domenica, febbraio 16, 2014

Sangue al cervello in Bovisa











Non so come sia potuto accadere.
Situazioni del genere le descrivono con le parole “sangue al cervello”.
Ed è vero, perché vedevo rosso.
In quel momento ho visto nello specchietto retrovisore la macchina della polizia municipale.
Visto il mondo, visto tutto. Sposata una donna, sposate tutte.
Per questo non mi sono sposato e mai lo farò. Donne.
Sono sceso e li ho affrontati.
Prima avevo preso un bastone nel baule. Più che un bastone era un palo di ferro, anzi lo definirei un tubo di ferro, di quelli che si usano nei ponteggi.
Mi sono diretto verso la macchina ed ho iniziato a battere il tubo sui vetri.
Prima ho preso di mira il vetro del conducente. Volevo vedere l’espressione negli occhi di quel poliziotto.
Mi aspettavo più terrore. Il vetro ha ceduto e si è frantumato al secondo colpo.
Il secondo colpo l’ho dato molto più forte del primo.
Ho proseguito per quasi un minuto quando l’altro agente è sceso dalla macchina e mi ha puntato la pistola d’ordinanza in mezzo alla faccia.
Si fermi, diceva, o sarò costretto ad immobilizzarla, sarò costretto a sparare.
Ah sì, a chi vuoi sparare caro il mio pezzo di merda?
Con un veloce colpo di tubo gli ho fatto saltare la pistola per aria e gli ho rotto la mano.
Purtroppo ha fatto partire un colpo che mi ha ferito l’orecchio sinistro, solo di striscio.
Dentro la macchina l’agente al posto del conducente aveva il volto ferito in una maschera di sangue. Urlava e piagnucolava, ansimando, non ci vedeva.
Cosa ti ho fatto maledetto cane, bastardo, figlio di puttana di un pazzo, cosa ti abbiamo fatto.
L’altro, quello che mi aveva ferito si teneva la mano destra con la sinistra e mi accusava di avergli rotto la mano e forse anche il braccio.
Rimisi il tubo nel baule e me ne ripartii con la maschera addosso.
Sì, ho omesso il particolare della maschera.
Sapete prima di compiere determinate azioni bisogna prendere opportune precauzioni,  bisogna attenersi a delle regole e adottare specifiche misure.
Penserete che sia un pazzo. Sì lo sono, sono anche molto peggio.
Nella vita ho fatto diversi lavori.
Sono stato costretto a cambiare a causa della mia condotta. Condotta sul posto di lavoro e fuori.
Sono partito da fare il docente universitario - storia dell’architettura, a quello che faccio adesso. Occupato saltuariamente, vendo materiale ed attrezzatura di cantiere.
Sono un rappresentante. Piazzo contratti e vendo chiodi, trapani, martelli, isolanti, intonaci, laterizi, cazzo vendo veramente di tutto.
Voi non sapete un’altra cosa.
Sono sposato ed ho due bambine.
Prima, all’inizio, avevo detto che non mi ero mai sposato e che mai l’avrei fatto.
Diciamo che nella mia testa non mi sono mai sposato.
L’ho fatto quando insegnavo a quella massa di imbecilli di studenti del primo anno del primo semestre storia dell’architettura. Era una mia alunna.
Dopo qualche mese, coincidente con l’inizio della nostra relazione, non mi va di chiamarla storia, cambiò facoltà e si iscrisse a psicologia.
Divenne una fervida junghiana. Prese la laurea e iniziò, dopo l’apprendistato, ad esercitare con un successo che mai mi sarei aspettato.
Va bene, va bene.
In quel preciso momento, quando lei iniziò a svolgere la professione e a pubblicare intensi volumi di psicologia -  il suo esordio fulminante fu “Jung e la regressione di noi tutti”, io iniziavo in modo assurdo e inversamente proporzionale, la mia discesa, la mia decaduta, la mia degenerazione.
Quella sera mia moglie, la mia psicologa, mi chiese come era andata la giornata.
Come al solito.
Ero abbastanza tranquillo di quello che era accaduto in mattinata poiché oltre ad avere la maschera, la macchina era aziendale ed avevo coperto la targa con un sacco nero della spazzatura.
Diciamo che uno le pensa davvero tutte. Si finisce sempre così, con l’età.
Ma cosa hai fatto all’orecchio.
Una sparachiodi, niente di che.
Come una sparachiodi. Lavori nei cantieri o nel far west.
Si fa di tutto per sopravvivere, credimi.
Bene tesoro, la giornata è andata bene. Ho venduto materiali per quasi 20.000 euro.
Sono fiera di te. Almeno potrai riprendere a scrivere. Mi stai dicendo la verità, vero?
Non è che hai bevuto? Intendo oltre al solito.
Cara, è la verità. 20.000 bei sonanti pezzi. Il che significa per noi 600 cash. E se continuo così avrò il premio produzione del mese. Non vorrei che mi promuovessero.
Non montarti la testa adesso. Stai facendo un percorso.
Dopo la parola percorso e quel suo tono compassionevole, consolatorio e clinico sono andato verso l’appendiabiti.
Cosa fai adesso. Lo conosco quello sguardo. Conosco questo tuo muoverti. Non crederai mica di fare come al solito. Avevamo, abbiamo un accordo. Domani mattina abbiamo il saggio di danza di Darla. Fallo per lei, fallo per lei, ti prego, fallo per lei.
Si era messa a piangere contro il frigo.
Continuava a ripetere cazzo non ce la faccio più, cazzo non ce la faccio più.
E si era accasciata a terra. Cazzo diceva, cazzo, dio mio, perché.
Sono andato verso di lei, le ho preso la testa tra le mani.
Ho iniziato ad urlare. Più forte del solito. Le ho detto di tutto.
Non le ho messo le mani addosso. Non lo avevo mai fatto perché non volevo essere come mio padre.
Ma la testa gliela stringevo tra le mani. E stavo facendo pressione.
Mia moglie ha i capelli neri, gli occhi verdi e lentiggini, poche a dire il vero.
Il taglio degli occhi è pazzesco. E la bocca pure. Ha una bellissima pelle, rosa, piena, bianca.
Non voglio parlare di cosa le ho fatto e di cosa le ho fatto fare a letto e fuori dal letto in quattordici anni di matrimonio. Dai, chiamiamolo matrimonio, anche se non mi sento sposato.
Ho capito che temesse che le rompessi l’osso del collo mentre continuavo a stringere la sua testa, dopo che avevo finito di urlare.
Ma sapeva che la mia violenza, in fin dei conti, era rivolta contro di me.
Sapeva che non le avrei mai fatto niente di male.
Anche se i miei comportamenti, le mie parole, avrebbero continuato a massacrarla.
Diceva io non lo so, io non lo so, perché mi fai questo.
Dove vai adesso, cosa fai, domani c’è il saggio di Darla, cristo ti prego.
Ho mai mancato a qualche stronzata di saggio di danza? Dimmi: ho mai mancato a qualcuna delle tue cazzo di stronzate. Compleanni. Mio padre non c’era mai ai miei compleanni e mia madre era andata via quando avevo due anni. Sapevi benissimo chi ero e mi hai sposato. Tu volevi sposarti, tu hai voluto sposarmi.
Lascia che ti aiuti, ti amo. Ti chiedo solo di restare calmo e lucido. Le bambine ti amano alla follia, sei tutto per loro. E tu le vuoi bene. Questo lo so.
Oggi ho aggredito una pattuglia della pulizia municipale.
Cosa?
Stavo scherzando. Senti vado a sbollire facendo due passi.
Vai al bar, quindi.
Sì vado al bar.
Anzi sai cosa faccio. Mi porto il blocchetto, caso mai mi venisse qualche spunto per il libro.
Sì fai bene.
Quella sera faceva molto caldo per essere gennaio ed essere a Milano.
La Bovisa è un quartiere di Milano immerso nella nebbia, da sempre.
E’ un quartiere in cui non c’è niente di particolare, tranne che la gente ci vive ed esiste, e se riesce, va avanti.
Al bar, all’inizio di via Broglio, sono entrato con la maschera che avevo utilizzato per l’agguato alla polizia municipale.
Poi l’alzai e la misi in testa.
Chiesi al barista se il tale agente era passato.
Come non lo sai? E’ stato aggredito con un collega da un pazzo con la maschera del joker.
Forse rimarrà cieco. Era alla guida. Questo ha iniziato a sfasciargli la macchina a colpi di tubo. Ha detto simile ai tubi che si usano per i ponteggi. Oramai stanno tutti impazzendo.
Era alla guida di una panda rossa simile a quella della tua ditta. La targa era coperta da un sacco nero della spazzatura.
Capisco.
Mi ha chiesto se quella che avevo tirata su non era una maschera del joker.
Sì è proprio così. Arriva direttamente dagli Stati Uniti.
Vuoi vederla?
Gliela passai.
Ma è macchiata di sangue.
Sì. E sai una cosa.
Cosa?

Sto andando a costituirmi.






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