Una persona a me vicina, sul finire di una mattinata di settembre di quest’anno, quindi pochi giorni fa, ha avanzato una richiesta.
Perché
non metti giù, su una pagina, una sintesi di tutte le cose che mi dici sulla
fotografia durante i nostri appuntamenti in laboratorio.
Per
uno che scrive non sarà difficile.
L’ultima
frase lui l’ha detta in totale buona fede, ma sappiate che crea una difficoltà di
natura ideologica ed un contrasto di fatto sul versante morale, proprio ed
esclusivamente per una persona che scrive.
Iniziamo
col dire che nella maggior parte della mia vita sono stato un autodidatta.
Con
le libertà ed i limiti che ciò comporta.
Salvo
che in casi marginali, non ho mai avuto maestri in carne ed ossa.
Ho
sempre avuto solo me stesso e la mia testa, buona o cattiva che sia o che fosse,
ed i cd. riferimenti da cui ero attratto.
Sempre
avuto una spiccata tendenza allo sperimentalismo.
E
mi sono detto, quando la vita me l’ha permesso: vai, vai, vai.
La
musica è stata la mia nazione.
E’
stato un qualcosa dove stare, qualunque cosa facessi o mi capitasse.
Lo
scrivere, o se vogliamo dire “la letteratura” (ed in questa includo
forzatamente ed impropriamente la storia e la filosofia come discipline) hanno rappresentato
il mio stato di cittadino.
Pochi
dubbi a riguardo, signori.
La
fotografia è venuta da lontano.
La
fotografia era una di quelle cose che nella vita si sdegnano e addirittura in
certi contesti esistenziali, si detestano.
Era
una di quelle di persone che non sopporti. E che se riesci, denigri,
spettegoli, ed arrivi fino a reputare qualcosa di inutile.
Due
anni e mezzo fa, alle 4 di mattina di un’ennesima notte non dormita, poco prima
di in un viaggio attraverso il continente nordamericano, oltre alla musica, oltre
ai soliti blocchetti neri su cui scrivere, ti chiedi chi può prestarti una
macchina fotografica.
Per
la sola cronaca, e niente più, è stata mia zia; una Chinon, semiautomatica e
tante grazie. Saluti.
Comprai
in tutto 9 rullini prima della partenza; a Washington e a Baltimora ne presi
altri.
I
nomi: HP5 Ilford.
Non
ho mantenuto la promessa a chi mi aveva chiesto di mettere su carta le mie
congetture sulla fotografia.
Forse
non erano così indimenticabili.
Per
certe cose ho un gusto indiscriminato per la parola, parola parlata.
Io
e lui questo lo sappiamo; e continueremo a parlarne.
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