Ivo
Nastic il carcere italiano l’ha conosciuto bene. In quindici anni di fortune alterne
nel nostro Paese, è entrato ed uscito quattro volte – estorsione, stupro, rapina,
spaccio.
Tutte
accuse costruite ad arte, tutte messe in scena, tutti malintesi in cui Ivo era
assurdamente ed ingiustamente incappato, mentre lui restava innocente ed
integralmente estraneo ai fatti: signor giudice, mi dispiace, ma non so di cosa
stiate parlando, io sono un brav’uomo, un semplicissimo padre di famiglia che
vuole guadagnarsi il pane vivendo in modo onesto, mi chiamo Ivo Nastic e sono
fiero del nome che porto.
E’
a Milano da 8 anni, gli altri li ha passati a Palermo, Napoli, Reggio Calabria,
Brescia, Torino e lo puoi vedere bazzicare attorno a corso Buenos Aires con la
sua stazza massiccia ma guizzante, lui, di origine serba, ex combattente della
milizia paramilitare “Serbia, Dio & Patria”, una delle tante che
sguinzagliava il proprio pugno di ferro sul suolo slavo durante gli anni della
guerra civile che lui chiama guerra di liberazione o una cazzo di guerra santa.
La
corporatura debordante in un metro e settantacinque di persona fa da appoggio
alla sua faccia levigata e oserei dire impreziosita da un maestoso segno che va
dalla mascella fino su all’occhio destro, un segno dovuto ad una scheggia a
seguito di un’esplosione di un ordigno, un segno che gli invade tutta l’intera
faccia e ne coinvolge, deturpandone in modo sadico, tutte le possibili
espressioni che possa azzardare di provare.
Tu
lo guardi, magari quando ti passa affianco in strada con quella sua finta aria
nobile e ti urta, e pensi, questo non scherza, questo non gioca al tuo livello,
pensi a sangue, pugni, pestaggi, urla tutto condito da una bella dose di
violenza gratuita e se non propriamente gratuita, a buon mercato.
Agli
occhi dei miei conoscenti, nelle loro intonse coscienze perbene, questa
frequentazione porterebbe ad una clamorosa disapprovazione ed ad un pubblico
disgusto ma tant’è, che io ed Ivo siamo diventati da qualche mese grandi amici,
buoni compagnoni o chiamatelo come diavolo volete. Lui esagera sempre e alzando
la voce: saremo fratelli di sangue, principe!
I
nostri incontri sono circoscritti al bar F. a pochi metri da piazzale Lima.
Ivo,
come ogni buon professionista del suo mestiere, è ben radicato nel territorio
& tra le altre cose gestisce il business delle “macchinette”, così come le
chiama lui.
In
poche parole, sapete, presta a strozzo e fornisce tutti quei servizi annessi che
un affare del genere si porta dietro.
I
malcapitati, di solito gente che riversa davanti ad uno schermo che si illumina
e scintilla in cui stupide figure roteano attraverso un vetro unto & patinato
dalle ditate di centinaia, se non migliaia
di persone al giorno, dal sudiciume e dallo schifo del locale in cui si trovano,
gente che trascorre ore inutili e distruttive, che cerca di annientare
fallimenti colossali e frustrazioni incancellabili davanti alle macchinazioni di
una ferraglia mangia-soldi, ecco questi lui li chiama “i maiali”, e qualche
volta quando è di buon animo, “i cani”.
Maiali
o cani che siano, sono i suoi clienti e per questo vengono annotati
scrupolosamente nella sua immancabile e vitale agenda con ogni tipo di
informazione oltre al nome, al cognome, all’occupazione se c’è, alla famiglia
se ce l’hanno e più importante di tutto, ai debiti, se esistono e a quanto essi,
ancora più importante, ammontano.
Non
metterti mai in affari con gente a cui non puoi fare del male o se non per
forza fargli del male, farli cagare sotto. Ma proprio tanto intendo. Ieri sera
uno mi si è pisciato nei pantaloni, davanti, cristo. Ed ero pure con la mia
nuova bay. Gli ho detto fai proprio schifo, brutto pezzo dimmerda, come cazzo
di uomo e come cazzo di cliente.
Pagami,
o se no sarò io a pisciarti addosso la prossima volta.
Si
è messo a piagnucolare. L’ho colpito con un rovescio. E vai a casa a cambiarti,
verme.
Comunque
quando si parla di clienti preferisce il termine maiali, perché del maiale non
si butta via niente, non dite così anche voi qua?
Quando
dice queste cose ci guardiamo negli occhi e non mollo lo sguardo per fargli
capire che tra me e lui sussiste ancora una barriera e magari gli dico chiudi
quella fogna, testa di cazzo, ma lui va matto per queste situazioni da saloon,
gli piacciono queste frasi ad effetto, stile Hollywood, e magari si spinge a
citarmele direttamente in inglese, imitando l’attore o persino ricreando il
contesto del film di turno.
Certo
in quegl’attimi di tensione frequenti – in ogni nostro incontro ce ne sono
almeno un paio, fissi, rituali, più o meno forti, dove lui insulta tutta la
linea materna del mio albero genealogico e riesce a raggiungere indescrivibili
punte di odio, io gli sto davanti, con i gomiti sul tavolo e lo fisso a dieci centimetri,
se non meno, faccia a faccia, e ci guardiamo isterici nelle pupille e sento il
suo sudore della faccia che fiotta e vedo la sua cicatrice contrarsi,
dilatarsi, muoversi come un serpente su quella pellaccia grassa e dopo questo
bel quadretto ci rimettiamo tranquilli ed ordiniamo, con un pugno sul tavolo od
un mezzo urlo seguito da una bestemmia, un giro doppio o triplo per entrambi,
whiskey ragazzo, non farci perdere tempo, qui, diretto, subito.
Dopo
aver tracannato almeno mezza dose di quanto nel bicchiere io gli dico tu sei il
mio nemico e lui professore vai a leggere i tuoi libri del cazzo.
Da
qualche tempo sta lontano dal giro che scotta, estorsioni, furti, sfruttamento
della prostituzione, spaccio ad elevate quantità – quintali, e si limita alle
macchinette; in più credo che faccia il protettore di qualche ragazza che
lavora a domicilio.
L’altra
sera, era un mercoledì, sono andato al bar F. per il nostro appuntamento.
Ero
su di giri perché Ivo mi aveva accennato che voleva avere una mano in una
faccenda di natura squisitamente culturale e mi ero fatto qualche cocktail prima,
con una ragazza che ho conosciuto da due settimane. Un bel paio di gambe e un
ottimo cervello.
Il
barista mi ha chiamato al bancone. Mi ha dato un bigliettino piegato in due.
Con scritto sopra. Aprilo poi ridammelo, che lo brucio.
Ho
pensato il solito Ivo, sarà qua fuori a ridersela alle mie spalle.
Ho
aperto il biglietto. Nella prima riga c’erano tre lettere ed una croce. Ivo †.
Nella
seconda: trovato accoltellato.
Il
barista mi ha poi detto che Ivo gli aveva detto di informarmi se gli fosse
successo qualcosa. Sai ti voleva molto bene.
Gli
ho chiesto un triplo, subito, diretto.
Dopo
due sorsi ho tirato il bicchiere contro il muro.
Ho
lasciato qualche soldo in più per il danno.
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