martedì, luglio 10, 2012

La peccatrice & il santo scuro






Su un tavolo di modeste dimensioni, uno sgangherato cimelio da robivecchi, in discesa dalle pareti della sala, le uniche dell'appartamento, è piazzata una testa di donna appena quarantenne; lo si direbbe dai vestiti e dalle mani che tiene ben vicine al corpo.
Un odore di presentimento si concentra dopo una delle molte sere di lettura finite con Mrs Dalloway e alcune epistole solamente adocchiate della Woolf.
La donna è decisamente nervosa e tra poco l'uomo di casa, suo fratello.
Il perché di questa visione, si chiede davanti al suo elegante tè con foglie vive e pesanti sul fondo della tazza e davanti al suo bicchiere di vino bianco rinvigorito almeno ogni venti minuti, il perché di Virginia Woolf nella sua giornata ed in quel periodo di sassi di fiume nelle tasche.
I morti, la depressione che la invoglia ad intonare una stridula strofa de il "Ballo dei Bisonti", che prendono ad manifestarsi tra le tende pesanti della stanza e avanzano nel soggiorno per poi sfumare con una scia ferina quando si fa concreto quel presentimento che si tramuta in una probabile certezza - tornerà l'uomo di casa, la promessa, con un sacchetto di carta della libreria Gustava ed uno zaino a mano. Ora fa vacillare il bicchiere di vino tra le labbra e le braccia, lo fa dondolare critica, ripete "quando l'ora tarda, s'attarda e ci fa sembrare consumati".
‘Quel sacchetto che sicuramente nasconde qualcosa’, la donna, che nel mentre allunga le gambe, dilunga i piedi, disincancrenendoli, fingendosi partecipe di una sequenza filmica, la donna di questa casa alla Mrs. Dolloway satura delle di colpi di Charles Mingus, guarda la continuazione di piccole pareti spezzate da spigoli irregolari, mal calcolati, e quelle poche pareti sono imbottite di quadri, fatta eccezione per quella  del crocefisso, un opposto fuori posto, sistemato nell'entrata, come fosse più di un avvertimento.

Incrociata una matita tra le dita della mano sinistra, il cui palmo è segnato da una striscia di tempera magenta chiaro, traccia delle linee cuneiformi, dei circhi concentrici, delle spirali ad infinitum, e la grafite, a mano a mano che la donna si lascia andare, scende più profondamente nel foglio sottile del blocchetto per appunti fino a bucare una, due, poi tre pagine e quindi finendo con il ridurle a brandelli di carta disegnata e maciullata.
Questo procedimento liberatorio, messo a punto da lei stessa anni addietro nei tempi della sua prima maternità, le permetteva una sorta di abbandono fisico verso uno stato di piacere controllato in cui si imponeva di ripensare solo ai momenti che definiva ‘quantomeno decenti’ della sua vita ‘che non erano poi molti’.
Non che l’auto-somministrazione di vino fosse d’impedimento al dinamismo di tal processo psichico, ma sovente poteva accadere che se, come in questo frangente, non fosse stata in giornata, la donna, questo tipo di donna, potesse pervenire a spiacevoli conclusioni, come una radicale distorsione in chiave nichilista del suo vissuto ed in particolare degli ultimi tre anni di vita.
E se questo accadeva, si alzava dal tavolo, si metteva in doccia, gridava un paio di non tanto celate bestemmie, si asciugava di fretta e furia, provava a chiamare qualche amica per uscire e se non ne avesse trovato alcuna, sarebbe andata comunque fuori, non prima di un sorso di Fundador direttamente dalla bottiglia.

Una volta uscita faceva quella cosa che le piaceva chiamare ‘stare per le strade’, camminando prima di tutto, per poi acquattarsi in un tavolino di uno dei suoi bar, prediligendo i tavolini lungo il parapetto che dava sul fiume così da poterci appoggiare il gomito destro, dando così le spalle all’inizio del canale, dove l’area pedonale che costeggiava su due lati il corso dell’acqua faceva un’accentuata discesa e così lì la gente convogliava i propri passi ammassandosi.
Dopo avere sbuffato parecchie volte, la donna decideva di tirare fuori da una borsa di pelle nera dai lunghi manici, un quaderno degli schizzi di medie dimensioni, assai squinternato, dalle pagine gonfie e talvolta macchiate all’estremità; tutto chiedendo un doppio od un triplo giro di quello che stava bevendo prima.
Iniziava a tratteggiare abbozzi di ritratti delle persone che le stavano di fronte, o che in un qualche modo rielaborava nella sua testa, o che forse immaginava, totalmente, e poi nel foglio a destra – iniziava sempre un lavoro nella pagina di sinistra – appuntava parole per non più di uno o due minuti. Chiudeva il blocco e ritornava a casa; diversamente poteva riaprirlo e ripetere ciò che aveva fatto per quasi una mezz’ora; altrimenti si rimetteva a ‘stare per le strade’ verso un altro bar che l’accogliesse.

‘Gli uomini non cambiano mai’ era una delle cose che scriveva spesso nel foglio di destra, ma questo tipo di donna adesso è di nuovo nel soggiorno di casa sua, l’unica stanza, e appena ha aperto la porta ha visto la schiena del fratello mezza china sul tavolo, intenta a supportare l’attività di una frenetica battuta a macchina.
Si scambiano un ‘come va’ e si rispondono un ‘tutto bene’; lui le chiede se gli fa vedere i suoi lavori, lei prende il quaderno degli schizzi, nero, e glielo lancia sul tavolo, non prima di aver strappato un angolo di un foglio con il mio numero di telefono.

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