Il Caos che divampa. Non avevo mai respirato un’aria con grasso di motore che frigge, l’acciaio dilatato dei binari, sangue bruciato, carne ammalorata, ossa frantumate, schegge di cortecce cerebrali, fumo denso di insetti onnivori, micro brandelli di pelle fluttuanti saturano l’ambiente nero come nei classici racconti epici, le carte affumicate dei manifesti pubblicitari incollate sui pavimenti, sulle pareti, i soffitti, le scale, e luci, tutta la parte colpita della stazione in uno stato tumescente. Sirene che girano senza sosta, rumori di barelle inceppate, sacchi mortuari che vengono aperti e chiusi, lamenti di corpi feriti, di cervelli che hanno abbandonato questo mondo, luminescenze incorporee che vagano verso i pali dell’elettricità, che schizzano nella crisi irrisolta di questa mattina, vite dei santi liofilizzate in ossari mai esistiti, inizia dall’inizio e vai fino ad una fine, quindi fermati. Le case e le paure delle persone abituate a vivere con poco, così calme alle due del pomeriggio di una domenica d’inverno, gennaio. Il tuo compleanno può anche passare come la tua passione per la bibliotecaria o chi ti ha allestito la mostra o chi ti serve il tuo rancio alle 2.45. Appena si esce dai nostri posti, scantinati, appartamenti, luoghi buii al neon di qualche ente parastatale, parchi pubblici gestiti da multinazionali di farmaci o petrolio o autovetture o, appena ci rimettiamo tutti in fila davanti al fiume, ai binari che attraversano il Paese, dicendoci che questo non è un posto facile, gli incendi, le esplosioni, le stazioni, le caserme, le scuole, gli stadi, i teatri, i cinema, le strade che non danno mai abbastanza, poi puoi pure pensare che hai passato troppo tempo su quello o quell’altro libro, senza orari, i nomi che mitizzavano la tua esistenza, fino ad un’azione di soccorso, fino a che la tua dignità uscisse dall’orbita di questo mondo per non rientrare per anni prima di mettersi ancora all’uso e al servizio della vita comune, prima che ogni pagina vista ti desse il via libera per un’altra esistenza celebrata sotto un altro alfabeto, dai greci si passò ai romani ed ora siamo tornati nei tempi moderni fino al punto che questa modernità di cui ci siamo riempiti il cervello, il sistema nervoso, l’apparato digerente e ancor prima la spina dorsale non ci dica altro chi siamo, noi che parliamo attraverso i nostri trascorsi non credibili agli occhi degli altri. Kerouac che pensava di essere Wolfe & Beckett Joyce o Artaud Van Gogh. Siamo noi tormentati nella nostra gioventù, da questi uomini che ci hanno preso quando in casa e durante il giorno non c’era niente da fare che mettersi a leggere, perché avevi perso tuo padre o tuo nonno e quando per il gusto della vita ti piaceva andare a scuola solo per vedere la ragazza coi i capelli biondi tinti e non sapevi niente della mezzanotte e non sapevi niente di quello che sarebbe stato dopo vent’anni dall’altra parte del mondo. La volta che ti chiesero di scrivere un romanzo di formazione. Sei andato un po’ oltre. Ma il mondo non è altro che questo. Prima dell’esplosione, ho pensato alle lettere che componevano il nome I.A. Brodskij. Non so perché lui. Stavo banchettando con una coppia di Orange County, con una figlia. Ho visto la sua firma su un sole cadente del Texas, prima di un fronte di una banca commerciale.
Nessun commento:
Posta un commento