domenica, ottobre 06, 2013

Una persona a me vicina



Una persona a me vicina, sul finire di una mattinata di settembre di quest’anno, quindi pochi giorni fa, ha avanzato una richiesta.
Perché non metti giù, su una pagina, una sintesi di tutte le cose che mi dici sulla fotografia durante i nostri appuntamenti in laboratorio.
Per uno che scrive non sarà difficile.
L’ultima frase lui l’ha detta in totale buona fede, ma sappiate che crea una difficoltà di natura ideologica ed un contrasto di fatto sul versante morale, proprio ed esclusivamente per una persona che scrive.

Iniziamo col dire che nella maggior parte della mia vita sono stato un autodidatta.
Con le libertà ed i limiti che ciò comporta.
Salvo che in casi marginali, non ho mai avuto maestri in carne ed ossa.
Ho sempre avuto solo me stesso e la mia testa, buona o cattiva che sia o che fosse, ed i cd. riferimenti da cui ero attratto.
Sempre avuto una spiccata tendenza allo sperimentalismo.
E mi sono detto, quando la vita me l’ha permesso: vai, vai, vai.

La musica è stata la mia nazione.
E’ stato un qualcosa dove stare, qualunque cosa facessi o mi capitasse.
Lo scrivere, o se vogliamo dire “la letteratura” (ed in questa includo forzatamente ed impropriamente la storia e la filosofia come discipline) hanno rappresentato il mio stato di cittadino.
Pochi dubbi a riguardo, signori.

 La fotografia è venuta da lontano.
La fotografia era una di quelle cose che nella vita si sdegnano e addirittura in certi contesti esistenziali, si detestano.
Era una di quelle di persone che non sopporti. E che se riesci, denigri, spettegoli, ed arrivi fino a reputare qualcosa di inutile.

Due anni e mezzo fa, alle 4 di mattina di un’ennesima notte non dormita, poco prima di in un viaggio attraverso il continente nordamericano, oltre alla musica, oltre ai soliti blocchetti neri su cui scrivere, ti chiedi chi può prestarti una macchina fotografica.
Per la sola cronaca, e niente più, è stata mia zia; una Chinon, semiautomatica e tante grazie. Saluti.

Comprai in tutto 9 rullini prima della partenza; a Washington e a Baltimora ne presi altri.
I nomi: HP5 Ilford.

Non ho mantenuto la promessa a chi mi aveva chiesto di mettere su carta le mie congetture sulla fotografia.
Forse non erano così indimenticabili.

Per certe cose ho un gusto indiscriminato per la parola, parola parlata.
Io e lui questo lo sappiamo; e continueremo a parlarne.




Nessun commento:

Posta un commento