lunedì, agosto 04, 2014

Dozzina di milioni





Dalla mia parte avevo la crudezza degli anni, l’affitto pagato, una macchina nuova e dei soldi da spendere.Avevo perso la stima dei miei compagni; la compagnia mi avrebbe abiurato, processato, condannato a morte. Questa era la sorte per chi avesse fatto il salto dall’altra parte della barricata. Anche solo per vedere che faccia avesse il nemico, il mondo. Faceva parte di quella vita, di quella cultura che a noi piaceva chiamare contro-cultura, considerare tutto con gravità, valutare tutto come fedele o infedele, come vero o falso. Erano gli atteggiamenti dei cattolici e dei comunisti. Per me la naturalezza era vedere rosso in casa, era avere centinaia di libri sull’Unione Sovietica, la Cina, il Vietnam, la Corea, l’America Latina e poi il totem assoluto, Cuba. Una sera un amico di mio padre tirò fuori da una borsa di pelle dei fogli. Erano dei fogli spiegazzati di giornali con titoli in inglese e non riesco a ricordare se fossero giornali sudamericani tradotti in inglese o proprio pagine di quotidiani americani. C’è una cosa che mi ha fatto sempre molto specie, in casa mia e non solo. L’uso di certe parole. Le parole, in definitiva. Quando parlavi della nazione che sta dall’altra parte dell’oceano atlantico che ha una bandiera a stelle e strisce e volevi adottare un’inclinazione ostile usavi la parola Stati Uniti. Se parlavi di chi andava a protestare - tutte le proteste - parlavi di America, di americani. Mio padre era un' assurda figura che coniugava il lavoro di operaio con la passione per i film di Hollywood. E la sua assurdità prendeva forma e sostanza quando usciva dalle riunioni di fabbricar rientrava a casa con una faccia austera, si rivolgeva a me e mia madre rigirandosi i baffi e pensava di essere il compagno Stalin. Chiedeva vino battendo i pugni sul tavolo. Lo otteneva. Beveva il bicchiere di quel liquido denso d’un fiato, quindi espirava tranquillizzandosi. Parlava per mezz’ora in modo serrato, isterico delle future conquiste del proletariato. Finita la bottiglia di vino si metteva davanti alla televisione e si guardava un film di John Wayne, elogiando gli americani.
Mi sto riguardando in tele. Forse per assurdità supero mio padre. Sono io quello che si dimena sul piccolo schermo? Pare proprio di sì. L’uomo, l’attore e drammaturgo di impegno artistico, politico e civile, un redivivo bulgakov ora è il venditore di materassi, il venditore di pentole e di molto altro. Da quando faccio vendite promozionale in televisione ho sempre il portafoglio pieno. Per anni sono andato a mangiare e a ripararmi in luoghi gestiti da enti caritatevoli. Poi un giorno una signora che faceva volontariato mi chiese se facessi ancora l’attore. Sono anni che non salgo su un palcoscenico, ma sì, sono ancora un attore. Andai negli studi della rete privata. Da lì fu tutto in discesa perché io accettai subito il contratto senza alcuna richiesta da parte mia. Per loro era vantaggioso: Mai nessuno aveva accettato un cachet così basso nel mondo delle televendite, mi dissero. Lei è una persona onesta. Nel momento in cui mi diedero il primo assegno, dopo una decina di passaggi in tv, vidi nelle mie mani tanti soldi come non ne avevo mai visti in vita mia. Dodici milioni di lire. Qualche tempo dopo una mia compagna di teatro per la quale nutrivo rispetto, quel tipo di rispetto esistenziale che difficilmente un uomo prova verso una donna, mi chiamò a casa riempendomi di insulti e continuando a dire che schifo, mi fai schifo. Bevvi per una dozzina di giorni, di continuo. Una dozzina come i milioni che stringevo. Dopo essermi ripreso ricevetti una lettera di espulsione dalla compagnia. La tua presenza è incompatibile con il progetto artistico. La compagnia ha decretato lo scioglimento del tuo rapporto con essa. Distinti saluti, la direzione artistica. La direzione artistica, già. Era lei, la direzione artistica, quella che mi aveva telefonato a casa insultandomi e dicendo quanto le facessi schifo. Il mese dopo incassai un assegno da quindici milioni. Ottenni l’inserimento di una clausola contrattuale grazie a cui il mio cachet sarebbe lievitato con una percentuale applicata sugli obiettivi di vendita. Nel giro di sei mesi, vendevo di tutto. Materassi, pentole, televisori, lavatrici, divani, mobili e poi venne anche la volta dei quadri. E lì iniziai a pensare che stessi diventando ricco. Anche sui quadri avevo la percentuale: il venti per cento. Altri emittenti private mi cercarono visto che stavo diventando sempre più famoso e che, secondo loro, potevo persino condurre un mio show. Erano quasi due anni che avevo cambiato vita e il conto in banca superava i cinquecento milioni. Ero ancora in affitto, e calcolai che nel giro di sei mesi avrei potuto comprarmi casa.
Una signora casa, in un quartiere alto.




Nessun commento:

Posta un commento