. Rimanemmo a vivere con nostra madre, la quale iniziò una terapia psichiatrica che trasformò la sua latente depressione in stati psichici e comportamentali tali da richiedere un ricovero. Mamma entrò in clinica e non ne uscì più. Così crescemmo con nostra zia che non era sposata e non aveva figli e nostra nonna. Furono anni, per così dire, felici, fino alla notizia della morte di nostra madre, fatto che sapevamo essere inevitabile. Una corda al collo mise fine alla sua esistenza così addolorata. Forse fu proprio il modo con cui decise di suicidarsi che segnò in modo irrimediabile Lorena. Aveva quattordici anni ed era il 1983. Due anni dopo era già entrata ed uscita dalla comunità due volte. Abbandonò la scuola e la sua vita sembrava essere quella dei ragazzi dello Zoo di Berlino. All’epoca ero solo uno studente universitario iscritto a lettere e filosofia, che aveva una smisurata inclinazione per la la letteratura nordamericana. Venni assunto dalla facoltà e divenni il più giovane assistente dell’intero istituto di letteratura anglo-americana. Un giorno di dicembre, durante una lezione su John Cheever, una dottoranda venne in aula a dirmi che Lorena era stata ricoverata. L’avevano trovata riversa su un marciapiede priva di sensi.



martedì, dicembre 06, 2016

Lorena, 1




La ragione di tutto questo, delle parole dette e dei fatti accaduti, stanno su questo tavolo. Lorena guarda se stessa, guarda un suo braccio malandato e il palmo della mano. Lividi, contrazioni. Lorena ha ventinove anni, ma potrebbe averne molti di più, come molti di meno. Le sue dita si sono fatte più ossute e più gonfie in modo indistinto, senza seguire alcuna legge logica, biologica o se vogliamo, il destino di una donna della sua età. Forse la costrizione dei vasi sanguigni a causa della pressione degli anelli. La sua posizione davanti a me è di un tre quarti e guarda svogliata un poster di Bob Dylan del 1975, anno in cui molti sono nati e morti. Cose che succedono, cose che capitano da sempre. Poi si sofferma su alcune mie foto che sporcano la parete bianca della cucina con macchie nerastre - gonfia le guance, muove la mandibola e fissa la bottiglia di Stolichnaya Blue, 50 gradi. Tutti sono così impegnati a guardarsi in giro, per le strade, nella vita di tutti i giorni. Non ci sono più comandamenti validi. Lorena muove sola il piede sinistro, lo trascina in avanti e lo ferma, abbandonato. Prende un mio taccuino ed ad alta voce dice “le stagioni dell’imprudenza o gli anni dell’imprudenza”. Perché scrivi queste cose. Dopo tutto questo tempo, continui. Ti ostini. Lo so che mi disprezzi. Sei sempre stato sullo scranno a guardare la povera bimba persa che si dispera, che cerca aiuto. E dove lo trova. Da suo fratello, padre, amante. Dal suo confessore. Guardo il dorso della mano di Lola. E’ appoggiato di taglio, fermo sul tavolo. Tu dici che le cose, fuori di qui, vadano meglio. Pensi che davvero, si viva meglio, al di fuori di questa casa, al di fuori di questa città.La mattina mi alzo, ancora, dopo quel pomeriggio. La mia faccia sui giornali. Mi hai difesa, mi hai preso in casa, mi hai ripulita ed ecco come ti ripago. Il genio di famiglia. Eccoti qua. L’uomo fuori dagli schemi, quello che vedeva oltre. Lorena è chiusa in bagno da oltre un'ora. E' mia sorella minore. Questa è la trentaduesima volta che sfondo una porta per lei.