domenica, ottobre 18, 2015

Sunset Limited, 2





Dwayne è un uomo di media altezza, magro, ricurvo in qualche parte del suo corpo a tal punto che definirlo dinoccolato sarebbe un’inesattezza; su di lui sono passati eventi che hanno procurato disfunzioni articolari croniche, vere frenesie, che comunque paiono essere governate da una non scritta legge organica. Conosco questi volti - vedo i suoi occhi rapsodici iniettati di sangue che pulsano ancora qua è là di un azzurro temprato, un blu polvere legato con i capelli, oramai radi e bianchi, come del resto lo è la barba, che porta malinconicamente in ricordo di qualche vecchia disgrazia. Di sicuro, posso dire, qui ed ora, qui sui miei due piedi, che è un uomo gentile, lo è nei modi e lo sarà nelle parole e lo sarà quando mi saluterà nel buio concio e gonfio della Union Station di Los Angeles Downtown, quando scenderemo alle 4.50 di mattina Costa Ovest , all’ombra degli aranceti arroccati miglia e miglia ad Est, creature arboree spinte nell'impensabile. Allunati, abbacinati, mormoranti dopo quindici ore di discorsi, confronti, di racconti, di verità paradossali, io, lui, Herman il nero, Tad l’editore anarchico e John il gestore giullare del bar della carrozza 0011. Ancora Dwayne. Originario del Midwest, lì per andare a trovare la figlia che vive a Santa Barbara, lì, in quello che lui distratto battezza uno degli ultimi viaggi aggiungendo poi forse troverò un accordo con il sindacato e sceglierà la via del ritiro a vita nel deserto, nessun luogo in preciso, il deserto di un non meglio precisato Stato.

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