mercoledì, maggio 06, 2015

5













I.

Erano mesi che si era ritirato in quella roulotte. Nessuno sapeva cosa facesse dalle 5 del pomeriggio fino a notte inoltrata. Scendeva il colore denso sulle piante e al di fuori del recinto. Le guardava dalla finestrella. Una cassiera che lavorava in un centro commerciale ad oltre venti chilometri da lì, gli portava la spesa due volte a settimana. Carni, pane, alcolici, ortaggi, salse, spezie e qualche attrezzo ogni tanto. Lei arrivava con la macchina, suonava il clacson poco prima della roulotte. Lui usciva pochi secondi dopo con la postura e la faccia di uno che aveva lavorato ore ed ore in un mattatoio della mente. Oppure, semplicemente, in un mattatoio vero e proprio. Scendeva i tre scalini dalla porta della roulotte alla terra attorno, l’erba che ogni tanto cresceva e che stava intorno. Non aveva il telefono, parlava sulla parola e si faceva credere sulla parola. Lei lo guardava mentre scaricava le casse piene. Cosa sto facendo con questo uomo. All’interno della sua casa, la roulotte, c’era una zona adibita a camera oscura. Aveva un televisore, uno stereo, libri e dischi sparsi ovunque. Coltelli da caccia, un vecchio fucile. Si metteva sul divano a fumare, con i piedi distesi sul tavolino, una telescrivente poco distante. Migliaia di fogli attorno. In cucina, frattaglie di maiale messe a marinare per lungo tempo. Il tempo attorno & temporali & una luce data, che arrivava da un generatore esterno. C’era un reperto della Guinea Orientale sopra lo specchio di quello che poteva essere chiamato ancora bagno. Stavano lì, nel suo giorno di ferie. La sua pausa dal mondo esterno. In un giorno di festa in città, la festa in città per i diritti civili, lei gli chiese di uscire. Scese i tre gradini, fuori dalla roulotte e si mise ad imprecare. Rientrò dentro e le disse, andiamo pure alla festa in città, ma prima devo dirti chi sono. Qualche mese dopo presero a viaggiare. La costa, l’interno del paese, gli altipiani, le pianure. Quindi venne il deserto, con la sua volgare spietatezza. Lei rimase in cinta e lui le scrisse una lunga lucida lettera in cui ribadiva quanto le aveva sempre detto, non sono per il matrimonio, non per la famiglia, non sono tagliato per essere padre, non so quanto tempo avrò su questa terra. Settimane dopo si recarono in ospedale. Il medico disse, mantenendo un labbro di sbieco: aborto spontaneo. Lei cadde in una depressione dagli esiti impredicibili. Iniziò ad andare nelle biblioteche e a leggere testi sacri, raccolte esoteriche e volumi di psicologia. Voleva risalire all’origine del suo male, studiando a fondo l’anatomia della sua esistenza, anima e corpo - il perché del suo corpo inservibile. Durante l'inverno la depressione cedette il passo ad un’altra forma di disturbo mentale, e questa aveva dei connotati più definiti: un perenne stato di esaltazione spirituale, a cui molti danno il nome religione. I suoi genitori erano stati dei convinti seguaci della Chiesa della Rivelazione Neuronale, ma lei trovò un movimento nato da poco il cui credo e missione riuniva varie discipline e orientamenti in due sole parole di colta derivazione: Atomismo Ascensionale. Così si ritrovò a passare giornate intere alla chiesa. Il predicatore, un uomo dal passato sconosciuto e oramai prossimo alla veneranda soglia dei cinquanta, vestiva con camice a mezze maniche. Nei suoi interminabili sermoni si dimenava con mosse premeditate, calcolate come le metafore soppesate che lanciava sugli astanti. Un inesauribile getto di fuoco, un pozzo di oro nero benedetto dallo spirito santo e consacrato ad esso. Divenne il suo faro, oltre che il suo amante quotidiano. Sul finire di una funzione la porta della chiesa si aprì e un uomo dalla sicura e solida complessione percorse l’intera distanza dall’entrata fino al pulpito e aggredì brutalmente il predicatore. L’intera comunità di adepti era sconvolta. Urlavano parole come diavolo, anticristo, male assoluto. L’uomo raccolse il microfono che stava a terra vicino alla faccia gonfia e tumefatta del predicatore e se lo portò alla bocca. Signore e Signori, non sono il diavolo. Sono solo l’uomo di quella donna seduta in quel bancone che continua a gridarmi contro e dire cose come perché mi stai facendo questo. Cara, io ti avevo detto chi ero. E ti avevo detto chi era questa gente e questo pagliaccio che adesso a stento fiata. Non sono il male assoluto, no. Diciamo che oggi, per voi, sono stato un male relativo e necessario. Convertitevi.  La mattina del giorno dei lavoratori uscì dalla porta della roulotte e raccolse la posta che gli avevano lasciato sui gradini. Riceveva lettere di ammiratrici che talvolta si spingevano, oltre alla redazione di pagine e pagine dattilografate, ad inviare primi piani dei loro volti, o anche delle loro parti intime. Si era abituato alla routine di quelle mattinate con caffè, tabacco fresco e fotografie di donne in preda ad un esaurimento pan-erotico. Nei primi anni Ottanta si poteva affermare che tutto oramai era diventato sesso. Sesso ad ogni ora ed in ogni luogo, sesso nei cinema, sesso nelle video cassette, sesso nei bar, sesso per le strade. Cartelloni pubblicitari con vari menù di sesso, seguiti dalle facce sorridenti delle persone scomparse, seguiti dall’ultima offerta della più grande catena di fast-food della paese. Dammi #3 banconote da un pezzo e mangia per l’eternità. Chili di cibo fritto e sugoso, litri di bibite dolci e ghiacciate per famiglie sull’orlo della bancarotta. Messaggi commerciali studiati per anni dai pubblicitari delle grandi compagnie per far entrare tutti gratis nel supermercato delle nostre coscienze. Prima di pranzo aveva selezionato gli scatti da mandare al giornale. Dai provini a contatto emergevano dei tratti colorati attorno alle sue solite 39 posizioni. La sua scelta battezzata da un pennarello rosso. Su quel foglio dal fondo nero c’erano delle miniature che ritraevano cancellate, tombe, croci, lapidi, bare scoperte e fosse a cielo aperto con ossa che spuntavano dal profondo del nucleo terrestre. Si trattava di un lavoro che aveva realizzato qualche settimana prima e che comprendeva un articolo di commento. Come andava ancora in voga a quei tempi, si poteva definire un classico reportage di denuncia sullo stato dei cimiteri della regione. Il degrado, la futilità della morte e come noi trattiamo i nostri morti, il titolo. Un unico grande piazzale di cemento delle nostre memorie fermo in buco nero a miliardi di chilometri da qui - senza consistenza, in assenza di tempo. Da quasi vent’anni aveva smesso di valutare se una cosa fosse buona o meno, in definitiva, di parlare del bene e del male. Vedeva tutto come un grande un distretto interplanetario, in cui tutto galleggiava condannato nella propria colonna d’acqua, dove tutto avveniva, indistintamente. Verso le due del pomeriggio prese da parte una lettera di una ragazza che sosteneva di vivere a ridosso del circolo polare artico. Si era firmata come Miriam. 
La lettera firmata Miriam e sapeva che Miriam era il suo nome di battesimo, una donna che si sarebbe fatta chiamare Lia, per tutta la vita. Molti scrittori o paria, usano pseudonimi, per non farsi riconoscere, per cambiare, dimenticare la propria storia famigliare. Miriam/Lia. Di solito le situazioni più squallide sono quando un uomo ed una donna si lasciano. Cercano di riempire il vuoto inutile delle proprie vite con parole, gesti, esternazioni di un’infinita tristezza. Per loro non era andata così, lui aveva assalito e tramortito il predicatore. Storie, storie, storia. La vita scappa via, il fumo sopra le nostre teste. Se fin da piccolo impari che tutto può finire, che tutto è destinato a finire, allora puoi essere sincero ed onesto. Un sabato pomeriggio in cui la tua donna beve un frullato alla banana e ti parla di un film da andare a vedere. Ok, andremo a vederlo. Quando? Martedì. Martedì è sempre un ottimo giorno per vedere film in enormi sale cinematografiche, vuote, costipate da odori di vecchi amori, stregate da fantasmi senza spina dorsale. Il giorno della funzione. Tutti si preparano per andare in pubblico, per lasciarsi una scia di benestare collettivo, una benevolenza concessa per un ultimo solo minuto. Sei stato lì, in piedi. Hai guardato la gente, i vestiti delle persone, i clown fumiganti  prima dell’esplosione nel nome dell’irredimibile decenza. Dopo l’aborto spontaneo, nel giro di una mattina, Miriam iniziò a vestire in modo diverso. Abbandonò il trucco e l’acquisto di anticoncezionali. Lui uscì fuori dalla roulotte ed andò e si comprò un machete. Poi andò al bar verso le undici di mattina. E’ incredibile come si cambi nel giro di tre quarti d’ora. Che cosa. Le parole. Un’immensa ingovernabile liturgia parodistica. Dove siamo cresciuti e fino al termine della notte. Lia oltre al supermercato andava ad arrotondare come barista. Qualche volta aveva ballato. Di sicuro era una ragazza buona. Si guardavano per giorni nella roulotte, mentre lui si alzava e si metteva a leggere sul letto o a scrivere sul tavolo della cucina. Poteva Dio rientrare nelle loro vite. Lui le rispose, dopo qualche minuto. Innanzi tutto, chi è Dio. E poi in quale tipo di dio dovremmo credere. Quello che ha fatto il mondo e poi un giorno si è messo a riposare. Quello che da uno scranno su Giove ci ha giudicato e dannato. Quello del perdono, della misericordia infinita o quello delle reincarnazioni plurime. Un dio lontano e assente o un dio a pieno servizio, che quando lo preghiamo per i nostri bisogni ci accontenti come un distributore automatico. Dio dammi dei soldi, dio dammi una donna, dio dammi il successo. Quale dovrebbe mai essere il nostro dio. Che aspetto avrebbe. Come parlerebbe con noi. Dio forse, è la cosa più umana che esiste. Oppure dovremmo spingerci all’affascinante ipotesi di un dio della rivoluzione permanente. Lei si alzò, non lo guardò e gli fece notare che non era stata educata a ragionare in quel modo spregevolmente cinico. A lei era stato insegnato il valore della compassione e della speranza. Di risposta lui prese il registratore vocale e lo fece partire per incidere queste parole: la senti questa sirena. Questa è la sirena della notte dei tempi. Va avanti da quando tutto è iniziato. Questo è l’unico Dio possibile. Il dio dell'emergenza.

II.

Ho ancora il gusto in bocca. Il mio grande desiderio. Lei ancora nel mio letto. Vestita di nero, una Venere Nera di Samotracia. Una splendida luce, intera, aperta; il solco della parola. La luce che si china epidemica, senza alcun segno di ritegno. La lista della spesa veniva compilata a più riprese. Miriam camminava per la roulotte. Metteva su un disco di Neil Young e poteva essere Harvest o Tonight’s the Night o Zuma. Con le sue manine decorate si metteva a ballare. Sai che sono brava in quello che faccio. Forse diventerò assistente di reparto o addirittura responsabile di reparto. Dopo voglio chiederti delle cose sulle ultime foto che hai fatto. Cosa ti è rimasto di Angola. Lo so che quando ti chiedo qualcosa tu rispondi sempre allo stesso modo: è vita, parlano di vita. E’-solo-VITA. Per te è facile. Ti rinchiudi dietro a quella parola. Ma che vita è. Di che tipo di vita stiamo parlando. E poi mi dici che non sono problemi tuoi. Che ognuno si dia le sue risposte. Giusto? Ogni tanto mi parlava di una sua costante mancanza di ambizione nella sua vita. Dovrei forse essere ambiziosa? Mi preferiresti? Io la guardavo, come sempre, e stavo zitto, pensando quanto l’amassi o solo quanto la detestassi. Ma torniamo al 1982, un anno come un altro nel cordoglio della guerra fredda. Attentati, rapimenti, manifestazioni. Marquez vince il Nobel per la Letteratura, hanno proiettato film come Reds, Atlantic City e Blade Runner è una fresca profezia nelle tetre sale cinematografiche di West Hollywood. Corso ha pubblicato da poco Herald of Autochthonic Spirit e i Beats stanno spirando nel chiarore dell’esplosione del mercato finanziario. Bukowski ha di sicuro pubblicato un’altra raccolta di inediti. Cortazar potrebbe essere prossimo alla morte. Miriam leggeva riviste patinate commentando le vicende di attori o politici. Il sabato voleva che le passassi il RS Magazine. Mi parlava come una donna, perché aveva la dignità di una donna fatta e finita, compiuta. Non passava le giornate a lamentarsi, a disquisire sul declino della civiltà occidentale, a magnificare il movimento pacifista e quello femminista. Condivideva, certo. Aveva le sue idee. Ma aggiungeva che dopo qualche conquista tutto sarebbe finito, come era iniziato. Era una donna che sapeva quello che doveva essere fatto e faceva quello che andava fatto senza tante storie. Ogni santo giorno andava al centro commerciale a lavorare, faceva le sue ore e poi tornava da me, alla roulotte. Non mi chiedeva idiozie del tipo come è andata oggi, cosa hai fatto di bello oggi. Sapeva che non l’avrei degnata di una risposta. Entrata, posava la spesa e andava verso il frigo aprendo due birre, entrambe per lei. I replicanti alle porte dei bastioni di Orione. Dopo aver segnato nervosamente quel numero su un pezzo di carta volante prese su la borsa nera e se la mise addosso, in spalla. Usciva dalla roulotte, come quasi ogni mattina dell’anno. Miriam, io la guardavo. Abitava in città. In ascensore si dava una stretta nelle spalle, nelle scapole doloranti e sminuite da mesi di corda tirata. Un amante per un altro, qualcuno di passaggio. Di lunedì il mondo canta se stesso. Dispiaciuta finché si poteva, guardandosi allo specchio dell’ascensore che scendeva lungo la pompa appena oleata. Quante stagioni all’inferno nostro caro Rimbaud. Chi ti legge più. Sei solo un cadavere di carta sparso nei nostri cieli, nelle nostre discariche bianche di tossine di ultima generazione, sei solo un altro morto che cammina per i nostalgici. Un Paese in movimento. Qualche volta è la festa dei lavoratori, la festa della nazione, la festa della presa del carcere, la festa di tutta la pletora dei santi. La guerra è finita signore & signori. Tutti a casa, con tanto di mancia nel cappello. Tempo, tempo, tempo. Tutte cose che terminano con un buon fine. Tenere le mattine viste in cui gente incolonnata saliva sui mezzi pubblici per andare al lavoro. Una sosta drogata sul posto di lavoro. La sera a casa dalla propria famiglia davanti alla televisione. E domani si ricomincia. E’ passato così tanto tempo da quando si parlava in un modo differente. Un modo completamente falso. Adesso non c’è neanche più quello: non possiamo neanche permetterci il lusso di essere completamente falsi. Ci guardiamo nei nostri stessi passi. Non sono cose che puoi aggiustare. Case che crollano come polmoni infartuati. Miriam mi raccontava anche queste cose, era il suo termine di invito per prendere parte alla sua sessualità minuta e debordante. Una notte mi confidò di avere visto il diavolo, faccia a faccia, in un sogno di mezzo pomeriggio. Mi disse che era rosso e che voleva impossessarsi di lei. Sei matta Miriam, il diavolo non esiste. Domeniche pomeriggio. Passaggi a vuoto. Fuori dai cocktail bar la gente ha ancora voglia di bersi lunghi & acquosi caffè. Iniziare a parlare del futuro, la settimana che viene, i piani per una stagione di pioggia. Destinazioni cancellate, perfino rimpiazzate. I giornali bagnati da macchie di tabacco che impregnano le colonne della politica estera. Gorbaciov fa progressi. Glasnost, Perestrojka. Contenuti politici da stato occidentale. Si discuteva della validità della pena di morte. Iniezioni letali, cinghie di cuoio, scariche elettriche emanate da generatori nucleari. La fine che fanno certi detenuti in certi contee. Enormi luoghi di detenzione, sorvegliati e puniti. Il fiume che muove dalla tromba d’aria che sta per arrivare in città. Ci si parla per le strade, gli argini reggeranno una volta ancora. Miriam sta facendo ancora il suo turno. Sto guardando gli scatti fatti due mesi fa in 11.000 chilometri di viaggio. Filosofi inchiodati in cabine telefoniche & pensatori senza eroi. La vita nei boschi o solo quella a ridosso della palude. Zone di depressione che non verranno mai bonificate. Caricare la macchina, girare. Il rock ’n’ roll che ci parla dalla radio, tirando giù i finestrini per l’avvento di una quarta dimensione. E’ possibile che siano passati così tanti anni. Le elezioni alle porte anche se non ci si vuole mettere a danzare con quello che chiamano il mistero. Miriam, quando torna a casa. Quella sera iniziò a parlarmi in modo diverso, iniziò ad usare parole vuote e un certo qual senso di allusione. Parlava di maternità, di andarcene via dalla roulotte, di cambiare il nostro stile di vita, di fare una vita più normale. Possiamo farcela. Era la prima volta che non la guardavo con curiosità. Aveva preso a recitare il solito refrain di una donna a ridosso dei quaranta che si sente mancare la terra sotto ai piedi. Pensavo di essere stato chiaro fin dalla prima sera, Miriam. Di tutta risposta lei iniziò a dare di matto, urlando, tentando di prendermi a pugni. La paralizzai. Iniziò a piangere e mi disse che non voleva abortire un’altra volta. 

III.

quella mattina poco dopo le 4 i vetri delle macchine stavano nel parcheggio &d erano tutti macchiati. colavano umidità, sporco, l’escursione termica dei territori. le grandi frasi dei padri. ho visto il finale di molte di queste cose. pupazzi biologici, corpi fermi, prendersi una cotta. astrid dormiva ancora. io non dormivo da 12 giorni per le anfetamine e la tensione. parlavo nel sonno, parlavo di me. c’era sempre la figura di mio padre, mio padre morto nel 71 arando una collina, con un trattore. casa nostra, ogni tanto poteva piovere. tonnellate di macerie, mangimi per animali, l’odore. arrivò la banca e mio padre perse tutto. lo trovai appeso nel fienile ed era andato. mia madre non parlava molto. era malata da quando era nata. parlavano di lei in questo modo. prese a bere come faceva da sempre. una volta le ho chiesto, chiusa in una stanza: quando mi aspettavi ti sei almeno fermata un po’. no, mi ha detto. in questa storia nessuna cosa può essere risolta. vedo la gente transitare. vedo la gente parlare. comprare rotoli e rotoli di carta stagnola. carta igienica qualche volta. gente chiudersi a casa propria, prima che passi il vento del diavolo. cazzate. adesso mia figlia è con me. vedo dalla televisione che sono ricercata. madre pazza e tossicodipendente rapisce figlia. pericolosa. uno spazio vuoto, a ripetersi, dove dio non parla mai. il dio che ci hanno insegnato. violenza, sottomissioni, interpretazione della legge. siamo soli. siamo solo noi, che ci parliamo addosso, che scriviamo diari pieni di falsità nei quartieri spagnoli. la maledizione degli esseri umani. poi ci alziamo una mattina, purificati, e vediamo la terra per quello che è. nessun passato, nessun presente, solo un fottuto futuro a rate. la bambina dentro di me, nei miei angoli più oscuri. non esiste una coscienza umana condivisa. esistiamo noi con le parole e la paure che gli altri impongono. esistono loro e gli strani. io non sono mai stata niente di tutto questo. esisto io e la mia bambina.

IV.

Sto vedendo la televisione, qui in questa camera di motel, Beaumont, Texas. Potrebbe essere anche Haarlem, Paesi Bassi. Ha rapito la figlia del primo matrimonio. Credo che voglia farsi ammazzare. Farsi sparare. Se esce da quella porta potrebbero spararle. So che mi sta cercando, per sapere cosa fare. E’ tutta una vita che le do consigli. Poi iniziò la depressione per quella gravidanza. Lei è convinta di aspettare la nostra bambina o il nostro bambino che sia. Gli aborti erano 4 e quello che non accettò era il quinto. Lì la testa le si staccò e fece un giro tra le stelle e le paludi. Venne la chiesa, la setta, o forse le migliaia di sette. Io guardavo il golfo, scaricavo tonnellate di roba all’anno. Non vivevo secondo le regole insegnatomi dalla mia famiglia, dall’università, dai posti di lavoro in cui ero stato lungo un ventennio. Guardavo, mi mettevo da parte a scrivere. Documentari su rock star in punto di morte permanente. Eravamo così amici, mi ha scritto nove mesi fa. Certo che vivere nella roulotte per anni non era una grande prospettiva. Io non ero una grande prospettiva. Non le garantivo niente se non la mia presenza. Il che non significava niente. Leggevo tutto il tempo. Scrivevo e riscrivevo. Passavo ore ed ore al telefono con amici musicisti e pittori e con donne avute; o con altre da averne. Miriam non voleva lottare come me. Voleva solo avere una vita tranquilla. Le notti con la botola della roulotte aperta. Passava l’aria del deserto e non ne avevamo niente. Mangiavamo crauti in scatola e würstel direttamente dal pacchetto. Alle 3 di mattina mi alzavo a fare 4 litri di caffè. Ogni tanto qualche amico le regalava della roba e la facevamo fuori subito. Vivi facile, vivi veloce. E siamo usciti quella notte. Avevamo sentito le notizie degli scontri e dovevamo andare fuori a fare il pieno. Qualche volta il colore della notte è così ampio mi diceva. Lo diceva anche della luce. Vandalizzazione. Si parlano tra loro, davanti ad un piatto di uova ed una tazza di caffè. E’ ancora presto. Il mattino deve iniziare più tardi, in un altro modo. La terra dietro casa dove bambina iniziava a correre, girando in cerchio. La polvere che veniva alzata. Le facce delle persone che aveva visto dai tre anni in poi. Il terreno di scontro da studiare come la genesi dei rapporti madre-figlia. Un po’ più in là, oltre il confine della contea. Rocce, radici, rampicanti. Siamo qui, nell’accesso della notte. Miriam, la guardavo in macchina, nelle strade attraverso i campi. Erano dei camminatoi con scorie di granturco. Siamo vicini, mi diceva. Coi testi si poteva recitare che ‘sto iniziando a vedere la luce’ . Ma sai, io vedo tutto che sta diventando dilatato, scuro ed esteso oltre la nostra capacità oculare. Tenevo le mani sul volante, cosa che non facevo mai. Miriam iniziò a respirare a fatica, sudare, odorare. Gli uomini. Impulsi elettrici ed orgasmici. La grande promessa del diluvio universale che non arriverà mai. Si sono succeduti, secondo diverse forme ed apparizioni. Li conosciamo bene oramai. Eraclito, il Cristo, poi abbiamo dovuto aspettare Marx-Nietzsche-Zarathustra. Sappiamo sempre di cose stiamo parlando. Questo è un equivoco che va chiarito. Il più grande bugiardo è quello che vi dice o dio, o dio mio non volevo fare quello che ho fatto, dire quello che ho detto. L’unica verità è che non siamo mai scesi da quella pianta, milioni di anni fa. Presunzione, orgoglio, miseria, in una parola: paure. La macchinazione collettiva che sfocia nella volontà delle masse è una cosa già morta in questo secolo. Io una volta credevo, credevo in molte cose. Basta prendere alcune invenzioni dell’uomo: il diritto, la matematica. Ci hanno aiutato. Ci hanno fatto progredire. Sono tutte regole di derivazione logica, il che significa che è convenzionale e ciò che è convenzionale non è mai una cosa pura. La purezza non esiste. La purezza per me è solo quel tavolo sporco che trovi in un bar o che hai a casa. Ci si circonda di religione, miti pagani, si crede nell’astro del progresso o della famiglia, ci si fascia il cervello e lo stomaco con pillole ed alcool. Qual è la differenza. L’uomo è sempre stato aggrappato a quella pianta, al suo tronco, ai suoi rami. E alla fine siamo tutti benvenuti.







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