Sto
guardando una moneta da 50 centesimi, 50 cents. Cristo. La sto girando tra il
pollice e l’indice della mano sinistra.
Come
si sono rovinate le mie mani negli anni. La pelle si è gonfiata, dilatata, poi
ritirata e poi ancora rigonfiata. I lavori che ho fatto, la vita che ho fatto.
Questa
moneta è davvero brillante, zecca dello stato, fresca di.
Appena
sono entrato in casa stasera è scoppiata una lampadina della cucina.
Cattivi
presagi. Vetri per terra.
In
casa mia non c’era nessuno, sono stato l’unico essere umano a sentire quel
particolare tipo di rumore. Come un fiore che sboccia, uno squarcio nell’aria
di poco conto.
Non
credo che sia sentito molto al di fuori del mio appartamento: nel mio stabile sono
rimaste poche persone e la città è in gran parte disabitata per via delle
vacanze.
Sono
qua ancora solo per qualche giorno. Poi parto. Vado via. Per molto tempo.
Mi
sono fissato con questa moneta perché mi ricorda l’assegno per gli alimenti che
ho dato a mia moglie stamattina. Un bell’assegno scoperto. Sto tagliando la
corda, se non si era ancora capito. Che mi vengano a prendere in India, o in
qualsiasi altro posto dove andrò.
Ho
detto India perché l’altra sera ho visto il film di Scorsese su George
Harrisone.
The
quiet one. Niente di personale, George, ma se devo sceglierne uno, scelgo John.
Sono
stato licenziato due mesi fa. Lavoravo in una tipografia. Riduzione del
personale cari miei. E tra i sacrificabili il mio nome svettava, ho scalato la
classifica dei reietti, inarrestabile. In cima alla lista.
Ho
cercato lavoro fino a settimana scorsa. Qualsiasi tipo di impiego. Niente.
Mi
sono umiliato davanti a presuntuose teste di cazzo: non è servito o, forse, non
è bastato.
Allora
mi sono detto: non c’è niente che mi tiene qua. Posso andarmene. E non tornare.
Domani
decido dove. E la mia vita prenderà il suo corso, sarà come un grande fiume in
cui mi immergerò e sprofonderò sul fondo, facendomi trascinare dalla corrente,
dagli eventi, dalle circostanze.
Di
una cosa sono sicuro: andrò in giro a fare fotografie.
Sono
quindici anni che non la prendo in mano. Ho un nikkor del ’78.
Un
obiettivo 20 mm. E tanti saluti.
Voglio
fotografare fino allo sfinimento.
Ho
cinquecento rullini. Li ho comprati a un terzo del prezzo visto che il carico
di cui facevano parte è uno di quelli classici, che scappa dal cassone di un
camion, uno di quelli che scivola via, che cade per cause di forza maggiore.
Quanto
mi possono durare cinquecento rullini? Tre anni? Può darsi.
Cosa
fotograferò? Quello che capita, anche se la mia predilezione va per le strade,
per i bassifondi, e per le facce sfatte.
Poi
non è neanche detto che non trovi un lavoro onesto.
Però
per un po’ me la godrò.
Forse
vado in Olanda.
No:
troppo vicino.
In
un paesino sperduto dell’entroterra californiano.
Ecco,
questa può funzionare.
Mi
compro una roulotte e mi arrangio con qualche lavoretto.
Fotograferò
il deserto californiano. Le carcasse degli animali.
Magari
apro un piccolo laboratorio di foto. Sviluppo e stampa.
Prima
dell’incidente, in casa avevo una camera oscura.
Si
tratta solo di ricominciare.
Se
un uomo sopravvive alla morte della moglie e del figlio, non può anche
ricominciare un’altra vita, in un altro Paese?
L’errore
che ho fatto è stato quello di risposarmi dopo con quella mia vecchia compagna
di scuola.
Dovevo
aggrapparmi a qualcosa, a qualcuno. E lei è spuntata fuori.
Dopo
un anno mi sono reso conto che non l’amavo e che lei, peggio, cercava solo
compagnia perché era terrorizzata dall’idea di dover passare il resto della
vita da sola.
Come
si fa coi cani, cazzo. Un compagno, un padrone.
La
separazione è stata semplice. Lei ovviamente ha preteso soldi, i soldi, perché
ha sostenuto con fervore isterico che l’avessi ripudiata e che la colpa della
separazione era addebitabile solo ed unicamente al sottoscritto.
Al
giudice gli ho detto: la signora ha ragione, colpa mia.
Pago
quello che c’è da pagare. E ho tolto il disturbo.
Lei
non si immagina che sto per sparire.
Nel
deserto californiano potrò parlare a mio figlio, a qualche sua traccia di
spirito che rimane in questo mondo, anche se non credo che esista niente dopo
di qua.
Loro
sono morti quella mattina e basta.
Ho
visto le loro ceneri, le ho annusate, le ho toccate e le ho gettate nel
Naviglio.
E’
assurdo come tutto si riduca a niente. Ma questa è l’unica verità.
Non
mi resta che fare i bagagli.
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