martedì, gennaio 17, 2017

577, Rivisto







Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia
un solo uomo per il popolo e non perisca la popolazione intera.

VANGELO SECONDO GIOVANNI 11, 49-50





La storia che hai già visto. Ventisette anni di carcere. Poliziotti, guardie, soprusi, abusi e molta, tanta violenza. L’ora d’aria e gli uccelli verso ovest. Un cacciavite come una lametta. I libri della biblioteca ed una cassa di vodka con ghiaccio a parte desiderata da dodici anni. Quello stormo vola sempre così basso. Le lettere scritte a mia figlia senza risposta. Qua non vengono mai a trovarmi. Vedo la vita per come me l’hanno rappresentata. Una famiglia, un’officina, della musica al sabato, caraffe di birra ghiacciata, mangiare messicano, le scuole, il ballo di fine anno, un vestito stretto, a bere bourbon dalla fiaschetta di mio zio, succo d’arancia (l’ho sempre odiato, come i cinema porno dove mi portava). La sentenza d’appello, una sera; ventuno marzo. Avevano tentato. Avevano già tentato di. Tre volte. Le mie piccole figlie. Vorrei portarle al cinema. Vestite bene. Un cinema di città, dove si possa mangiare. E bere qualcosa che mi metta in sesto. Qua è sempre la solita cosa. Le ore d’aria. Almeno una volta al giorno penso di essere stato un uomo diverso, quando ero a casa, con le mie figlie. Giocavamo a rubarci le cose in famiglia, giocavamo ad ammazzare gli animali, davamo la caccia agli animali. Qualcuno di noi è morto di tumore, altri: suicidi. O così le autorità hanno detto. Mi ricordo della mia prima moglie. Bionda, bel naso. Una ex-professoressa di università datasi alla vita vera: agricoltura biologica, abuso di droghe e sesso. Una cosa come un’altra. Ognuno mette in atto una propria personale finzione. La potete chiamare vita, ambizione, carriera, famiglia, figli, ma quella è. Almeno che voi non stiate davvero all’interno delle cose. Che voi le capiate. Capite l’ora d’aria? Capite scrivere 1984? Capite la Costituzione? Capite il narcotraffico? Gli attentati di Stato? Le Guerre sono tutte giustificate. Avete creduto all’uomo sceso dalla collina e anche a quello che ha vissuto nel deserto. Tutti noi, se vogliamo, vediamo Diavoli. Un giorno mi sono guardato allo specchio in un bagno di una stazione di servizio. Mi sono dato un nome. I nomi sono qua in terra, i demoni non esistono più. Almeno per quanto ne sappia. L’aria era così calda. Mi sono guardato alle spalle, e volevano accoltellarmi. Mi sono difeso. E’ morto, come al solito. Qualcuno di noi muore, senza lasciare segno, liberando una branda per il prossimo detenuto. Una discarica innevata il 15 di luglio, più ad Est.






62, Rivisto







Ricordati di tutto il cammino
che il Signore tuo Dio
ti ha fatto percorrere
in questi quaranta anni nel deserto,
per umiliarti e metterti alla prova.

DEUTERONOMIO 8,2





La nostra famiglia si è trasferita in questa parte di deserto da quasi quattro decenni. Strano, curioso: nel deserto le regole sono la cosa più importante, ti servono per vivere, per sopravvivere dicono da queste parti ed è per questo che non ci sono del tutto. Nessuna regola equivale a dire la più totale e piena sopravvivenza. La gente passa, quoziente intellettivo zero oppure 9-9-9, quello che è possibile, diciamo. Si fermano, sbiascicano qualche cosa scontata oppure fanno i propri bisogni cercando di non essere osservati. Animali, mangiano. Certo che vediamo il mondo girare, anche da qua. Il mondo gira, sul suo asse, con le sue pene, i suoi malumori, i suoi fanatismi incontrollabili. Quando avevo mia madre e quando avevo quattro anni, mio padre salì sul tetto e si gettò nella piscina senza neanche rompersi un osso. Il giorno dopo sparì per poi ripresentarsi solo alla lettura del testamento di mia madre. Lei non scelse di buttarsi in una piscina gonfiabile ma si diede alla chimica per andarsene. Sono dovuto stare dietro a mia sorella, un ragazzino nel deserto con una bimba di otto anni. Ho iniziato a trafficare, di tutto. Di lei se ne occupava un vicino di casa, mentre ero in giro a piazzare le cose. Una sera l’ho guardato negli occhi e gli ho messo un coltello a filo della fronte. Vattene. Se ne andò dopo un quarto d’ora. Io sono ancora qua, ed è una cosa che andrebbe capita, questa. Non è la posizione che occupi, ma come ti muovi. E quante volte ti muovi. Queste sono le vere regole, questo è l’istinto inappagato che ci anima quando saliamo in macchina per fare duecento miglia, o solo per uscire dalla porta per vedere se il coyote di ieri notte si è adagiato a dormire vicino alla sedia. Un posto sicuro, non ci sono statue di cera. No facce umane. Ecco la sabbia, ecco la terra. Qualche pezzo di legno cinto da filo spinato. Ho parlato di mia sorella visto che domani dovrò partire per andare al suo funerale. Era andata a vivere sulla costa. Lei non ha fatto come mamma. Caduta dal ponte. Deve essersi sbilanciata. I rapporti della polizia hanno sempre ragione, non mentono mai. Stasera so dove devo andare e cosa devo fare. Almeno il funerale sarà pulito.





59, Rivisto







Sì, ora giacerei tranquillo, dormirei e avrei pace
con i re e i governanti della terra.

GIOBBE 3,13




Veramente, può essere tutto qui. Mike & Frank passano la propria giornata, oggi, in un clima più fresco del solito. Ventisette gradi, ottantadue percento di umidità, ottimale situazione per due sbandati, ammesso che lo siano. Mike & Frank se la passano sotto qualche albero e si sdraiano sopra qualche tomba, qui, all’Holt Cemetery. L’Holt Cemetery è come quando tua madre è morta ammazzata ed avevi cinque anni, è come se avessero sganciato una bomba all’idrogeno da cento megatoni e tu sei uno dei pochi sopravvissuti della tua metropoli, solo perché eri all’estero a berti un drink con cannuccia e ombrellino in un qualsiasi posto caraibico. L’Holt Cemetery accoglie da sempre, a New Orleans, diciamo dal 1879 in poi, i resti ammalorati di quelli che sono morti e che in vita non avevano niente. Il catalogo è lungo: poveri, indigenti, affamati, indegni, appestati, lebbrosi se ce ne sono mai stati, deceduti per colera, tossici, alcolisti, morti di AIDS, qualsiasi fine peggiore che si possa figurare è presente su un’intestazione di almeno una tomba. Ho deciso di non arrivare ad indovinare quali siano i veri nomi di Mike & Frank, ed ho escluso il fatto di analizzare e soppesare l’eventualità che mi stiano mentendo su tutta la linea. Così tutto rimarrà più facile. Sono questi, questi due uomini intorno alla trentina, che a parte qualche piccolo traffico di anfetamina, si occupano di dare un minimo di dignità a questa onesta sorta di fossa comune. Ai morti, qui, hanno dato un nome e dei pezzi di legno per delimitare il proprio sacco di ossa. M & F sono due formidabili furbacchioni dell’ultima ora; tentano di vendermi roba più volte nei minuti in cui parliamo, mi chiedono chi sia, cosa faccio, di fargli vedere i tatuaggi che spuntano dalle maniche della t-shirt. Mi dicono anche che ho un bel fegato ad andare lì. Gli rispondo: nessun fegato. Sono solo uno di passaggio.