martedì, marzo 29, 2016
domenica, marzo 27, 2016
domenica, marzo 20, 2016
La Famiglia Klimcko, 4.
Il lavoro al banco delle ferrovie andò bene per qualche mese. Verso l’autunno dell’82 la stampa indipendente condusse un’inchiesta giornalistica per corruzione ed appropriazione indebita ai vertici della compagnia dei trasporti statali che controllava le ferrovie. Nel giro di breve tempo quelle che potevano sembrare illazioni ed indizi agli occhi dei più, diventarono certezze e capi d'imputazione in una vera e propria inchiesta giudiziaria. Gli imputati più illustri patteggiarono la pena. Si scoprì che quelli più coinvolti erano propri i signori che gestivano la sezione trasporti su rotaia. Diedi le dimissioni prima che tutto deflagrasse, ma questo non mi portò ad altro che una misera buonuscita ed una lettera di raccomandazione siglata dal responsabile per le assunzioni della regione. Di nuovo sulla strada quindi - e di fatto, rintanato nella mia cabina sul lago. Come ogni tipico disoccupato o senzatetto decisi di passare qualche ora della mie giornate nella biblioteca civica più vicina ma questa avrebbe dovuto essere anche la più fornita. Girovagai per biblioteche per almeno un mese e alla fine ripiegai su quella di Stato, quella della Capitale. Per arrivarci dovevo camminare dalla cabina per una buona mezz’ora lungo la statale. Il freddo e la neve erano tornati. Niente di nuovo. Salivo su un autobus che mi portava allo scalo ferroviario e di lì prendevo il treno che mi scaricava nella grande città. Sceso dal treno avevo dieci minuti di tratto. Compilando il modulo di iscrizione per la biblioteca, barrai la casella "lettore". Dietro al bancone per l’accoglienza c’erano due donne: una anziana e sorda, con abiti e fare tipici della prima metà del secolo, l’altra appena ventenne o neanche, occhiali da vista. Una montatura di plastica trasparente e spessa che inquadrava le massicce lenti curve. Gli occhiali le occupavano metà del viso, le inglobavano il naso, che era appena poco più che pronunciato e all’insù, le guance di un rosa vivo che cadevano nella sue labbra piene di un rossetto anch'esso rosa, luccicante, riflettente; all’interno delle labbra a chiusura della dentatura c’erano pezzi di metallo e piccoli cavi elastici di un apparecchio correttivo. Erano veramente contente che compilassi il modulo di iscrizione permanente alla biblioteca. Mi chiesero come mai venissi da così lontano. Accennai loro della mia situazione lavorativa e raccontai come negli ultimi tempi, e non solo, avevo dovuto vendere i miei libri per tirare su qualche soldo e di come avessi smesso di comprare libri e di leggere. Ero lì per rincominciare un discorso abbandonato. Mi chiesero cosa avrei letto. Risposi per grandi tematiche, grandi intenzioni. La ragazza mi avvisò dell'inaugurazione oramai prossima di una nuova sezione della biblioteca. Sarebbe stata interamente sulla musica: storia della musica, studio della musica, strumenti e dischi di tutti i generi. Per ora l’archivio era molto ridotto. Sa, una volta oltre a comprare e leggere libri, ero un musicista, lontano da qua. Anche quel discorso finì, come molti altri nella mia vita. La ragazza e la donna anziana si guardarono e rimasero in silenzio per qualche secondo, fissando la pila di moduli sul tavolo. Forse ero stato troppo drammatico. Ho il gusto per quel genere cose. Un critico di Teoria del Linguaggio Teatrale la definì “drammaticità parlatoria”. Un’altro dei miei libri venduti e finiti chissà dove. Al macero. In un cestino fuori da una caffetteria universitaria. A sostenere la gamba malconcia di un tavolo di una sala di gioco d’azzardo.
domenica, marzo 13, 2016
La Famiglia Klimcko,3
Da quella scena nel vialetto non ebbi più modo di vedere alcun membro della famiglia Klimcko. Non ebbi più notizie "visive". Una notte mentre armeggiavo con un coltello ed una lattina di birra tanto per torturarla, udii una sorta di tonfo, di boato soppresso e immediatamente dopo vidi il riflesso di una luce incandescente spargersi, illuminando a giorno la mia cabina. Non era un'allucinazione. Già da una settimana mi stavo dando una ripulita per presentarmi in uno stato decente, almeno passabile, ad un colloquio di lavoro che avevo ottenuto per lo stand della rete ferroviaria presso il centro commerciale. Da quanto avevo capito al telefono si trattava di dare informazioni sulle direzioni e sugli orari dei treni del nuovo ramo ferroviario che collegava tutta la regione. Inoltre se del caso, avrei potuto dare ai clienti una brochure. Mi limitavo a sole due birre al giorno, e nessuno superalcolico o roba peggiore. Stavo bevendo molto caffè e molta acqua, quello sì. Qualche minuto dopo iniziai a sentire un forte odore di gomma bruciata, mista ad erba o a rami secchi. Uscii dalla cabina ed un'esplosione contenuta mi fece cadere con la schiena all'indietro. Urla femminili si avvicinavano verso di me. Aiuto, qualcuno ci aiuti. Dal buio sbucarono le sagome di Golda, Malika ed Indica Klimcko. Signor vicino, ci aiuti signore. Qualcosa è caduto dal cielo e ha fatto un solco nel terreno. Ha distrutto la casa del nostro cane e la piscina delle bambine. Adesso sta bruciando tutto. Signora io prenderò l’estintore mentre lei chiamerà i pompieri e la polizia. Potrebbe trattarsi di una scoria celeste, di un frammento di un meteorite o di un satellite. Indica chiese alla madre se questo potesse essere un segno del Signore per dire che il padre sarebbe tornato presto a casa. Indica a papà ci pensiamo dopo, le rispose Golda. Aiutiamo questo signore con la canna dell’acqua. Presi l’estintore ed iniziai a correre. Quello che vidi davanti era qualcosa di sconcertante. Un ammasso di fuoco, legno, erba, materiale ferroso ed i resti sparsi di un animale. Iniziai a spruzzare il liquido schiumogeno con l’estintore e il fuoco e l’odore iniziarono a placarsi. Le bambine buttavo secchi d’acqua e Golda continuava a spargere acqua sul luogo dell’incidente con pistola di un compressore. Arrivarono la polizia della contea e i pompieri. L’incendio era già stato sedato. L’area fu recintata e gli agenti iniziarono a fare le indagini ed a raccogliere prove. L’indomani si seppe che un satellite di una non meglio precisata nazionalità aveva urtato un corpo extra-terrestre, anche questo non meglio precisato (entità, dimensioni e perché). I frammenti colpirono dodici punti a terra in un raggio di cento venti miglia quadrate distruggendo proprietà, danneggiando scuole, fabbriche ed attività commerciali e facendo dodici morti. Undici persone adulte ed un cane, nella vecchia proprietà Figueroa. Alle undici di mattina ero pronto ad uscire per andare al centro commerciale dovrei avrei sostenuto il colloquio di lavoro. Scendendo le scale della cabina arrivò la Mercury dei Klimcko, che per poco non mi falciò. La macchina fece una brusca frenata. Fece una retro e si fermò a pochi centimetri dai miei piedi. Dalla portiera uscì un uomo oltre la quarantina. Sono arrivato appena ho potuto. Grazie per quello che ha fatto per la mia famiglia. Golda mi ha detto tutto. Mi presento: sono il Pastore Ebner Maria Klimcko.
La Famiglia Klimcko,2
I pneumatici non erano del tutto gonfi e il peso della macchina carica di quattro passeggeri, di valige, di cibo, di un animale domestico e di qualche cosa necessaria ad un trasloco, sforzavano il disco metallizzato del cerchione sotto l’irregolare gestione di ammortizzatori allentati. Il terriccio e la ghiaia del vialetto di accesso venivano tamburellati e tritati come da un mezzo di fanteria. Indica, una delle due figlie dei Klimcko, la più piccola, mi guardò attraverso il finestrino posteriore sinistro ed appannando il vetro con l'alito, tracciò un segno, una scritta, con il suo indice sinistro. Guardai più a fondo attraverso la porta finestra, uscii sul patio ma il retro della Mercury si oscurò nella curva a destra prima del cancello della proprietà dei Figueroa. Passai la notte addormentato sulla poltrona davanti alla televisione, guardando un documentario politico sui movimenti di protesta in Sudafrica e di seguito una replica di uno speciale sulla morte di John Lennon a due anni dalla morte. Mi risvegliai alle 4.30 come mio solito. Andai in bagno, mi pesai, feci una smorfia di scontento, mi diressi verso il cucinotto del mio micro soggiorno/camera da letto e mi versai tre quarti di litro di caffè nero. Guardai i notiziari per due ore abbondanti. Lasciai metà del caffè nella tazza e ritornai in bagno, appoggiando il braccio e la mano sinistra contro la parete. Mentre urinavo, guardai fuori dalla finestrella e per poco non morii sul posto. Dall'altra parte del vetro c’era la faccia stampata di Indica, che rideva straziata nel suo sorriso sdentato. Poi la sua faccia si fece truce e mimò le parole che scoprirò solo tempo dopo - In Nessun Modo - ma lì per lì non capii o non volli capire o ancora, volli fare finta di niente. Un disco di J.J. Cale verso le undici di mattina, quando la voglia di un sandwich al tacchino e di una Coca-Cola ghiacciata mi assalì, mi ammonì. Se non c’è nessun cambiamento nel tempo, non ci sarà mai nessun cambiamento in me. Nel pomeriggio sentii la Mercury percorrere il vialetto a velocità sostenuta verso l’uscita e la rampa di imbocco della statale. La macchina si allontanava con qualche leggera sbandata. Sentii la voce di una donna in lacrime che imprecava, che supplicava, che minacciava e che malediceva l'uomo. Era la prima volta che vidi il viso irrorato di lentiggini e rughe di Golda Klimcko. Si inginocchiò. Mentre sembrava che stesse per arrendersi ad una forza maggiore, nefasta, bulimica, fece uno scatto sulle proprie gambe e si rimise in posizione eretta. Si mise le mani nei capelli rossi, tirandoseli indietro e raccogliendoli sulla nuca come per farsi la coda. Li lasciò sciolti, si mise le mani in tasca. Mi diede la schiena per rincasare. In quel momento le due bambine Klimcko corsero verso la madre che le prese sotto le sue braccia. Il trio materno si voltò verso la mia cabina. Golda mi guardò, mentre Indica e Malika avevano lo sguardo altrove, verso la casa senza padre.
sabato, marzo 12, 2016
La Famiglia Klimcko, 1
I Klimcko arrivarono una giornata del 1982. Ricordo bene la data perché quattro mesi esatti prima ero stato licenziato dalla falegnameria di Stato. Avevano rilevato la proprietà dei Figueroa che era stata disabitata e ridotta in decadenza per oltre un decennio da quando il vecchio morì ed i figli se ne andarono per trasferirsi in città ed iniziare una nuova vita, lontana da qua e dalla gente di qua. Io stavo sulla porta finestra della mia cabina in affitto con uno sguardo perso, nella mia salopette, senza aver fatto la doccia per giorni. Non avevo più contatti con la civiltà a causa del mio licenziamento. La falegnameria di Stato era stata venduta ad una multinazionale svedese. Riconvertirono parte delle attività, mandarono a casa due terzi degli operai. Lì dentro più che lavorare il legname, lo impacchettavano e lo spedivano alla sezione arredamenti del nuovo centro commerciale che aveva aperto in città. Cucine, letti, mobili, tavoli, scrivanie, librerie, cassettiere, divani. La gente ne è andata matta. Mobilio a basso costo, da portare a casa ed assemblarlo in pochi minuti. Dalla soglia della mia cabina vidi spuntare il muso di una Mercury Colony Marquis Park con delle grosse fasce di legno applicate sui fianchi della macchina. La pubblicità diceva: nelle famigliari Marquis il lusso e lo spazio si fondono. Splendidamente. Chi era al volante di quell’auto aveva di sicuro sborsato una cifra considerevole. Oltre a starmene in cabina e a guardare la televisione tutto il giorno e a leggere qualche rivista sportiva, mi trovavo costretto ogni dieci giorni ad incamminarmi verso la statale ed andare al centro commerciale per comprare quanto più cibo, alcolici e medicine potessi trasportare e permettermi. Tutta quella strada a piedi, 8 miglia per un privato e solitario supplizio. Avevo dovuto vendere il mio pick-up per andare avanti e i sussidi stavano terminando. Avevo un conto a tre zeri da saldare con il bar vicino alla falegnameria dove tutti andavamo ogni giorno dopo il lavoro, dalle quattro del pomeriggio fino a quando avessimo retto o ci avessero sbattuto fuori. Qualche settimana fa il proprietario è venuto a farmi visita per dirmi che avrebbe chiuso l’attività e che il tempo era maturo per pagare i miei debiti. Non avevo un soldo in tasca così gli diedi il mio pick-up ed amici come prima. La Mercury procedeva a bassissima velocità. I miei sensi potevano anche essere non completamente a pieno servizio, ma a quell’ora del pomeriggio, intorno alle 4.30 e di sicuro prima delle 5, avrei potuto aver bevuto non più di un paio di birre oltre che ad un singolo di whiskey. Cose molto amministrabili. Cose per rompere l’apatia della sobrietà. La serata sarebbe stata ancora lunga. Ve lo assicuro.
sabato, marzo 05, 2016
Chets
mi rimane chet baker
le considerazioni di una notte
mi rimane una donna sola
separata o divorziata
sola ad un bancone
la guardo
mi dice
ti prometto che questa notte
non mi metterò a piangere
di ritorno a new orleans
a breve
sempre pensando ad amsterdam
il sapore della terra
possiamo sempre dire qualcosa
non ho più voglia di guardaremercoledì, marzo 02, 2016
martedì, marzo 01, 2016
L'ordinario
è quello che fai tutte
le sere
sei lento
il muro che marcia in piazza
la sentenza della corte suprema
una donna ti aveva detto
ti starò vicino
sarò tua madre
diventerò tua moglie
all’uscita da un supermercato
fino che quella distanza
non verrà colmata
& che i soldi
non verranno drenati
sto morendo per strada
c’è ancora una città
non ci si arriva bene
qualche miglia
ci si mette a bere
nel motel della contea.
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