giovedì, ottobre 31, 2013
mercoledì, ottobre 30, 2013
Holt Cemetery
Veramente,
può essere tutto qui.
Mike
& Frank passano la propria giornata, oggi, in un clima più fresco del
solito.
Ventisette
gradi, ottantadue percento di umidità, ottimale situazione per due sbandati,
ammesso che lo siano.
Mike
& Frank se la passano sotto qualche albero e si sdraiano sopra qualche
tomba, qui, all’Holt Cemetery.
L’Holt
Cemetery è come quando tua madre è morta ammazzata ed avevi cinque anni, è come
se avessero sganciato una bomba all’idrogeno da cento megatoni e tu sei uno dei
pochi sopravvissuti della tua metropoli, solo perché eri all’estero a berti un
drink con cannuccia e ombrellino in un qualsiasi posto caraibico.
L’Holt
Cemetery accoglie da sempre, a New Orleans, diciamo dal 1879 in poi, i resti ammalorati di quelli che sono morti e
che in vita non avevano niente.
Il
catalogo è lungo: poveri, indigenti, affamati, indegni, appestati, lebbrosi se
ce ne sono mai stati, deceduti per colera, tossici, alcoolisti, morti di AIDS, qualsiasi
fine peggiore che si possa figurare è presente su un’intestazione di almeno una
tomba.
Ho
deciso di non arrivare ad indovinare quali siano i veri nomi di Mike & Frank,
ed ho escluso il fatto di analizzare e soppesare l’eventualità che mi stiano
mentendo su tutta la linea. Così tutto rimarrà più facile.
Sono
questi, questi due uomini intorno alla trentina, che a parte qualche piccolo
traffico di anfetamina, si occupano di dare un minimo di dignità a questa
onesta sorta di fossa comune.
Ai
morti, qui, hanno dato un nome e dei pezzi di legno per delimitare il proprio sacco
di ossa.
M
& F sono due formidabili furbacchioni dell’ultima ora; tentano di vendermi
roba più volte nei minuti in cui parliamo, mi chiedono chi sia, cosa faccio, di
fargli vedere i tatuaggi che spuntano dalle maniche della t-shirt.
Mi
dicono anche che ho un bel fegato ad andare lì.
Gli
rispondo: nessun fegato.
Sono
solo uno di passaggio che scrive e fotografa.
Fai
tutte le foto che vuoi amico e scrivi. Noi facciamo il nostro.
Racconti dalla Frontiera
Seattle
è un grande esperimento dell’Occidente che ha luogo sulla frontiera del Nord
Pacifico e che finisce lì, perché dopo il confine dello Stato di Washington
inizia, o rimane, a secondo di come la si guardi, il territorio dell’Alaska,
ovvero una discesa verso uno stato perenne di ibernazione.
Un
giorno a Seattle, ho visto la fine dell’Occidente, ho visto il termine di un
percorso geniale che è partito dalla filosofia e dal teatro greco e che è
arrivato fin là.
Dove
stiamo andando, dove andremo, quando avremo, sì, ucciso nostro padre e nostra
madre e tu sarai uno dei tanti mariti che devono passare gli alimenti alla
moglie di turno.
Cosa faremo se non ci rimarrà altro che stare dietro la
copertina di una bibbia ed un foglio di carta chiamato costituzione, e guardarli come qualcosa che non ci appartiene.
Il
dominio dell’omologazione, fatta passare per un’acuta e realistica
soggettivazione, può fare strani scherzi: mettere a braccetto la violenza più
spudorata del capitale e della tecnologia con il pacifismo e l’ambientalismo
radicali.
Se
milioni di persone saranno solo la proiezione
di quello che pensano di essere ma che non saranno mai, allora potrebbe
prospettarsi un’ospedalizzazione di massa oppure la totale rottura del patto
sociale che la società borghese ha costruito e mantenuto dal XVIII secolo in
poi. Karl Marx permettendo.
Se
il denaro, ed un taglio di una valuta in particolare, il biglietto da 1 dollaro
statunitense, finirà arrotolato costantemente nelle nostre arterie, foderandole
dall’interno, allora sarà la passione del nostro sistema sanguigno; avremo
ancora la carne di questo colore, sarà ancora questo il nostro aspetto?
Ho
vissuto il diluvio della frontiera e ho guardato a lungo ed ho visto che ci sono
solitudini che vengono spezzate alle prime luci del mattino, ho visto
solitudini cieche arrotolarsi in un sacco a pelo di trenta anni fa e sparire in
una coperta macchiata, ho visto finti musicisti cianciare per strada e ambulanti
che vendevano pannocchie imburrate ed arrostite alla bella e meglio, ho visto
la fossa oltre gli occhi che abita nelle orbite di ogni uomo; cose che capitano
tutte le ore a New Orleans, Louisiana, ma almeno lì è dichiarata e la gente non
è così travolta nella corsa al solipsismo.
Nella
Nuova America, seppur guidata da un uomo illuminato – ma per questo non
esiterei a definirlo controverso, cosa che i cd. lefties pensano - non c’è
spazio per i testa d’angelo, tanto per dirla alla Ginsberg.
Fine
dei sogni quindi, fine dei giochi.
E’
il finale di partita che ritorna sempre.
martedì, ottobre 29, 2013
Non fare prigionieri/Morte di Lou Reed
1,
questa cosanon ha definizioni
non è la cosa che ti dà il successo
o ti porta al fallimento
2,
non ti fa arrivare ad una laurea
né ti fa giocare in prima squadra
& le donne che desideri
sono ancora molto lontane o sposate
3,
per aver detto cose sbagliate molte volte
non esiste una pena
ma non puoi ingannare sempre
le persone & le occasioni
4,
per aver detto molte volte cose giuste
ti puoi dimenticare, bello
che la gente ti paghi
lo zucchero filato o la birra
5,
questa cosa
non ha un 'origine
non fa parte dei soliti rapporti umani
ma non puoi ingannare sempre
le persone & le occasioni
4,
per aver detto molte volte cose giuste
ti puoi dimenticare, bello
che la gente ti paghi
lo zucchero filato o la birra
5,
questa cosa
non ha un 'origine
non fa parte dei soliti rapporti umani
tra la solita gente
6,
nessuno conosce mai bene
quel tipo di individuo
che si defila dalla massa
per dire qualche cosa
7,
la prassi vuole
che venga osannato o denigrato
a seconda delle mode
ma niente di tutto questo durerà per molto
8,
& non è detto
che finisci in prima squadra
a giocare
per il tuo allenatore
9,
questa cosa
mi ha ammazzato
mi ha preso per la gola
fino a che non si è rotta
10,
quello che è stato venduto
è già stato detto
prenditi cura di te
come qualsiasi cosa
11,
lei era una carina
& dava sempre la bocca
tutto quello che poteva
solo nei rapporti sessuali
12,
la vita non si può costruire
su certe premesse
così scadenti
ma si cerca di stare in piedi
13,
questa cosa
prima di salirmi nella testa
ha deviato
strappandomi il collo di dosso
14,
di certo non è stato piacevole
non era per niente previsto
a quell'ora della sera
con quell'abitudine di crescere in pubblico
6,
nessuno conosce mai bene
quel tipo di individuo
che si defila dalla massa
per dire qualche cosa
7,
la prassi vuole
che venga osannato o denigrato
a seconda delle mode
ma niente di tutto questo durerà per molto
8,
& non è detto
che finisci in prima squadra
a giocare
per il tuo allenatore
9,
questa cosa
mi ha ammazzato
mi ha preso per la gola
fino a che non si è rotta
10,
quello che è stato venduto
è già stato detto
prenditi cura di te
come qualsiasi cosa
11,
lei era una carina
& dava sempre la bocca
tutto quello che poteva
solo nei rapporti sessuali
12,
la vita non si può costruire
su certe premesse
così scadenti
ma si cerca di stare in piedi
13,
questa cosa
prima di salirmi nella testa
ha deviato
strappandomi il collo di dosso
14,
di certo non è stato piacevole
non era per niente previsto
a quell'ora della sera
con quell'abitudine di crescere in pubblico
15,
essere osservati -
un occhio della testa
& ti ricordi della sposa
che scende da sopra la testa della collina
16,
quando sei solo
negli orari di chiusura
ma quello che hai fatto
non ha mercato
17,
sbugiardato
fin dai primi tempi
perché nel muro, attraverso,
vedevi una luce colorata
18,
seduto nel posto del passeggero
o in quello del conducente
perfino nel bagagliaio, rannicchiato, fatto,
steso nei posti dietro
19,
un cinema valeva l’altro
un altro giro
un altro salto
un salto in giro per un buco
20,
mamma & papà
non ti hanno voluto così bene
dovevi fare le cose alla loro maniera
ma tu eri arrivato
21,
hai realizzato in fretta
che tutto quello che serviva
era nelle strade
& nella tua testa
22,
musica, libri,chitarra, testi
certe voci non hanno la forza di uscire
sono troppo stuprate sul velluto
per troppo a lungo
23,
quando hai visto quella scena
di lei che veniva nei jeans che si macchiavano
perché lui la stava toccando a fondo
ti sei detto “cazzo che roba”, la voglio fare anche io
24,
la gita fuori porta
con la tua nuova moglie
pensi a tua madre che ama
le banalità della famiglia
25,
come molti scrittori
& musicisti
ti sei definito “la città”
& ci sei stato sempre dentro
26,
un giorno
essere osservati -
un occhio della testa
& ti ricordi della sposa
che scende da sopra la testa della collina
16,
quando sei solo
negli orari di chiusura
ma quello che hai fatto
non ha mercato
17,
sbugiardato
fin dai primi tempi
perché nel muro, attraverso,
vedevi una luce colorata
18,
seduto nel posto del passeggero
o in quello del conducente
perfino nel bagagliaio, rannicchiato, fatto,
steso nei posti dietro
19,
un cinema valeva l’altro
un altro giro
un altro salto
un salto in giro per un buco
20,
mamma & papà
non ti hanno voluto così bene
dovevi fare le cose alla loro maniera
ma tu eri arrivato
21,
hai realizzato in fretta
che tutto quello che serviva
era nelle strade
& nella tua testa
22,
musica, libri,chitarra, testi
certe voci non hanno la forza di uscire
sono troppo stuprate sul velluto
per troppo a lungo
23,
quando hai visto quella scena
di lei che veniva nei jeans che si macchiavano
perché lui la stava toccando a fondo
ti sei detto “cazzo che roba”, la voglio fare anche io
24,
la gita fuori porta
con la tua nuova moglie
pensi a tua madre che ama
le banalità della famiglia
25,
come molti scrittori
& musicisti
ti sei definito “la città”
& ci sei stato sempre dentro
26,
un giorno
nell’ennesimo bar
neanche troppo tardi
hai iniziato a farti schifo
27,
guardavi tutte queste donne sole
prese a parlare di idiozie devastanti
vedevi che erano lì solo per cercare un pezzo di carne
neanche troppo tardi
hai iniziato a farti schifo
27,
guardavi tutte queste donne sole
prese a parlare di idiozie devastanti
vedevi che erano lì solo per cercare un pezzo di carne
da mettere per poco in mezzo alle gambe
28,
ti sei fatto un altro round
hai pensato di scriverci qualcosa
hai incontrato un finto amico fuori
ma non valeva la pena di tutto questo
29,
il concerto iniziava alle 10
tu eri sempre dall’altra parte
28,
ti sei fatto un altro round
hai pensato di scriverci qualcosa
hai incontrato un finto amico fuori
ma non valeva la pena di tutto questo
29,
il concerto iniziava alle 10
tu eri sempre dall’altra parte
avevi fatto il pieno
per un mese di seguito
30,
non eri più
quello di quindici anni prima
il cervello galleggiava nella scatola cranica
o si essiccava ingrigendosi, denutrito
31,
ma quando ti davano per morto
dopo anni, uscivi
perché i morti
30,
non eri più
quello di quindici anni prima
il cervello galleggiava nella scatola cranica
o si essiccava ingrigendosi, denutrito
31,
ma quando ti davano per morto
dopo anni, uscivi
perché i morti
escono sempre dalla tomba
32,
un 27 ottobre
sei morto davvero
a long island:
niente più allenatore.
32,
un 27 ottobre
sei morto davvero
a long island:
niente più allenatore.
lunedì, ottobre 28, 2013
domenica, ottobre 27, 2013
Distretti - Recensione de "Il Tempo"
Con Niccolò Alberici la poesia viaggia on the road
La prima impressione, sfogliando il corposo volume «Distretti», di Niccolò Alberici, Talos Edizioni, è di disordine. Un disordine solo apparente perché in questo volume, che sfugge a...
La prima impressione, sfogliando il corposo volume «Distretti», di Niccolò Alberici, Talos Edizioni, è di disordine. Un disordine solo apparente perché in questo volume, che sfugge a ogni canonica definizione, tutto è al suo posto. Lo stesso autore chiama questa una «raccolta di scritti», ma senza dubbio il volume appartiene al patrimonio nobile della poesia. Poesia che è un modo per spiegare cose inspiegabili, attraverso lo stimolo di corde misteriose e insondabili dell’animo umano, che solo gli artisti, nel senso più ampio della parola, sanno pizzicare.
In copertina «Distretti» propone un angolo di strada senza tempo e senza connotazione geografica: solo un cartello «One Way», ci rivela l’appartenenza ad un universo anglofono, ma quell’incrocio coibentato nell’asfalto, con una flora di cartelli e pali, con incatenate biciclette, potrebbe appartenere agli Stati Uniti di Truman Capote o all’Italia di Vittorio De Sica o a qualunque altro «paesaggio urbano» del Novecento.
Ad aprire il volume una breve raccolta di citazioni: Nietzsche, Jack Kerouac, Don De Lillo... e poi una serie di versi, ognuno accompagnato da una fotografia. Ma che vogliono dire quelle immagini? Viene naturale da chiedersi. Qui appare l’ingresso di un qualunque appartamento, forse mitteleuropeo, forse nel Nuovo Mondo, poi un viale, poi un altro portone, un po’ diverso dall’altro, con una persona davanti. E ancora una vetrina, un pontone, sulle coste di chissà quale mare, un tram, una sfilata di tavole o forse di panche e sotto: «Dal diario di Carlie Whitewood». «Ho infranto 12 volte/il limite di velocità/stavo portando ad un’amica/"L’uomo vitruviano nella seconda metà del XX secolo"...». E improvvisamente sembra che tutto si allinei, tutto assume un significato e un ordine preciso. Alberici è un «cronista in versi» che racconta il mondo di oggi fornendo una sorta di «manuale urbano di sopravvivenza». La Natura è sparita, inglobata in una guaina di asfalto e cemento che è il nuovo viso del mondo. Roma o Calcutta o New York in fondo fanno parte dello stesso paesaggio, seguono le stesse regole e infliggono all’uomo le stesse ferite che potrà curarsi sotto un ponte o al «Queen & Crescent Hotel», che è una specie di oasi, dove ci si può rinfrancare sorseggiando Miller Lite... L’uomo ha sovrapposto alla natura le sue città, che non sono meno infide e feroci della jungla.
Antonio Angeli
sabato, ottobre 26, 2013
giovedì, ottobre 24, 2013
martedì, ottobre 22, 2013
Continua a scattare nel mondo libero
A casa dei miei, nello studio di mio padre, al di sotto dello scaffale dedicato a monografie su singoli libri della bibbia ed a volumi che collezionavano sentenze latine e greche, c’era una sparuta raccolta della rivista “Meridiani”, rivista di viaggi che allora era molto in voga e di cui oggi non sono più sicuro delle sorti editoriali.
In un numero erano riportate delle fotografie, fotografie di donne nude.
Ero nel tempo in cui si passa dall’essere un bambino cresciuto a quel peculiare stato psico-fisico che è rappresentato e viene vissuto come l’entrata nell’età dell’adolescenza.
L’immagine che ho consumato con giovane avidità, con disarmante senso di soddisfazione, con rinnovata volontà di potenza, ogni volta che arrivavo alla pagina che la ospitava, ritraeva una donna dal fisico statuario, scolpito, proteso in avanti, issato su slanciati tacchi di scarpe da sera.
Non avevo mai visto una cosa del genere.
Non avrei mai visto una cosa del genere, dal vivo.
Il corpo era un costrutto dotato - oltre che benedetto da una santuario di bellezza - di fissità, di rigidità come di fluidità e di dinamicità al tempo stesso.
I piedi, contenuti nelle scarpe, crescevano e sfociavano nelle gambe, e le gambe, così vere e prolifiche e fasciate da strati di carne levigata, terminavano naturali nel bacino e nel ventre verginale dove le braccia, costrette da una tenuta e da una forza nervosa saldamente direzionata, formavano un “vi” alfabetica ed aulica.
In quel punto, le dita della mano sinistra afferravano e tiravano i peli pubici di una non trascurabile lunghezza; questa mano sinistra era tenuta a bada dalla destra che si posizionava grosso modo sul polso, ancora, sinistro.
Procedendo dal basso verso l’alto, si incontrava il torace scavato e slanciato – in pieno stile fine Settanta inizio Ottanta del Novecento - quindi sotto la reggente impalcatura squadrata delle spalle, due portentosi seni, che facevano da contrappeso estetico e nel caso di specie, squisitamente erotico, a quella montante peluria pubica a malapena frenata da un insolito atto di reprensione psicanalitica.
Helmut Newton, l’autore di uno scatto così fortemente immortale che mi riesce solo di paragonare all’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci, disse, tempo dopo, che l’idea gli era venuta dall’aver osservato sulla stampa tedesca alcune foto segnaletiche a grandezza naturale effettuate dalla polizia di stato – chi per loro, della Bundesrepublik Deutschland (Repubblica Federale Tedesca) e divulgata nell’intero territorio della Germania Ovest, ai fini dell’arresto dei ritenuti - tali membri della Rote Armee Fraktion (RAF), più volgarmente nota come Banda Baader-Meinhof.
Il titolo della foto di cui ho parlato era: Henrietta, Big Nude III, frutto di una serie di scatti fatti per il numero di ottobre dell’anno 1980 di French Vogue.
Per la cronaca: il nome completo della donna ritratta era Henrietta Allais, mezza francese, mezza cherokee, di professione modella e di origine statunitense.
Per i registri contabili di vendita delle case d’asta: scatto battuto a 482.500 dollari americani nel dicembre del 2008.
Quando ho visto la fotografia istituzionale e per ciò intendo la fotografia collezionata nei musei che ho frequentato tra l’Europa e gli Stati Uniti, ho avuto sempre in mente Henrietta, Big Nude III e gli altri scatti di Newton di quella serie che poi,di fatto, videro la luce tra il 1980 ed il 1981.
Forse per senso di appartenenza: sono nato sul finire di gennaio del secondo dei due anni.
Le determinanti personali hanno sempre il loro percorso indomabile su di noi.
Due anni fa, prima di un viaggio attraverso il continente nordamericano, frase molto kerouchiana a cui sono gelosamente legato, decisi che dovevo procurarmi una macchina fotografica a pellicola, oltre che ai soliti blocchetti per scrivere, libri da leggere, musica da sentire ed eventuali strumenti musicali da suonare con amici musicisti.
Mia zia, situazione del tutto fortuita e al limite della stranezza, mi prestò una Chinon semiautomatica. Portai con me 8 o 9 rullini Ilford HP5. Allora per me erano solo dei nomi.
Non voglio fermarmi a parlare di quello che c’è stato di mezzo – l’inizio da ignorante ed autodidatta poi guidato felicemente da una mano sapiente, non voglio cadere nello trappola di pontificare sulla fotografia, poiché non me lo potrei minimamente permettere.
Dico solo delle cose semplici, dirette e spero oneste – Hemingway, grande impostore, ripeteva ossessivamente “scrivi la cosa più vera che puoi” o “sii uno scrittore sincero e coraggioso”, somma menzogne di questo calibro - sperando di non scivolare nel tranello del pescatore di marlin.
1. Sono interessato alla vita e ancora di più alla vita per le strade.
2. Sono interessato alla vite delle persone quando scrivo; quando fotografo ragiono sui luoghi dove vivono, parlano, esistono, si relazionano e transitano, in cui magari non ci torneranno mai più.
3. La fotografia di strada è democratica. E la democrazia è nelle strade.
4. Lavorare con mezzi & materiali modesti ha il suo prezzo e il suo tornaconto.
5. Considero la pellicola, e soprattutto specifici tipi di pellicola, alla stregua della carta riciclata che ho utilizzato per scrivere migliaia di cose con una delle mie macchine da scrivere.
6. Non ho un riferimento né un maestro, ho solo buoni o cattivi consiglieri.
7. Helmut Newton & Terry Richardson sono due che non mi annoiano mai.
8. Amo le cose abbandonate come la grandezza.
9. Non è l’oggetto che trovi in strada che non è degno di uno scatto: sei tu che sei impreparato e tendi al fallimento.
10. Parafrasando Neil Young, continua a scattare nel mondo libero.
lunedì, ottobre 21, 2013
domenica, ottobre 20, 2013
venerdì, ottobre 18, 2013
Ho dimenticato gli occhiali a casa
Gente
pervasa dallo squallore
alle 6.00
della mattina
infiocchettati
con giacca & cravatta
comprati l’anno
prima ai grandi magazzini
in una
vendita di stock pubblicizzata da mesi
un fine
sera
dove non
si può sentire l’amore
con i
soliti John Lennon o Elton John su
a barcellona
come a new york:
non
chiedere di ritornare qui, caro mio
se il
giorno dopo
vuoi
andare sotto casa di tua madre
che è
morta 12 anni prima
&
mettere dei fiori
allora,
bene bene bene
forse non
sei pronto
per il
pranzo con i potenziali suoceri
forse guardi
troppo dentro & dritto
nel fondo
del loro lavandino della cucina
(ossa di
pollo disossato & verdure maciullate, nient’altro)
questo è
tempo vero
tempo in
diretta
lo puoi
proiettare su un muro
dire
qualche parola di contesto
ma sai
bene che il contorno è tutta un’altra storia
signorina
chiedo
scusa
ma ho
lasciato
gli
occhiali da vista a casa
& non
leggo bene.
domenica, ottobre 06, 2013
Tracklist
Do you love me
The Singer
Your
funeral my trial
Jubilee
Street
Little
empty boat
God’s Hotel
Higgs Boson
Blues
Rye Whiskey
Dig,
Lazarus, Dig!!!
Children
Jesus of
the Moon
Night of
the Lotus Eaters
More news
from Nowhere
When my
baby comes
When my
love comes down
Stagger Lee
We No UR
Fifteen
feet of pure white snow
Opium tea
Carry me
Albert goes
west
City of
Refuge
Hiding all
away
Hold on to
yourself
Muddy water
And no more
shall we part
Push the
sky away
Easy Money
Palaces of
Montezuma
Midnight
Man
Moonland
Da Nick
Cave and the Bad Seeds;Grinderman.
Una persona a me vicina
Una persona a me vicina, sul finire di una mattinata di settembre di quest’anno, quindi pochi giorni fa, ha avanzato una richiesta.
Perché
non metti giù, su una pagina, una sintesi di tutte le cose che mi dici sulla
fotografia durante i nostri appuntamenti in laboratorio.
Per
uno che scrive non sarà difficile.
L’ultima
frase lui l’ha detta in totale buona fede, ma sappiate che crea una difficoltà di
natura ideologica ed un contrasto di fatto sul versante morale, proprio ed
esclusivamente per una persona che scrive.
Iniziamo
col dire che nella maggior parte della mia vita sono stato un autodidatta.
Con
le libertà ed i limiti che ciò comporta.
Salvo
che in casi marginali, non ho mai avuto maestri in carne ed ossa.
Ho
sempre avuto solo me stesso e la mia testa, buona o cattiva che sia o che fosse,
ed i cd. riferimenti da cui ero attratto.
Sempre
avuto una spiccata tendenza allo sperimentalismo.
E
mi sono detto, quando la vita me l’ha permesso: vai, vai, vai.
La
musica è stata la mia nazione.
E’
stato un qualcosa dove stare, qualunque cosa facessi o mi capitasse.
Lo
scrivere, o se vogliamo dire “la letteratura” (ed in questa includo
forzatamente ed impropriamente la storia e la filosofia come discipline) hanno rappresentato
il mio stato di cittadino.
Pochi
dubbi a riguardo, signori.
La
fotografia è venuta da lontano.
La
fotografia era una di quelle cose che nella vita si sdegnano e addirittura in
certi contesti esistenziali, si detestano.
Era
una di quelle di persone che non sopporti. E che se riesci, denigri,
spettegoli, ed arrivi fino a reputare qualcosa di inutile.
Due
anni e mezzo fa, alle 4 di mattina di un’ennesima notte non dormita, poco prima
di in un viaggio attraverso il continente nordamericano, oltre alla musica, oltre
ai soliti blocchetti neri su cui scrivere, ti chiedi chi può prestarti una
macchina fotografica.
Per
la sola cronaca, e niente più, è stata mia zia; una Chinon, semiautomatica e
tante grazie. Saluti.
Comprai
in tutto 9 rullini prima della partenza; a Washington e a Baltimora ne presi
altri.
I
nomi: HP5 Ilford.
Non
ho mantenuto la promessa a chi mi aveva chiesto di mettere su carta le mie
congetture sulla fotografia.
Forse
non erano così indimenticabili.
Per
certe cose ho un gusto indiscriminato per la parola, parola parlata.
Io
e lui questo lo sappiamo; e continueremo a parlarne.
martedì, ottobre 01, 2013
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