L'anno dell’uragano persi tutto. Sono qui, su questo pontile, dodici anni dopo. Persi la casa, il mio archivio, le mie attrezzature, le mie macchine da scrivere. In città dicono che c’è stato un prima e un dopo, l’uragano. Io non l’ho mai creduto: c’è stato solo l’uragano. Ci sono stato io senza più niente e senza più lei. Lei che per dieci lunghi anni aveva sostenuto la mancata promessa del giornalismo di reportage, la fallita nuova speranza della letteratura post-moderna. Ora che le parole, letteratura, fallimento e amore non significano più niente per me, dopo tutto quello che sono stato, una nuova stella ha iniziato a bruciare in cielo. Nei giorni successivi alla tragedia, la gente guardava in alto, maledicendo Dio per quello che ci aveva fatto non capendo che Dio sarà sempre così distante da queste terre e dalla nostra pelle, che niente di tutto quello che possa accadere qui lo riguardi. Io guardavo il fiume. Non era stato Dio a farci annegare, ma l’acqua. E’ sempre l’acqua a tenerti a fondo e non le preghiere, non le messe, non i sacramenti. E’ questo fiume che arriva da migliaia di chilometri da nord che distrugge quello che siamo e quello che abbiamo, che sommerge e soffoca nel fango i nostri affetti, i nostri desideri, la nostra storia più intima. Lei mi diceva sempre: tu, vedi le cose prima, e non so come fai. Sto vedendo una nuova stella bruciare. Sta arrivando.