I pneumatici non erano del tutto gonfi e il peso della macchina carica di quattro passeggeri, di valige, di cibo, di un animale domestico e di qualche cosa necessaria ad un trasloco, sforzavano il disco metallizzato del cerchione sotto l’irregolare gestione di ammortizzatori allentati. Il terriccio e la ghiaia del vialetto di accesso venivano tamburellati e tritati come da un mezzo di fanteria. Indica, una delle due figlie dei Klimcko, la più piccola, mi guardò attraverso il finestrino posteriore sinistro ed appannando il vetro con l'alito, tracciò un segno, una scritta, con il suo indice sinistro. Guardai più a fondo attraverso la porta finestra, uscii sul patio ma il retro della Mercury si oscurò nella curva a destra prima del cancello della proprietà dei Figueroa. Passai la notte addormentato sulla poltrona davanti alla televisione, guardando un documentario politico sui movimenti di protesta in Sudafrica e di seguito una replica di uno speciale sulla morte di John Lennon a due anni dalla morte. Mi risvegliai alle 4.30 come mio solito. Andai in bagno, mi pesai, feci una smorfia di scontento, mi diressi verso il cucinotto del mio micro soggiorno/camera da letto e mi versai tre quarti di litro di caffè nero. Guardai i notiziari per due ore abbondanti. Lasciai metà del caffè nella tazza e ritornai in bagno, appoggiando il braccio e la mano sinistra contro la parete. Mentre urinavo, guardai fuori dalla finestrella e per poco non morii sul posto. Dall'altra parte del vetro c’era la faccia stampata di Indica, che rideva straziata nel suo sorriso sdentato. Poi la sua faccia si fece truce e mimò le parole che scoprirò solo tempo dopo - In Nessun Modo - ma lì per lì non capii o non volli capire o ancora, volli fare finta di niente. Un disco di J.J. Cale verso le undici di mattina, quando la voglia di un sandwich al tacchino e di una Coca-Cola ghiacciata mi assalì, mi ammonì. Se non c’è nessun cambiamento nel tempo, non ci sarà mai nessun cambiamento in me. Nel pomeriggio sentii la Mercury percorrere il vialetto a velocità sostenuta verso l’uscita e la rampa di imbocco della statale. La macchina si allontanava con qualche leggera sbandata. Sentii la voce di una donna in lacrime che imprecava, che supplicava, che minacciava e che malediceva l'uomo. Era la prima volta che vidi il viso irrorato di lentiggini e rughe di Golda Klimcko. Si inginocchiò. Mentre sembrava che stesse per arrendersi ad una forza maggiore, nefasta, bulimica, fece uno scatto sulle proprie gambe e si rimise in posizione eretta. Si mise le mani nei capelli rossi, tirandoseli indietro e raccogliendoli sulla nuca come per farsi la coda. Li lasciò sciolti, si mise le mani in tasca. Mi diede la schiena per rincasare. In quel momento le due bambine Klimcko corsero verso la madre che le prese sotto le sue braccia. Il trio materno si voltò verso la mia cabina. Golda mi guardò, mentre Indica e Malika avevano lo sguardo altrove, verso la casa senza padre.
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