domenica, settembre 28, 2014

Qualcosa di scritto









1.


I.

In un centro commerciale, in un periodo natalizio.
Un uomo di nome Filippo ed una donna, Rona, entrambi sulla quarantina, si incontrano.

R: Anche tu qui.

F: Dio mio, Rona.

R: Filippo.

F: Quanti saranno, dieci anni?

R: 8 anni e mezzo.
Il matrimonio di mia cugina.
Dovresti ricordartelo.

F: In effetti pare difficile dimenticarselo

R: Cosa ci fai in negozio di giocattoli, tu?

F: Sono qua per mio nipote, il figlio di mia cugina.

R: Si finisce sempre a parlare di cugine.

F: Tu sei qui per tuo figlio?

R: Di figli ne ho tre. Due maschi ed una femmina, disabile.

F: Mi dispiace, non sapevo.

R: Non dispiacertene.
Non eri tenuto a saperlo.

F: Come sta tuo marito?

R: Ah, lui sta bene, il mio primo marito vive in Colombia.

F: Colombia Colombia, non nel District of Columbia, Washington?

R: Barranquilla, Colombia.

F: Vuoi dirmi quindi che vi siete separati.

R: Mi sono risposata.

F: Ed è nata la bambina disabile, che poi è affetta dalla sindrome di Down.

R: Come fai a saperlo?

F: L’ho capito dal modo in cui ne parlavi, dal tono.

R: Il potere dello stregone.

F: Solo attenzione. Capacità di osservazione.

R: Dimenticavo con chi avevo a che fare.

F: Smettila. Non volevo essere scortese.

R: Però hai voluto marcare il fatto che avevi capito.
Non potevi tenertelo per te?

F: Io mi sposo tra tre settimane.

R: Tu?

F: Sì la musica è morta nel ’72.

R: Cosa?

F: Non scherzo, venti giorni e mi sposo.
Anzi è una presa in giro.

R: Dicevo …

F: Però ho una figlia.

R: Stavolta non sembra che tu stia scherzando.

F: No. Vive con sua madre in Louisiana.

R: Non finirai mai di stupirmi.

F: La madre è francese.
Vivono là.
Si chiama Dophine.

R: Chi tua figlia?

F: No, sua madre?

R: E tua figlia come si chiama?

F: Rona.

R: Cosa? Sì, dimmi.

F: Aspetta. Mia figli si chiama Rona.

R: Uno scherzo di pessimo gusto, un tuo classico.

F: Non è questione di gusto.

R: Sei un bastardo senza senso del limite.
E lo sei rimasto. A proposito, come va coi libri?

F: Oramai scrivo sempre meno.
Solo cose essenziali.
Ho acceso la radio stamattina, presto.

R: Cos’è un’altra citazione?

F: Solo un modo di esistere.

R: E cosa fai ora, dipingi?
Scusa ma mi viene da ridere.
Pensare a te davanti ad una tela con dei pennelli.
Il maestro del colore.

F: Ci sei andata vicino.
Faccio arte concettuale.
Installazioni.
Dimostrazioni artistiche.
Assemblaggi con materiali poveri.

R: Non l’avrei mai detto.

F: Riguardo cosa?

R: Tua figlia.



II.

F: Non avrei mai detto dei due divorzi,
mentre di matrimoni e figli sì.
Era la tua Eldorado.
Sposarsi e figliare.

R: Era la mia realizzazione.
Il mio scopo. Dopo un infanzia infernale,
vedevo un orizzonte quieto
e pieno di luce, una luce calda e bianca.

F: Al fondo del cono, prima del buio
una proiezione di salvezza.

R: Già. Ma poi non è andata proprio così.

F: Difatti.

R: Come facevi a sapere che anche
il mio secondo matrimonio
è naufragato?

F: Ho tirato ad indovinare.
No, l’ho fiutato.

R: I miei figli non vivono con me.

F: Questo, non lo credevo.

R: Ho avuto dei disturbi comportamentali,
problemi sul lavoro.
Stanno un po’ con me
un po’ col padre.
Che adesso vive con un uomo.

F: E’ il mondo moderno.
La famiglia aperta e multiculturale.
Una cultura dominante. Spietata.

R: Non filosofeggiare sui miei fallimenti.

F: Così carina.

R: Uff.

F: Rona il mondo è andato avanti
da quando … 

R: Da quando stavamo assieme.

F: Eh sì, cara.
Vedi tu hai avuto questo talento verbale tutto tuo.
Chiudevi la frase per prima.
Mordevi più ferocemente.
Diagnosticavi il tumore in anticipo e lo combattevi.
Eppure ero io quello che scriveva
quello che leggeva
l’uomo al fronte
che ti imponeva le letture
più estenuanti, interminabili.

R: Quel luglio
a leggere tutta Simone De Beauvoir.

F: Possiamo dire
che quelle pagine ti cambiarono.

R: Ci lasciammo ad ottobre
con-sen-sual-mente.

F: Sì senza un processo
affrontando la natura delle nostre colpe
e dividendocele, spartendole.
Io avevo eroso il rapporto da mesi
per finire e farla finita. Morendo.

R: Io forse
ti avevo tradito.
Ti stavo tradendo.
Poi non ho fatto niente.

F: Al Castoro!

R: Sì, al Castoro!
La Simone istitutrice.

F: Ti va se ci sediamo a prendere
qualcosa da Starbucks?
Lo sai che questo è il primo
che hanno aperto in Italia.

R: Milan l’è on gran Milan.

F: Il tuo milanese è sempre troppo toscano.

R: E il tuo troppo torinese.
Ascolta per il caffè non so.
Dovrei prendere i regali per i miei figli.

F: Possiamo prenderli assieme.

R: Che cosa il caffè?

F: I regali e il caffè.

R: Mi sembra avventato.
Dopo otto anni e mezzo.

F: Soliti problemi.
Soliti paradigmi borghesi.
Tu dimmi cosa ci sarebbe di sbagliato,
cosa c’è di male, Rona?

R: Magari c’è il fatto
che semplicemente
non ne ho voglia
o non mi piace.

F: O che l’idea
che in fondo ti piace
urta le tue sensibili soglie borghesi
di valutazione morale.

R: Va bene letterato.
Il tuo potere di giudizio
non si è scalfito.

F: Scusa, non pensavo di dover scendere
a questo livello.

R: Non pensavi?
Forse non aspettavi altro.
Non sei cambiato.
Sempre pronto allo scontro.
Sempre pronto a demolire.

F: Tu lo chiamo scontro,
io l’ho sempre chiamato confronto.
Solo nella crisi continua
si può tenere alta la guardia
e stare vicino alla verità.

R: Fatto sta
che la vita è una cosa diversa.

F: La tua vita.

R: Grazie. Sei un signore.

F: Ascolta.
Dopo i tuoi matrimoni e i tuoi figli,
ora? Poco fa, li hai chiamati fallimenti.

R: Ma io ci ho provato, io sono stata.

F: Forse hai creduto nelle cose sbagliate.

R: E tu, cosa credi di potermi insegnare?

F: La differenza tra me e te
è che io non posso chiamare la mia vita
un fallimento.

R: Solo perché sei un bastardo presuntuoso.
Tu minacci. Tu ricatti. Ecco la verità.
Il tuo mezzo è il ricatto morale
in nome di una tua presunta superiorità intellettuale.
Tu mi hai ferito, mi hai lasciata come un’appestata
per quella troia di mia cugina
mi avete sputtanato alla grande
hai fatto saltare un matrimonio
avevi guastato il mondo
l’avevi imputridito
mentre con lei passavi ore ed ore
nei nostri posti.
Sono stata in terapia per più di un anno.

F: Scusa forse è stata una cattiva idea.

R: Filippo ferma. Ho esagerato.
Questo secondo divorzio
mi ha distrutto.
I miei figli che vivono
con una coppia di omosessuali
e non con la propria madre.

F: Mi dispiace.
Non ne posso niente.

R: Compriamo pure i regali assieme.


III.

Un’ora dopo ad un tavolo di Starbucks.

R: Non ho mai capito
come fai a bere tutto quel caffè.
E tutto il resto.

F: Voglia, abitudine.
Oramai bevo un terzo
di tutto quello che bevevo prima.

R: Bene. E’ un bene.

F: Tu dici?

R: Pensa alla salute.
Ti trovo bene, nonostante tutto.

F: Cosa vuoi dire per
“nonostante tutto”?

R: Niente.
Ho detto una fesseria.

F: Ok.

R: E tu come mi trovi?

F: Bella come sempre.
Ho avuto sempre un debole incancellabile
per alcune donne della mia vita
come per alcuni posti.

R: L’equiparazione donne - posti
è veramente disgustosa.

F: Tu sei sempre stata ai primi posti.

R: Pensavo al primo.

F: Non si può dire
tutto subito.

R: Vorresti dirmi qualcos’altro?

F: Dai, ti trovo bella.

R: Ma anche con tutti questi chili in più?

F: Sì. Hai avuto tre figli e sono passati dieci anni.
Il corpo della donna cambia.
Poi io non ho mai guardato certe cose.

R: E’ vero.
Ero più grande di te
eppure più timida.

F: Eri vergine.

R: Siamo in un posto pubblico.

F: La sostanza è quella.

R: Vuoi il caffè in faccia?

F: No. Cosa vuoi sapere?

R: Oltre a scrivere e alla tua arte
suoni sempre il pianoforte?

F: Una o due volte l’anno.
Solo per tirare fuori della musica
molto concettuale
delle sequenze di note
senza un inizio ed una fine.
Per un po’ mi sono buttato sul violino elettrico.

R: Una delle tue stranezze.
Un violino e per di più, elettrico.

F: Perché?
Lo registravo e poi lo lavoravo al sintetizzatore.

R: Un giorno ho visto una tua mostra.
Non volevo. Ci ha portati un amico di mio marito.
Non pensavo che fossi tornato in Italia.
Era quella di quella striscia sul muro di Berlino.

F: Ich ein berliner.

R: Sì. Quando sono arrivata
ed ho visto il tuo nome
Filippo Bruckner
a caratteri cubitali, neri
Filippo Bruckner
Ich ein berliner
sottotitolo
Una Berlino della Mente
mettevi assieme
kennedy
il comunismo
la caduta del muro
e i beats.
Come al solito
un atteggiamento pretenzioso,
spregiudicato.

F: Non c’ero quella sera.
La presentò il curatore.
Ero dovuto restare con mia figlia.

R: Avevano detto
che eri dovuto rimanere all’estero
per esigenze familiari.
E infatti avevano parlato della Louisiana.

F: Vivevamo qua e là
nella zona tra New Orleans e Baton Rouge.
Ci portavamo dietro nostra figlia, Rona.

R: Cosa?

F: Rona è il suo nome.
Il nome di mia figlia.

R: Dio mio. L’hai chiamata come me.

F: Te l’ho detto prima.
Ho sentito che questo
sarà l’inverno più rigido
degli ultimi sessant’anni.

R: L’ho sentito anch’io.



**********


2.

Otto anni e mezzo dopo, all’uscita di un teatro.
Sul tabellone c’è scritto: “Commedia quotidiana”,
di Thomas Levi e Filippo Bruckner, Ultima Replica.
All’interno del ristorante di fronte al teatro.
Rona è con suo figlio e vede Filippo
seduto di spalle ad un tavolo con una ragazza.


R: Posso salutare l’autore?

F: Rona?

R: Sì.

F: Saranno dieci anni, o forse otto e mezzo.

R: Credo tu sia al prossimo al vero.

F: Rona, questa è Rona, mia figlia.

R: E’ uguale a me da giovane.

F: Sì. Ti assomiglia molto.

R: Un fatto straordinario.

F: Quasi irripetibile.

R: Siamo invecchiati.

F: Tu hai i capelli lunghi e grigi ed hai perso peso.
Sei elegantissima.

R: Tu hai i capelli grigi raccolti in una coda
ed hai messo su peso. Ma guarda qua.

F: Hai visto lo spettacolo?

R: Sì, con mio figlio.

F: Ho dato una mano a Thomas.
L’autore è fondamentalmente lui.
E’ stato lui ad insistere che ci fosse
anche il mio nome.
E’ una persona equa e generosa.
La prima è stato un mezzo disastro.
Le repliche sono andate meglio.
Sono uscite delle recensioni benevole.

R: Sì, le ho lette
ed è per quello che sono venuta.
Mio figlio ha velleità attoriali.
Gli ho detto che il lavoro
dell’attore teatrale
non ha futuro.

F: Nel nostro Paese no.

R: Ti presento mio figlio.
Si chiama Filippo Maria.


II.

Su una costa, cinque anni dopo.

R: Chi lo avrebbe mai detto.

F: Ventitré anni e mezzo dopo
su una costa.

R: E che ci conosciamo, sono quasi trent’anni.

F: Quando mia figlia mi ha detto
che Filippo le aveva chiesto di sposarla
sono scoppiato a ridere.
Il destino che si compie.
Quello che non siamo riusciti a fare noi.
Filippo e Rona.

R: Rona e Filippo Maria
che si uniscono in matrimonio.

F: Ai nostri tempi il matrimonio
era una pratica desueta.
Ora è tornato di moda.

R: Il mondo post-moderno.
E dopo il mondo post-moderno
cosa ci sarà?
Cosa ci sarà tra qualche decennio
quando noi non ci saremo più?

F: La prossima epoca.
Per la prossima epoca
non prevedo ulteriori
frammentazioni
più che altro credo
che vi sarà una frantumazione totale
ed una ricomposizione del quadro generale.

R: E’ una visione suggestiva.
Un’apocalisse senza fine.
Circolare.
Al Castoro!

F: Al Castoro.

R: Rona è uguale a me.

F: Forse è per questo che tuo figlio
ne è ossessionato.

R: La ama
la pensa di continuo
non fa che parlarne
scriverne
ne fa degli schizzi con il carboncino
continua a dire
Rona Rona Rona
penso che mi stia chiamando
che chiami sua madre per nome
ma invece dice il nome di tua figlia
della sua futura moglie.

F: Quando ero all’estero
ed ero solo
in qualche bar
o in una camera d’albergo sperduta
scrivevo o fantasticavo
su progetti letterari
e dicevo ad alta voce
Rona Rona Rona
e nel sonno
il mio subconscio dominava
e mi faceva fare l’amore con te.

R: Ma dopo che c’eravamo lasciati
o ancora dopo?

F: Era un pensiero che rotolava
e qualche volta impattava nei miei desideri
non lasciandomi tregua per qualche giorno.

R: Rona Rona Rona.
Ero quindi una religione cadenzata
un culto privato
senza che io ne sapessi niente
anche se l’ho sempre sospettato.

F: Tu eri sposata con figli
non mi avresti mai accettato indietro.

R: No, sarebbe stato impossibile, impraticabile.

F: Concordo.

R: Mi turba quello che hai detto
su mio figlio. Che ami Rona,
ma che in realtà ami me.

F: Di sicuro ama Rona,
ma ama anche te.
Una situazione ideale, per lui.

R: Non hai perso l’abitudine
di psicanalizzare tutto.

F: La psicanalisi facilita le cose.

R: E le complica al tempo stesso.

F: E’ la vita.

R: Se non la smetti sbatto te e la carrozzella
giù dalla scarpata.

F: Potrebbe essere una soluzione.
La strega dai lunghi capelli bianchi.

R: Non li taglio da tre anni.

F: Più crescono e più diventano lucenti.
Bianchi.

R: Dopo devi prendere le medicine.

F: Sì.
Era una mattina dei primi giorni di marzo.
Mio cugino accese il motore della macchina
e le quattro ruote imboccarono il viale.
Poi fu sabato pomeriggio. Lui aveva bevuto molto.
Volle comunque guidare.
Io volevo fermarmi ancora al bar per finire di vedere la partita.
Lui doveva tornare dalla sua famiglia.
Il tragitto era breve.
Il camion non rispettò lo stop. E venne nella mia parte.
Mio cugino non commise alcun errore.

R: Dio mio, potevi morire.

F: Sì. Mio cugino urlò il mio nome
io chiusi gli occhi
e pensai che fosse giunta la mia ora
ne ero certo.

R: La tua ora.

F: Dicono che si rivede tutta la propria vita.
Non è vero.
Prima ho avuto un dolore acuto
al costato e al ventre
un dolore abbacinante
attraverso un colore indefinibile, soffocante
e poi ho visto te.

R: Hai visto me?

F: Sì eri tu che ballavi.

R: Io che ballavo? Questa poi.

F: Non ti ricordi? Quel giorno ad Amsterdam.

R: No.

F: Era un bistrot. C’era un juke box.
Misi su Gimmie Shelter.
Ed iniziammo ballare in mezzo alla sala
tra i tavoli.

R: Te lo stai inventando
o è vero?

F: Che cosa?

R: Ma tutto quello che mi stai dicendo.
Che vedi me prima di morire
e che abbiamo ballato ad Amsterdam
in un bistrot, tra i tavoli.

F: Come fai a non ricordartelo,
è stato uno dei momenti più felici.

R: Non riesco a ricordare. Mi dispiace.
Credo che dobbiamo rientrare.
Gli altri ci daranno per dispersi.

F: Rientriamo.


III.
In là nel tempo. Anni dopo.


F: Hai visto come cambia il tempo?

R:

F: E’ stata una stagione mite.

R:

F: Sai, non riesco a dare un seguito al libro.
Ieri mi ha chiamato il mio gallerista per dirmi
che ha venduto un mio vecchio scatto del muro di Berlino
La mostra che avevi visto.
Ich ein berliner, sottotitolo: Una Berlino della Mente.
20.000 Euro. Non male per un vecchio decrepito.
Ti sta bene quel maglione che ti ho regalato.
Il bianco dona qualcosa in più alla tua eleganza.
Ieri sera la cena è stata ottima.
Domani ti va di andare al casinò?
Passiamo da Antibes che ti piace tanto.
Possiamo noleggiare una barca e farci portare al largo.
Ti è sempre piaciuto tuffarti in acque profonde, pericolose.
Quando potevo ancora nuotare
io preferivo l’acqua del lago.
Dopo dobbiamo dire a Rona di mettersi a dieta
Dopo il secondo figlio si è allargata a dismisura.
Mangia in continuazione, fuma e beve.
Deve capire che ha due figli da crescere.
Lo sapevo che avresti concordato.
Tra i due quella di buonsenso sei sempre stata tu.
Quando io andavo in giro, tu facevi la mamma.
Il mese prossimo devo fare un piacere ad un amico di una libreria.
Devo fargli una piccola narrazione sulla beat generation.
E’ il centenario dell’uscita di On the Road.
Ah, caro Kerouac. E’ morto nel 1969, lo sapevi?
Ha fatto in tempo a vedere dei cambiamenti e l’uomo sulla luna.
Se vuoi puoi venire con me, ma so che ti annoi.
No, resta pure a casa, cara.
Adesso che ci ho messo una vita
a farti venire qua
a vivere con me
in questa casa sulla costa
non voglio tornare indietro.
Questo clima mite unifica le stagione.
Un’unico grande corso.
Ti ricordi di quando ti avevo detto che
quando pensavo di morire, avevo visto te?
Sarebbe stato più onesto dirti che
avrei voluto vedere te.
Ma poco cambia. E’ una sottile differenza.
Quello che poteva essere e quello che è stato.
Hai comprato dei fiori bellissimi.

R: Papà con chi stai parlando?

F: Con chi sto parlando … Con la tua omonima,
Rona dille di non fare questi giochetti.
Rona prendi in giro tuo padre perché ci vede poco?

R: Papà, rientriamo.

F: Rona tu che fai?
Vuoi ancora stare davanti a questa vista?

R: Papà, ancora.

F: Ancora cosa? Adesso inizi ad essere insolente.
E maleducata verso Rona.
E dille qualcosa, Rona!
Non starai mica al suo gioco?

R: Papà, ascoltami. Qua Rona non c’è.

F: Come sarebbe che non c’è?
Ora basta? Hai bevuto un’altra bottiglia?

R: Papà, Rona è mancata l’anno scorso.
Era molto malata e da molto tempo.
E’ andata in una clinica svizzera.
E lì ha posto termine alla propria esistenza.

F: No.

R: Prima che si facesse ricoverare
avete fatto dei viaggi insieme.
Siete stati in giro per quasi sei mesi.

F: Abbiamo viaggiato. Rona non è più qua.
Ma almeno è venuta qua a vivere.
Almeno per un po’, qua con me.

R: Sì, avete viaggiato.
Alla fine, poco prima della fine,
prima del giorno del ricovero,
si è fermata qua con te per tre giorni.

F: Sì, e aveva un golf bianco, collo alto
che le avevo regalato.

R: Sì. Inizi a ricordare?

F: Più che dei ricordi, ho dei sentori
di quello che è stato.
Ma quand’è che è morta?

R: Te l’ho detto, l’anno scorso.
Precisamente sono nove mesi.

F: Quindi meno di anno.

R: Sei più tranquillo adesso?

F: Non molto. Ma ha lasciato qualcosa di scritto?

R: Sì, la lettera che hai sul comodino.
E’ talmente consumata che non sta più insieme.

F: Leggo quella lettera tutti i giorni, è vero?

R: E quando sei troppo stanco e non ci vedi più,
la leggo io per te.

F: Grazie.

R: Stanno per arrivare i bambini.

F: Filippo e Rona. Due angioletti.

R: Tra mezz’ora.

F: Non preoccuparti per me.
Tesoro hai visto come cambia il colore
in questa giornata?