martedì, agosto 13, 2013

50 centesimi




Sto guardando una moneta da 50 centesimi, 50 cents. Cristo. La sto girando tra il pollice e l’indice della mano sinistra.
Come si sono rovinate le mie mani negli anni. La pelle si è gonfiata, dilatata, poi ritirata e poi ancora rigonfiata. I lavori che ho fatto, la vita che ho fatto.
Questa moneta è davvero brillante, zecca dello stato, fresca di.
Appena sono entrato in casa stasera è scoppiata una lampadina della cucina.
Cattivi presagi. Vetri per terra.
In casa mia non c’era nessuno, sono stato l’unico essere umano a sentire quel particolare tipo di rumore. Come un fiore che sboccia, uno squarcio nell’aria di poco conto.
Non credo che sia sentito molto al di fuori del mio appartamento: nel mio stabile sono rimaste poche persone e la città è in gran parte disabitata per via delle vacanze.
Sono qua ancora solo per qualche giorno. Poi parto. Vado via. Per molto tempo.
Mi sono fissato con questa moneta perché mi ricorda l’assegno per gli alimenti che ho dato a mia moglie stamattina. Un bell’assegno scoperto. Sto tagliando la corda, se non si era ancora capito. Che mi vengano a prendere in India, o in qualsiasi altro posto dove andrò.
Ho detto India perché l’altra sera ho visto il film di Scorsese su George Harrisone.
The quiet one. Niente di personale, George, ma se devo sceglierne uno, scelgo John.
Sono stato licenziato due mesi fa. Lavoravo in una tipografia. Riduzione del personale cari miei. E tra i sacrificabili il mio nome svettava, ho scalato la classifica dei reietti, inarrestabile. In cima alla lista.
Ho cercato lavoro fino a settimana scorsa. Qualsiasi tipo di impiego. Niente.
Mi sono umiliato davanti a presuntuose teste di cazzo: non è servito o, forse, non è bastato.
Allora mi sono detto: non c’è niente che mi tiene qua. Posso andarmene. E non tornare.
Domani decido dove. E la mia vita prenderà il suo corso, sarà come un grande fiume in cui mi immergerò e sprofonderò sul fondo, facendomi trascinare dalla corrente, dagli eventi, dalle circostanze.
Di una cosa sono sicuro: andrò in giro a fare fotografie.
Sono quindici anni che non la prendo in mano. Ho un nikkor del ’78.
Un obiettivo 20 mm. E tanti saluti.
Voglio fotografare fino allo sfinimento.
Ho cinquecento rullini. Li ho comprati a un terzo del prezzo visto che il carico di cui facevano parte è uno di quelli classici, che scappa dal cassone di un camion, uno di quelli che scivola via, che cade per cause di forza maggiore.
Quanto mi possono durare cinquecento rullini? Tre anni? Può darsi.
Cosa fotograferò? Quello che capita, anche se la mia predilezione va per le strade, per i bassifondi, e per le facce sfatte.
Poi non è neanche detto che non trovi un lavoro onesto.
Però per un po’ me la godrò.
Forse vado in Olanda.
No: troppo vicino.
In un paesino sperduto dell’entroterra californiano.
Ecco, questa può funzionare.
Mi compro una roulotte e mi arrangio con qualche lavoretto.
Fotograferò il deserto californiano. Le carcasse degli animali.
Magari apro un piccolo laboratorio di foto. Sviluppo e stampa.
Prima dell’incidente, in casa avevo una camera oscura.
Si tratta solo di ricominciare.
Se un uomo sopravvive alla morte della moglie e del figlio, non può anche ricominciare un’altra vita, in un altro Paese?
L’errore che ho fatto è stato quello di risposarmi dopo con quella mia vecchia compagna di scuola.
Dovevo aggrapparmi a qualcosa, a qualcuno. E lei è spuntata fuori.
Dopo un anno mi sono reso conto che non l’amavo e che lei, peggio, cercava solo compagnia perché era terrorizzata dall’idea di dover passare il resto della vita da sola.
Come si fa coi cani, cazzo. Un compagno, un padrone.
La separazione è stata semplice. Lei ovviamente ha preteso soldi, i soldi, perché ha sostenuto con fervore isterico che l’avessi ripudiata e che la colpa della separazione era addebitabile solo ed unicamente al sottoscritto.
Al giudice gli ho detto: la signora ha ragione, colpa mia.
Pago quello che c’è da pagare. E ho tolto il disturbo.
Lei non si immagina che sto per sparire.
Nel deserto californiano potrò parlare a mio figlio, a qualche sua traccia di spirito che rimane in questo mondo, anche se non credo che esista niente dopo di qua.
Loro sono morti quella mattina e basta.
Ho visto le loro ceneri, le ho annusate, le ho toccate e le ho gettate nel Naviglio.
E’ assurdo come tutto si riduca a niente. Ma questa è l’unica verità.
Non mi resta che fare i bagagli.




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