8 agosto, riverfront, new orleans, louisiana. un homeless sente la mia presenza, mi vede e si gira contrariato, dorme sotto una panchina in ferro. cammino per il riverfront, ore 5.52,00, times picayune in mano. polemiche sulla gestione della città - il traffico, le multe, gli intervalli dei semafori, la manutenzione disorientata del verde pubblico. obama ieri sera ha autorizzato attacchi aerei in Iraq &d invio di cibo & medicinali paracadutati da 20.000 metri per la popolazione martoriata dai fanatici del califfato. giovani donne corrono & vicino l'ebbro battello natchez fissano l'alba che risale la notte piegando la testa & respirando l'umidità di un sole rovente sulla curva del missie. il capitano del natchez guarda l'orologio, guarda la cabina di comando vuota, si controlla il polso poi sconcertato si volta verso due ragazzi che tentano di immergersi nel fiume pagano dalle acque nere grigie & rosse, come se questa fosse una grande impresa. un pontile davanti a me è vecchio, sconquassato nelle assi di legno &d ha una rete metallica intrecciata. grandi idee scendono lungo le due sponde: new orleans - algiers. il traghetto imbiancato di vernice lucida & idrorepellente ha le pareti metalliche ricoperte & devastate da mosche indigene. memorie del grande incendio del 1788 nel giorno del venerdì santo, per questo i preti si rifiutarono di far squillare le campane per dare l'allarme in città; anche in questa mattina parlano di un vento da sud-est ma meno forte di quando il mercato andò in fumo. poeti locali di indiscussa fama realizzano davanti ad un caffè nero da quasi un litro che in meno di due minuti si possono cambiare i termini di ragionamenti portati avanti per più di 25 anni. un gruppo di uomini con la barba siede attorno un vagone abbandonato una volta faceva capolinea a los angeles. dicono che un buon viaggiatore non ha piani precisi & che il suo scopo non è arrivare ma partire & aggiungono che la vita è il grande dramma che ci siamo concessi davanti a questi scenari pacifici del fiume.
venerdì, agosto 08, 2014
martedì, agosto 05, 2014
lunedì, agosto 04, 2014
Così dolce
è così dolce
stare alle undici dei sera
agosto
prima di partire
con gli assassini alle spalle
pronti a gonfiare le ovaieDozzina di milioni
Dalla mia parte avevo la crudezza degli anni, l’affitto pagato, una macchina nuova e dei soldi da spendere.Avevo perso la stima dei miei compagni; la compagnia mi avrebbe abiurato, processato, condannato a morte. Questa era la sorte per chi avesse fatto il salto dall’altra parte della barricata. Anche solo per vedere che faccia avesse il nemico, il mondo. Faceva parte di quella vita, di quella cultura che a noi piaceva chiamare contro-cultura, considerare tutto con gravità, valutare tutto come fedele o infedele, come vero o falso. Erano gli atteggiamenti dei cattolici e dei comunisti. Per me la naturalezza era vedere rosso in casa, era avere centinaia di libri sull’Unione Sovietica, la Cina, il Vietnam, la Corea, l’America Latina e poi il totem assoluto, Cuba. Una sera un amico di mio padre tirò fuori da una borsa di pelle dei fogli. Erano dei fogli spiegazzati di giornali con titoli in inglese e non riesco a ricordare se fossero giornali sudamericani tradotti in inglese o proprio pagine di quotidiani americani. C’è una cosa che mi ha fatto sempre molto specie, in casa mia e non solo. L’uso di certe parole. Le parole, in definitiva. Quando parlavi della nazione che sta dall’altra parte dell’oceano atlantico che ha una bandiera a stelle e strisce e volevi adottare un’inclinazione ostile usavi la parola Stati Uniti. Se parlavi di chi andava a protestare - tutte le proteste - parlavi di America, di americani. Mio padre era un' assurda figura che coniugava il lavoro di operaio con la passione per i film di Hollywood. E la sua assurdità prendeva forma e sostanza quando usciva dalle riunioni di fabbricar rientrava a casa con una faccia austera, si rivolgeva a me e mia madre rigirandosi i baffi e pensava di essere il compagno Stalin. Chiedeva vino battendo i pugni sul tavolo. Lo otteneva. Beveva il bicchiere di quel liquido denso d’un fiato, quindi espirava tranquillizzandosi. Parlava per mezz’ora in modo serrato, isterico delle future conquiste del proletariato. Finita la bottiglia di vino si metteva davanti alla televisione e si guardava un film di John Wayne, elogiando gli americani.
Mi sto riguardando in tele. Forse per assurdità supero mio padre. Sono io quello che si dimena sul piccolo schermo? Pare proprio di sì. L’uomo, l’attore e drammaturgo di impegno artistico, politico e civile, un redivivo bulgakov ora è il venditore di materassi, il venditore di pentole e di molto altro. Da quando faccio vendite promozionale in televisione ho sempre il portafoglio pieno. Per anni sono andato a mangiare e a ripararmi in luoghi gestiti da enti caritatevoli. Poi un giorno una signora che faceva volontariato mi chiese se facessi ancora l’attore. Sono anni che non salgo su un palcoscenico, ma sì, sono ancora un attore. Andai negli studi della rete privata. Da lì fu tutto in discesa perché io accettai subito il contratto senza alcuna richiesta da parte mia. Per loro era vantaggioso: Mai nessuno aveva accettato un cachet così basso nel mondo delle televendite, mi dissero. Lei è una persona onesta. Nel momento in cui mi diedero il primo assegno, dopo una decina di passaggi in tv, vidi nelle mie mani tanti soldi come non ne avevo mai visti in vita mia. Dodici milioni di lire. Qualche tempo dopo una mia compagna di teatro per la quale nutrivo rispetto, quel tipo di rispetto esistenziale che difficilmente un uomo prova verso una donna, mi chiamò a casa riempendomi di insulti e continuando a dire che schifo, mi fai schifo. Bevvi per una dozzina di giorni, di continuo. Una dozzina come i milioni che stringevo. Dopo essermi ripreso ricevetti una lettera di espulsione dalla compagnia. La tua presenza è incompatibile con il progetto artistico. La compagnia ha decretato lo scioglimento del tuo rapporto con essa. Distinti saluti, la direzione artistica. La direzione artistica, già. Era lei, la direzione artistica, quella che mi aveva telefonato a casa insultandomi e dicendo quanto le facessi schifo. Il mese dopo incassai un assegno da quindici milioni. Ottenni l’inserimento di una clausola contrattuale grazie a cui il mio cachet sarebbe lievitato con una percentuale applicata sugli obiettivi di vendita. Nel giro di sei mesi, vendevo di tutto. Materassi, pentole, televisori, lavatrici, divani, mobili e poi venne anche la volta dei quadri. E lì iniziai a pensare che stessi diventando ricco. Anche sui quadri avevo la percentuale: il venti per cento. Altri emittenti private mi cercarono visto che stavo diventando sempre più famoso e che, secondo loro, potevo persino condurre un mio show. Erano quasi due anni che avevo cambiato vita e il conto in banca superava i cinquecento milioni. Ero ancora in affitto, e calcolai che nel giro di sei mesi avrei potuto comprarmi casa.
Una signora casa, in un quartiere alto.
domenica, agosto 03, 2014
sabato, agosto 02, 2014
venerdì, agosto 01, 2014
Cinema vuoti
è una radio lontana
sentita per poco
sono qui per te
a qualsiasi ora
qualsiasi momento
le cose non cambiano
tutto può essere spiegato
i bombardamenti non sono finiti
devono ancora iniziare
il quartiere latino è una preda facile
venerdì con la febbre nel terreno
camminarci sopra
danzando dappertutto
ospedali chiusi
scuole bruciate
l’istruzione pubblica
è sempre stata
un nostro motivo secondario
prima di tutto noi
arruolavamo i diseredati
bastava camminare per la città
un po’ dopo le 8.00 di sera
& vedere le facce & studiarle
& dire che forse non era
così tutto a posto
i cinema rimanevano vuoti
dalle dieci alle quattro
solo quattro spiantati
il fanatico del cinema
è il maggior cazzone di tutti i tempi
gente che si sorbisce
a soli 20 anni
un lungometraggio su beckett di 9 ore
gente senza ritegno
che poi va a bere tutta la notte
peggio ancora arrivano
i fanatici del teatro
quelli proprio li devi dimenticare
è gente che vomita
& non ha un soldo
Solo un'altra hippie per strada
Erano passati 3 anni dal giorno in cui si era laureata. Voti alti, punteggio di laurea alto.
Una mattina, mentre stava cercando lavoro, un lavoro qualsiasi, la laurea in lettere non le aveva portato che ripetizioni e supplenze, una paga per continuare a oliare il suo perenne regime debitorio, un uomo con il quale si stava vedendo da quasi tre settimane la chiamò per dirle che la sera stessa non si sarebbero visti e che lì finiva la loro frequentazione.
Lei entrò in un bar e si chiuse nel bagno con la turca maleodorante. Pianse. Era stordita e schifata dalla parola che lui le aveva detto, che riassumeva il senso del rifiuto, o se vogliamo la fine della sua avventura amorosa. Stereotipi. Tu vivi di stereotipi.
Le aveva anche detto che dietro a tutti quegli stereotipi non c’era niente. Siamo nel secondo decennio degli anni duemila e tu vai avanti con cose morte e sepolte. Dietro non c’è nulla. Uscì dal bagno del bar con il viso sfatto, non parliamo del trucco. Al bancone chiese un bicchiere d’acqua del rubinetto. Adocchiò la bottiglieria. Gli scaffali con le bottiglie. Tu vivi di stereotipi. Dietro non c’è niente. Uscì dal bar e riprese a piangere.
Si attaccò al telefono. Chiamò le sue care vecchie amiche. Raccontò l’accaduto. Ore di parole. Fece avanti e indietro sul marciapiede davanti a quel bar. Si accorse che era passato l’orario del suo colloquio di lavoro. Chiamò per dire che aveva avuto un contrattempo improvviso. Le fissarono un nuovo colloquio. Due settimane dopo. Si mise nella scia del corso. Entrò nella libreria. Fece su e giù, piano terra, piano interrato, piano primo. Primo piano, piano interrato, piano terra. Ispezionò ogni reparto. Perfino quello infantile. Erano le due del pomeriggio. Si sedette al tavolo del bar della libreria e ordinò una birra media. Giù. La finì in dieci minuti: sei lenta. Si disse: una - specie - di - alaska. Si può fare di meglio. Posso parlarne alla gente. Ai macelli si disse. Penso a Brecht, Bertold Brecht e a mamma coraggio. I macelli di Chicago. I Mattatoi, carne frollate, spezie sui fornelli. Ma poi vide Milano, la sua città. Le bandiere delle pace ai balconi. I comitati di quartiere. Greenpeace, Emergency, la Croce Rossa, la Caritas. Il grande tema del volontariato, ossia l’impegno umanitario e politico. Non siamo soli a questo mondo. Bisogna pensare agli altri e al prossimo. John Reed: I Dieci giorni che sconvolsero il mondo. La Duma di Putin. La Cecenia di Putin. Io sono un’attivista. E nessuno tocca il mio utero. Ho letto Il giardino dei dissidenti in due ore. Sono stata a Zuccotti Park che Saviano non sapeva cos’era. E’ arrivato lì, ha detto ue cose e nessuno l’ha ascoltato. Stavo curando una esibizione al Whitney e poi dopo giorni è arrivato Saviano con il biglietto pagato dalla Mondadori a parlarci di noi. Un mio amico americano mi ha chiesto se era amico mio quell’italiano. Cosa stava dicendo. In che lingua parlasse. Gli dissi che era uno che stava rischiando la pelle per aver romanzato la camorra. Voi italiani siete tutti scemi. Ancora a queste cose. Il Padrino è del 72 e l’ha fatto un italo-americano. Va beh, non durerà molto. Infatti non durò molto. Fece i bagagli e se ne tornò a casa. Da buon italiano. E’ un onore per me partecipare a questa protesta. Me lo ricordo. Lesse delle parole da fogli stampati. Non si capiva niente. E a nessuno dopo qualche minuto sarebbe interessato niente. Nascita e morte di una stella cometa. Prima fece un appello. Io capii quello che voleva dire perché ero italiana, e sono italiana. La sera stessa, questo era solo il suo pomeriggio, si vide con un amico uomo di lunga data. Lei gli parlò, lui le disse sì. Sì, questo è il tuo problema, oltre agli altri. Gli stereotipi. Scrivevo discorsi. Tutti mi amavano per i miei discorsi. Per i miei modi, i miei discorsi e per i mie vestiti. Quanti mi sbavavano dietro. Ma li facevo girare attorno e poi mi fumavo qualcosa dopo qualche bicchiere. Non toccatemi maniaci. Domani voglio farmi dare dei soldi da mia madre e comprare dei vestiti in quel negozio vintage. Voglio sembrare una supper cazzo di hippie.
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