giovedì, agosto 24, 2023

Giorni tranquilli a Baton Rouge

 


Mi trovavo sull'I-10 di ritorno da una piccola scorribanda alla Louisiana State University di Baton Rouge, che avrei potuto definire iconicamente, giorni tranquilli a Baton Rouge, dove avevo svolto alcune ricerche storiche per un progetto fotografico a cui lavoravo da tempo e che sarebbe poi finito, almeno stando a quanto detto, sul The Times Picayune. La radio della mia Challenger nera diffondeva perlopiù musica classica; mi ero infervorato per il Concerto per Piano n.1 di Brahms e per la Quinta Sinfonia di Mahler. Poi avo messo l'N.P.R. - National Public Radio, per seguire i dibattiti sulle elezioni. Sapevo fin dall'inizio e da tempo avevo predetto, che il popolo americano avrebbe portato alla Casa Bianca l'uomo chiamato Donald J. Trump e che questo non avrebbe portato nulla di buono. Dio mi è testimone anche con un brano che scrissi nel momento del Giuramento del Quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d'America. "Non so se te l'ho già detto/Questa è l'Altra America/Quella che conoscevo/Quella che ho visto/Quella di NOLA/Quella di San Fran/Questa è quella in cui credo/Questa sono io". Dunque, puntualmente vinse e poi la Storia fece il suo irrimediabile tragico corso. Nei pressi di Slidell, al di là del Pontchartrain, decisi prendere un'uscita per fare un po' di benzina visto che oramai il serbatoio era quasi a secco. Sono entrato nel negozio del distributore ed ho chiesto venti pezzi sulla due e mi sono diretto verso i frigoriferi per prendere dell'acqua ed una bibita energetica. Stavo per fare uno dei miei trionfali ritorni in città a New Orleans, stavo tornando da Tierney. Quella sera sarei tornato a casa, sarei tornato da lei e avremmo bevuto qualche lattina di Budweseir ghiacciata, fumato delle American Spirit Nere e magari un po' di buona erba. Avremmo perfino fatto l'amore come due innamorati che si rincontrano dopo un lungo periodo di assenza - quindi con furore, passione ed un'infinita dolcezza. Ma ecco che arriva l'inconveniente di essere nati, per dirla alla Cioran. Ecco l'imprevedibile, l'inevitabile. Mentre mi giravo per andare in cassa, entrò un uomo con un cappellino e una bandana tirata su fino agli occhi e gridando estrasse un'arma, puntandola dritta alla cassiera. Urlava di darle tutto quello che c'è nel registratore di cassa, tutto quanto il bottino. Mi sono nascosto inginocchiandomi dietro ad uno degli scaffali ed ho posato l'acqua e la bibita per terra. Cosa fare. Non cosa fare della propria vita, del proprio vissuto, non congetture del tipo "si è vissuti bene o male" o "la mia è stata una vita degna di essere vissuta", ma cosa fare adesso, un che fare leninista intriso d'azione, hic et nunc. Mi sono guardato attorno; l'uomo non si era accorto della mia presenza. La donna del negozio, era una minuta asiatica, probabilmente parte della comunità vietnamita che si era trasferita in Louisiana nel corso del Novecento. Sentivo che aveva aperto lo sportello delle banconote ed in quel momento appoggiato in un angolo vicino ai frigoriferi e allo stand delle noccioline vidi un grosso tubo in ferro malconcio. Mi alzai dalla mia tana, lo afferrai, corsi verso l'uomo e lo colpii alla nuca con una discreta dose di forza e di violenza. Cadde a terra stordito a pancia in giù. Gli tolsi la pistola dalla mano e la diedi alla signora. L'uomo rantolava. Lo girai per metterlo supino. Gli alzai la bandana per vederne la faccia. Era un ragazzino bianco. Quindici, sedici anni, almeno. Il pavimento sotto la sua testa si stava colorando con una macchia simile ad un'immagine dei test di Rorschach. Una piccola tavolozza inondata di succo di mirtillo, di more, di lamponi. Il sangue fluiva denso. Cercai di palargli, ma mentre stava tentando di dire qualcosa come "aiutami", iniziò a tossire sputando sangue dalla bocca. Cercavo di rianimarlo in fin dei conti. La vietnamita mi disse di togliermi da sopra il corpo del rapinatore e con un fucile a canne mozze esplose in sua direzione due colpi. Uno in pieno petto e l'altro in pieno volto.





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