I Klimcko arrivarono una giornata del 1982. Ricordo bene la data perché quattro mesi esatti prima ero stato licenziato dalla falegnameria di Stato. Avevano rilevato la proprietà dei Figueroa che era stata disabitata e ridotta in decadenza per oltre un decennio da quando il vecchio morì ed i figli se ne andarono per trasferirsi in città ed iniziare una nuova vita, lontana da qua e dalla gente di qua. Io stavo sulla porta finestra della mia cabina in affitto con uno sguardo perso, nella mia salopette, senza aver fatto la doccia per giorni. Non avevo più contatti con la civiltà a causa del mio licenziamento. La falegnameria di Stato era stata venduta ad una multinazionale svedese. Riconvertirono parte delle attività, mandarono a casa due terzi degli operai. Lì dentro più che lavorare il legname, lo impacchettavano e lo spedivano alla sezione arredamenti del nuovo centro commerciale che aveva aperto in città. Cucine, letti, mobili, tavoli, scrivanie, librerie, cassettiere, divani. La gente ne è andata matta. Mobilio a basso costo, da portare a casa ed assemblarlo in pochi minuti. Dalla soglia della mia cabina vidi spuntare il muso di una Mercury Colony Marquis Park con delle grosse fasce di legno applicate sui fianchi della macchina. La pubblicità diceva: nelle famigliari Marquis il lusso e lo spazio si fondono. Splendidamente. Chi era al volante di quell’auto aveva di sicuro sborsato una cifra considerevole. Oltre a starmene in cabina e a guardare la televisione tutto il giorno e a leggere qualche rivista sportiva, mi trovavo costretto ogni dieci giorni ad incamminarmi verso la statale ed andare al centro commerciale per comprare quanto più cibo, alcolici e medicine potessi trasportare e permettermi. Tutta quella strada a piedi, 8 miglia per un privato e solitario supplizio. Avevo dovuto vendere il mio pick-up per andare avanti e i sussidi stavano terminando. Avevo un conto a tre zeri da saldare con il bar vicino alla falegnameria dove tutti andavamo ogni giorno dopo il lavoro, dalle quattro del pomeriggio fino a quando avessimo retto o ci avessero sbattuto fuori. Qualche settimana fa il proprietario è venuto a farmi visita per dirmi che avrebbe chiuso l’attività e che il tempo era maturo per pagare i miei debiti. Non avevo un soldo in tasca così gli diedi il mio pick-up ed amici come prima. La Mercury procedeva a bassissima velocità. I miei sensi potevano anche essere non completamente a pieno servizio, ma a quell’ora del pomeriggio, intorno alle 4.30 e di sicuro prima delle 5, avrei potuto aver bevuto non più di un paio di birre oltre che ad un singolo di whiskey. Cose molto amministrabili. Cose per rompere l’apatia della sobrietà. La serata sarebbe stata ancora lunga. Ve lo assicuro. I pneumatici non erano del tutto gonfi e il peso della macchina carica di quattro passeggeri, di valige, di cibo, di un animale domestico e di qualche cosa necessaria ad un trasloco, sforzavano il disco metallizzato del cerchione sotto l’irregolare gestione di ammortizzatori allentati. Il terriccio e la ghiaia del vialetto di accesso venivano tamburellati e tritati come da un mezzo di fanteria. Indica, una delle due figlie dei Klimcko, la più piccola, mi guardò attraverso il finestrino posteriore sinistro ed appannando il vetro con l'alito, tracciò un segno, una scritta, con il suo indice sinistro. Guardai più a fondo attraverso la porta finestra, uscii sul patio ma il retro della Mercury si oscurò nella curva a destra prima del cancello della proprietà dei Figueroa. Passai la notte addormentato sulla poltrona davanti alla televisione, guardando un documentario politico sui movimenti di protesta in Sudafrica e di seguito una replica di uno speciale sulla morte di John Lennon a due anni dalla morte. Mi risvegliai alle 4.30 come mio solito. Andai in bagno, mi pesai, feci una smorfia di scontento, mi diressi verso il cucinotto del mio micro soggiorno/camera da letto e mi versai tre quarti di litro di caffè nero. Guardai i notiziari per due ore abbondanti. Lasciai metà del caffè nella tazza e ritornai in bagno, appoggiando il braccio e la mano sinistra contro la parete. Mentre urinavo, guardai fuori dalla finestrella e per poco non morii sul posto. Dall'altra parte del vetro c’era la faccia stampata di Indica, che rideva straziata nel suo sorriso sdentato. Poi la sua faccia si fece truce e mimò le parole che scoprirò solo tempo dopo - In Nessun Modo - ma lì per lì non capii o non volli capire o ancora, volli fare finta di niente. Un disco di J.J. Cale verso le undici di mattina, quando la voglia di un sandwich al tacchino e di una Coca-Cola ghiacciata mi assalì, mi ammonì. Se non c’è nessun cambiamento nel tempo, non ci sarà mai nessun cambiamento in me. Nel pomeriggio sentii la Mercury percorrere il vialetto a velocità sostenuta verso l’uscita e la rampa di imbocco della statale. La macchina si allontanava con qualche leggera sbandata. Sentii la voce di una donna in lacrime che imprecava, che supplicava, che minacciava e che malediceva l'uomo. Era la prima volta che vidi il viso irrorato di lentiggini e rughe di Golda Klimcko. Si inginocchiò. Mentre sembrava che stesse per arrendersi ad una forza maggiore, nefasta, bulimica, fece uno scatto sulle proprie gambe e si rimise in posizione eretta. Si mise le mani nei capelli rossi, tirandoseli indietro e raccogliendoli sulla nuca come per farsi la coda. Li lasciò sciolti, si mise le mani in tasca. Mi diede la schiena per rincasare. In quel momento le due bambine Klimcko corsero verso la madre che le prese sotto le sue braccia. Il trio materno si voltò verso la mia cabina. Golda mi guardò, mentre Indica e Malika avevano lo sguardo altrove, verso la casa senza padre. Da quella scena nel vialetto non ebbi più modo di vedere alcun membro della famiglia Klimcko. Non ebbi più notizie "visive". Una notte mentre armeggiavo con un coltello ed una lattina di birra tanto per torturarla, udii una sorta di tonfo, di boato soppresso e immediatamente dopo vidi il riflesso di una luce incandescente spargersi, illuminando a giorno la mia cabina. Non era un'allucinazione. Già da una settimana mi stavo dando una ripulita per presentarmi in uno stato decente, almeno passabile, ad un colloquio di lavoro che avevo ottenuto per lo stand della rete ferroviaria presso il centro commerciale. Da quanto avevo capito al telefono si trattava di dare informazioni sulle direzioni e sugli orari dei treni del nuovo ramo ferroviario che collegava tutta la regione. Inoltre se del caso, avrei potuto dare ai clienti una brochure. Mi limitavo a sole due birre al giorno, e nessuno superalcolico o roba peggiore. Stavo bevendo molto caffè e molta acqua, quello sì. Qualche minuto dopo iniziai a sentire un forte odore di gomma bruciata, mista ad erba o a rami secchi. Uscii dalla cabina ed un'esplosione contenuta mi fece cadere con la schiena all'indietro. Urla femminili si avvicinavano verso di me. Aiuto, qualcuno ci aiuti. Dal buio sbucarono le sagome di Golda, Malika ed Indica Klimcko. Signor vicino, ci aiuti signore. Qualcosa è caduto dal cielo e ha fatto un solco nel terreno. Ha distrutto la casa del nostro cane e la piscina delle bambine. Adesso sta bruciando tutto. Signora io prenderò l’estintore mentre lei chiamerà i pompieri e la polizia. Potrebbe trattarsi di una scoria celeste, di un frammento di un meteorite o di un satellite. Indica chiese alla madre se questo potesse essere un segno del Signore per dire che il padre sarebbe tornato presto a casa. Indica a papà ci pensiamo dopo, le rispose Golda. Aiutiamo questo signore con la canna dell’acqua. Presi l’estintore ed iniziai a correre. Quello che vidi davanti era qualcosa di sconcertante. Un ammasso di fuoco, legno, erba, materiale ferroso ed i resti sparsi di un animale. Iniziai a spruzzare il liquido schiumogeno con l’estintore e il fuoco e l’odore iniziarono a placarsi. Le bambine buttavo secchi d’acqua e Golda continuava a spargere acqua sul luogo dell’incidente con pistola di un compressore. Arrivarono la polizia della contea e i pompieri. L’incendio era già stato sedato. L’area fu recintata e gli agenti iniziarono a fare le indagini ed a raccogliere prove. L’indomani si seppe che un satellite di una non meglio precisata nazionalità aveva urtato un corpo extra-terrestre, anche questo non meglio precisato (entità, dimensioni e perché). I frammenti colpirono dodici punti a terra in un raggio di cento venti miglia quadrate distruggendo proprietà, danneggiando scuole, fabbriche ed attività commerciali e facendo dodici morti. Undici persone adulte ed un cane, nella vecchia proprietà Figueroa. Alle undici di mattina ero pronto ad uscire per andare al centro commerciale dove avrei sostenuto il colloquio di lavoro. Scendendo le scale della cabina arrivò la Mercury dei Klimcko, che per poco non mi falciò. La macchina fece una brusca frenata. Fece una retro e si fermò a pochi centimetri dai miei piedi. Dalla portiera uscì un uomo oltre la quarantina. Sono arrivato appena ho potuto. Grazie per quello che ha fatto per la mia famiglia. Golda mi ha detto tutto. Mi presento: sono il Pastore Ebner Maria Klimcko. Il lavoro al banco delle ferrovie andò bene per qualche mese. Verso l’autunno dell’82 la stampa indipendente condusse un’inchiesta giornalistica per corruzione ed appropriazione indebita ai vertici della compagnia dei trasporti statali che controllava le ferrovie. Nel giro di breve tempo quelle che potevano sembrare illazioni ed indizi agli occhi dei più, diventarono certezze e capi d'imputazione in una vera e propria indagine giudiziaria. Gli imputati più illustri patteggiarono la pena. Si scoprì che quelli più coinvolti erano propri i signori che gestivano la sezione trasporti su rotaia. Diedi le dimissioni prima che tutto deflagrasse, ma questo non mi portò ad altro che una misera buonuscita ed una lettera di raccomandazione siglata dal responsabile per le assunzioni della regione. Di nuovo sulla strada quindi - e di fatto, rintanato nella mia cabina sul lago. Come ogni tipico disoccupato o senzatetto decisi di passare qualche ora della mie giornate nella biblioteca civica più vicina ma questa avrebbe dovuto essere anche la più fornita. Girovagai per biblioteche per almeno un mese e alla fine ripiegai su quella di Stato, quella della Capitale. Per arrivarci dovevo camminare dalla cabina per una buona mezz’ora lungo la statale. Il freddo e la neve erano tornati. Niente di nuovo. Salivo su un autobus che mi portava allo scalo ferroviario e di lì prendevo il treno che mi scaricava nella grande città. Sceso dal treno avevo dieci minuti di tratta. Compilando il modulo di iscrizione per la biblioteca, barrai la casella "lettore". Dietro al bancone per l’accoglienza c’erano due donne: una anziana e sorda, con abiti e fare tipici della prima metà del secolo, l’altra appena ventenne o neanche, occhiali da vista. Una montatura di plastica trasparente e spessa che inquadrava le massicce lenti curve. Gli occhiali le occupavano metà del viso, le inglobavano il naso, che era appena poco più che pronunciato e all’insù, le guance di un rosa vivo che cadevano nella sue labbra piene di un rossetto anch'esso rosa, luccicante, riflettente; all’interno delle labbra a chiusura della dentatura c’erano pezzi di metallo e piccoli cavi elastici di un apparecchio correttivo. Erano veramente contente che compilassi il modulo di iscrizione permanente alla biblioteca. Mi chiesero come mai venissi da così lontano. Accennai loro della mia situazione lavorativa e raccontai come negli ultimi tempi, e non solo, avevo dovuto vendere i miei libri per tirare su qualche soldo e di come avessi smesso di comprare libri e di leggere. Ero lì per rincominciare un discorso abbandonato. Mi chiesero cosa avrei letto. Risposi per grandi tematiche, grandi intenzioni. La ragazza mi avvisò dell'inaugurazione oramai prossima di una nuova sezione della biblioteca. Sarebbe stata interamente sulla musica: storia della musica, studio della musica, strumenti e dischi di tutti i generi. Per ora l’archivio era molto ridotto. Sa, una volta oltre a comprare e leggere libri, ero un musicista, lontano da qua. Anche quel discorso finì, come molti altri nella mia vita. La ragazza e la donna anziana si guardarono e rimasero in silenzio per qualche secondo, fissando la pila di moduli sul tavolo. Forse ero stato troppo drammatico. Ho il gusto per quel genere cose. Un critico di Teoria del Linguaggio Teatrale la definì “drammaticità parlatoria”. Un’altro dei miei libri venduti e finiti chissà dove. Al macero. In un cestino fuori da una caffetteria universitaria. A sostenere la gamba malconcia di un tavolo di una sala di gioco d’azzardo. Quaranta minuti dopo mi ritrovai assunto dalla Biblioteca di Stato per un periodo di tre mesi di prova, con la specifica mansione di curatore speciale della nuova sezione di musica. Gli eventi proseguirono. Si allinearono e proseguirono lungo una concatenazione di risultati. Alla domenica ci alziamo per ribadire il Libro dei Proverbi o solo strappi dal Dhammapada. Arrivati per arrivati, scelti per scelti. Un libro di J.C. Oates lasciato in derelizione. D.P.A. > Detriti per Anni. Il lucida labbra della giovane bibliotecaria, rosa trasparente, colloso, riversato sui denti, sulle gengive, nella bocca, nei meandri metallici dell’apparecchio correttore della dentatura non proprio aperta come si vorrebbe. Ho camminato per stanze. Migliaia, in giro. Andato, andato, andato. Stanze dove le tende erano di spugna arancione, tessuti malridotti, affumicature, tracce di sigarette, macerie di nicotina per il signore nostro dio sconusciuto. Versi. Tutto quello che siamo viene dalla mente. E mentire ci è diventato così facile. Siamo perfino ostinati nel mentire. Una corretta pratica quotidiana lontano dai riflettori della società perbene. La distorsione è l’unico fenomeno fisico che ci interessa. E’ la sofferenza del risvegliato. E’ la cospirazione mattutina contro la razza umana. La sapienza grida per le strade. I Klimcko sono stati via per molto tempo. Oltre un mese. La parola Klimcko mi ha sempre richiamato in modo diretto Gustav Klimt, l’uomo della Secessione. Questa sì che è una parola stupenda. Secedere. Stare in disparte, allontarsi da. Andare via, ritirarsi. Molte volte, perché un uomo possa definirsi tale, bisogna trovare un accordo con una fase della propria vita. Io avevo trovato queste due parole: una il cognome di una famiglia e l’altra una parola altisonante, del tutto ideologica. Iniziai a fare fantasie e a stabilire connessioni cognitive e linguistiche tra la lettera k e la lettera s, klimcko - secessione, k et s, klimcko e secessione. La Secessione dei Klimcko. Fuori nello spazio aperto. Immaginazione. Stagni per centinaia di chilometri quadrati, oltre la catena montuosa, quando la valle è morta da un pezzo, e l’Eden rimane il nome di un negozio di ferramenta spiccia e liquori. Sceso, sceso, secesso. Inevitabilmente. Un lungo dato di presunzione autocommiserata, quello ero diventato. Il lavoro alla Biblioteca di Stato avanzò inesorabile, accompagnato da nottate a-bulimiche, vuote, rileggendo i discorsi dei grandi uomini politici del Novecento. Avevo intrapreso una dieta di sole proteine. Uova sode, carni al sangue. Tabacco a manciate, a mani piene. E una quantità di caffè nero che riempiva ogni parte della cabina. Litri, litri e litri di tazze nere. Il sentiero dei perversi conduce alla morte (Proverbi, ore 12:28, numeri illuminati di rosso come nelle migliori pellicole del decennio passato). Da un giorno all’altro potrebbero rientrare. Magari al gran completo, sulla loro Mercury da buona famiglia. Figli di. Dopo tutto, li sto solo aspettando. L’incidente era avvenuto in un’ora non meglio precisata, si parlò delle 6.41, ma il lasso temporale arrivava secondo alcuni, fino alle 8.52 del mattino, e la scena per la polizia municipale non fu facile, visto che il ventre molle digeriva ancora (caffè pesantemente zuccherato, paste piene di dolcificante, chiamiamole come ci viene più facile, brioches, ciambelle, forse scommesse perse alla corsa dei cani). Il vagone numero 49 era riverso in mezzo alla strada principale. Completamente ribaltato, pessimo presagio e pessima vista il sangue, in parte già rappreso, che colava dalla porta di sicurezza, un sangue nero, fuligginoso, tragico, dannatamente greco. Tragedia Signori - la nascita della. Che cos’è questo mondo che siamo costretti a vivere, a guardare, a ricomporre. Ventisette corpi deformati, dilaniati nelle parti più impensabili. Inerzia. Tre bambini, due gemelli maschi e una bambina, un’estranea. Che cos’è che siamo disposti a fare. In definitiva, non siamo il risultato addizionale delle nostre scelte. Siamo un ammasso di cose non dette, di incidenti stradali, ferroviari. Siamo quella petroliera lunga duecento venti metri che continua a sversare da decenni, per stanchezza. Il prezzo delle nostre quotidiane nefandezze. Il vagone aveva travolto una scolaresca e non aveva risparmiato il bus che trasportava i detenuti. Angeli innocenti e peccatori incalliti. Puro e disposto a salire le stelle, la gloria di colui che tutto move. Questo è lo stato purgatoriale a cui siamo ridotti, questa la nostra destinazione celeste. A quell’ora la biblioteca di stato era chiusa ed il mio impiego, il mio trascorrere le giornate là, era la cosa quanto mai più lontana; nella mia testa, nel mio corpo, nelle mie gambe. Il treno era mezzo vuoto, correndo a velocità ridotta. Dovetti tenere la testa a quella poliziotta. Ansimava. Vomitava. Mi diceva che sentiva montare il sangue nella trachea. Mi trovavo lì, visto che stavo perlustrando l’area, a mio modo, e stavo guardando la città, la mia piccola cittadina di provincia, il mio universo circolare, piatto. Quel giorno volevo chiudermi in un cinema dalle undici di mattina in poi e nel pomeriggio bermi qualche birra al bar di Eveline e quindi succhiarmi vodka ghiacciata mentre la tv avrebbe trasmesso la corsa alle primarie, anche se il risultato era la cosa più docile e scontata del globo terracqueo. La carrozza di testa era stata sbalzata a distanza di una decina di metri. Assistere ad un incidente del genere non è il migliore viatico per un uomo che sta ricominciando. L’ennesima volta. Si dicono tante cose e molte sono inesatte. E loro, I Klimcko. La piccola famiglietta deviata. La loro felicità attraverso i vetri dei finestrini della Mercury. Al posto del bus dei detenuti, al posto della scolaresca potevano esserci loro, con le loro gioiose, plastiche e gommose facce nella Mercury. Non tanto le bambine, non ho propensioni infanticide. Ma lui, il santone. Il Pastore. La faccia di Ebner Maria Klimcko su tutta la principale. Ero là, come tutte le notti, e tutti le notti con quell’odore in quei luoghi che si chiamano boschi in altre regioni del mondo. Le paludi. Casa. Terra. Acqua. Fango. Animali. Piante. Corpi sepolti. Membra che affiorano. Non spaventatevi di voi stessi. Siete tutti così soddisfatti quando cadete in amore. Con una donna. Poi se ne va. Con un altro. Muore. Se ne va col prete. Col Pastore. Magari, EM Fottuto Klimcko. Avete un difetto. Che è la cosa più facile e basilare del mondo. La fine delle cose. So cos’è la verità. L’ho sperimentata miliardi di volte. Ma voi volete starne distanti, nella vostra casetta di legno del centro commerciale. Voi volete stare nei vostri boschi su misura e vivere come dei piccoli cani su misura. Miserabili. Il bosco è vero. Il vagone 49 è vero. Qui si muore. Qui si muore. Su un treno. Bambini, detenuti, innocenti. Siamo tutti innocenti. La vodka che bevo è vera. Sono troppo consapevole? Io conservo le vostre parole. Parlo per frasi fatte? Vediamo quando mi avete davanti, sulla vostra cara e dolce porta di casa. Voi, la fdk. Famiglia Klimcko. Le due bambine. Intrappolate. Volete che non abbia visto i segni. Vogliate che non senta. Vogliate che non veda. Vogliate che non vi venga in faccia a vedervi. So come uccidere un uomo in fretta. Mi dispiace. E’ il mio addestramento. E’ il mio addestramento. Il mio passato. La mia collisione con il verbo. 14 ore. L’avete fatto prima? Sparare, vivo o morto ad un uomo, una donna? Sto per andare. Sto per venire, Malika. Di cosa parlavamo oggi, quando ci amavamo. Raimond Carver. Le persone. Le stelle nere. Il re giallo. Ho questa donna che vive nei boschi, sola. Nelle paludi. Ed è la cosa più pulita che conosca. Nessun processo. Nessuno che possa accusarla. Nessun vantaggio. La vedo qualche volta al mese. Una scultura buia. Impenetrabile. Di che cosa volete parlare. Di che cosa siete fatti quando siete il niente come voi. Bere come matti e mettersi al volante, ma essere sobri a destinazione. Sto Sentendo Qualcosa. SSQ. qualcosa che sbatte. SCQ. Declinazione del quindi. E quindi, essendo, condusse una vita di successo. E quindi esistendo, fece della sua vita, un 'opera d'arte, nelle ore interminabili, un capolavoro inestimabile. Dovuto ad un guasto. La fede nelle prime ore del mattino nel bacino della fede stessa. Chi siete. Le macchine per strade. Ebner me ne sto andando. Ebbie, corro troppo veloce per te. Tu sei il Niente. Dove ti stai nascondendo. EM Klimcko. Io non sono te. Con le tue bambine abusate, con le tue bambine che devono prendere dal padre. Cosa ci stai facendo Ebner. Più che altro io sono te, attaccato al palo. Intanto si avvicinava per Mattatia l'ore del trapasso ed egli disse alle figlie, Dimmi tu. Cose hai detto alle tue figlie, Eb. Dimmi dove ti porta la tua immaginazione. Pagherai le tue colpe o vuoi che venga io. Dimmi fino a che altezza vuoi che le fiamme salgano. Dai Ebner, fatti un respiro. So cosa fai. Di giorno o di notte. So che ti piace mettere del gas nelle narici delle tue bambine. Sei un pastore, uno vero. Quella era solo una bambina. Erano due gemelle. Due sorelle. Vedi come sei finito. Adesso devo ripulire tutta casa. Con le tue ossa nelle assi delle pareti. Molto bene. Se vuoi parliamo di Aristotele. Se vuoi dopo, ci buchiamo. E poi un girono prendemmo LA STRADA. Se vuoi dopo andiamo per le strade. Uomini ciechi. Beviamo tutta la notte e per tutto il mese seguente. Patetico. Tutto è così calmo. Il tempo è uno strizza cervelli radiato dall’albo. Non so chi sia, tutta questa gente. Viviamo sotto il peso di noi stessi, poi un giorno ci alziamo e ce ne andiamo via di qua. Qualcuno vede Cose. Conosco quei posti. Stato là per lungo, lungo tempo. Poi, la strada, quasi un colpo in testa. Il papa parla da Roma. Lo vedo sulla mia TV, senza volume. Un triste re cattolico. Ma tu non sei cattolico Ebner, tu sei una derivazione del luteranesimo. San Tommaso vide la luna quindi disse al suo pari: ecco guarda, mi hanno dato le Tavole della Legge. Ecco vedi, EMKlimcko, vedi che gran cosa. Ci credi nelle Tavole della Legge, ci credi ancora nella “qual cosa”?. Avevi un sorriso così basso. Potevo vivere un retrocedo, come nella cabina del resto. Allora, carissimo EMK. Carissima Istituzione Itinerante. Carissimo Caro EMK. La tua tua dissoluzione, la mia. Il solito WFN pazzo, peripatetico, alcolico, nella sua riservatezza torinese. Sto parlando di Nietzsche. Alla fine cadiamo sempre sullo stesso discorso. Tu sei la mia droga EMK. Ti ho messo su una parete e ti fisso da mese. Una fontana che. Colore, del tutto sanguigno. Certo che si potrebbe partire dalla prima volta che vi ho visto. Dalla prima volta in cui mi sono reso conto di voi, dalla prima volta in cui mi sono dovuto rendere conto della vostra esistenza - discutibile questa, quanto meno e poi, della vostra inevitabile e squallida esistenza. Cosa stai facendo nella tua dimora EMK. Sei solo morto. Come tutti gli altri. Non lavoro da mesi. Mia madre, 20 anni. Non ho neanche più voglia di scrivere le parole per esteso, figuriamoci i numeri, le cifre, le quote. VA. Vallate Abbandonate. Incrociati ad una pompa di benzina. Viaggiando, la notte. Un quadro decisamente bello ma Caroline piange, e quando piange, piange per ore e non c'è niente che possa aiutarla. E' una donna decisamente sola. Delacroix è nudo, parlando di successo. NOMA, cose come queste e Ornette Coleman è di sicuro, nel periodo 61,62. Forth Worth, Manhattan. Quando voi tutti vi vestite e state nella vostra miserabile domenica degli eccessi. Da Portland a Portland. La frase di quel film. Vieni con me me, fatti pure un giro con me giù in città, ti dicevo. EMKlimcko. La battuta era, da Portland Maine a Portland Oregon. Conosco le Cose del Mondo, Conosco le Scritture. Quanti ne hai fatti fuori così, Ebner. Sto risalendo il fiume, sto ripercorrendo le tracce. Sappiamo che questa vita va spinta. Ma cos’è quello che abbiamo detto. Quella mattina, chiamando nostra madre. Sonno Rem, Non Sonno, Insomnia. Nessuno qua mi ha mai parlato in questo modo. L’ossigeno arrivò sulla collina. Si radunarono dunque e vennero di fronte a Gerusalemme, una Collina Rossa. Il silenzio pervase gli ambienti. Vedi come sono diventato bravo a vendere le tue stesse menzogne. Cosa fai lì lì Ebner. Su, muoviti. Dimmi qualcosa Eb. Vuoi un altro goccio di Moskovskaya. Certo, liscia, in bocca. Come desideri. Eccoti servito, Eccoti lo zoo. Sì, sì si’. Mi ricordo. Conosco tutti i particolari. Stai respirando appena, da lungo lungo tempo. Sappiamo ogni cosa di entrambi. Io non sarei così sprovveduto. Forse c’era un tempo in cui questa si poteva chiamare -tolleranza- Ebner. Io te l’avevo detto. Non toccare Malika. Non farlo mai più. La Notte della Collina Rossa. Più tardi, prima della mia resa, con un vinile di Iggy Pop, farò la mia resa alla polizia di stato. Quello che veramente ci appartiene prima di morire. Togliere i legami del giogo, dividere il pane con l’affamato, a casa con i senza tetto, vestire chi è nudo. Begli insegnamenti, E. Da quanto tempo non leggo più Céline. Voglio che tu mia dia la tua buona notte ufficiale Eb. Sei così dolce lì disteso. Se aspetti un attimo ti leggo un filo di Rostand. Ho visto la morte di una delle poche donne che abbia amato. Era già andata. La tua oscurità, il tuo meriggio, Ebner, credimi. E adesso cosa ti rimane. Sul quel pavimento. Deforme, faccia gonfia. Tutta la vodka di questo mondo Ebner e anche, tutta quella del tuo mondo, il tuo caro aldilà, Ebner, non basteranno. Un lungo tempo che avanza. Hai visto cosa è successo. dai Eb, fai un ultimo passo. Dai, se ce la fai ancora, parlami di A.P. Checov. Sì, proprio di lui. Vedi che non ce la fai. Un’ultima sceneggiata dal gusto tragicomico. Piccolo figlio di puttana. Ah, non ti muovi. Così è facile. Non dire più niente. Stare morti sul pavimento di un motel. Comoda la moquette. Ti ho raccontato quando viveva là. Oh, certo che no. L’arresto è avvenuto per consegna volontaria del colpevole, l’omicida. Conduceva una vita allo stato brado. Un vero animale. Ex musicista di successo, viveva di espedienti. Dio, solo, sa. Gerusalemme, ricorda i giorni della sua miseria e del suo vagare. Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Frasi, Delazioni, Infiltrati. Non stare fuori fino a tardi, Ebner. La Via Galatea è un’abduzione. Shakespeare, Dante e i Novellisti dell'Ottocento. Emile Zola & La via Lattea. Vedo questo, Ebner, vedo questo mondo e non posso fare a meno di parlarne. Il mondo sta fuori, è sempre stato fuori e io ci voglio ballare. Sentendo Beeth. o John L.H. Tutto sta nel cielo. Questa cosa sopra di noi. So che Dio, mai come ora, è dalla nostra parte. Forse non lo è stato mai. Forse ci siamo scavati la fossa, alla vecchia e cara maniera. Ti sei visto, gli occhi. Non c'è più niente in te. Tu sei il Nulla Freudiano. No che non ho, hai mai fatto. Sei morto. Malika ora è libera. Penso quasi ogni giorno a quello che il suo corpo ha dovuto subire. Ti hanno dato per scomparso. Quanto è durata. Quattro giorni. Ce ne hai messo di tempo a morire. Ne avevi di sangue in corpo. Sai, Ebner. Sai E. qualcosa, qualche cosa, andava fatto. No, non mi hanno ancora preso. Ti volevo dare una notizia. Un titolo di grido. Tua moglie è la prossima. Ma non farò come con te. Le donne non meritano tanto. La tua complice. Un colpo in testa e via. Poi la sciolgo in fabbrica. Nessun Problema. Spero che questo vi sia servito da insegnamento. Non sai mai chi ti puoi trovare davanti. Magari Nessuno. Magari un Robespierre-morto-sgozzato. Magari il tuo Carnefice. Ma non facciamone una questione personale. Ho già un accordo con il procuratore. Sono un uomo che corre veloce, Ebner. Immagino che tu a scuola ti nascondessi o che alla meglio, venissi picchiato. Strana fine per un sedicente uomo di chiesa. Finire senza una sepoltura.
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