lunedì, febbraio 28, 2011
domenica, febbraio 27, 2011
RECENSIONE DE "IL TEMPO"
Ritmo poesia
Non serve essere retorici per affermare questo concetto, bensì va intravisto nella scelta dei nostri giovani poeti e in quella delle piccole case editrici che credono in loro un gesto quantomeno ardimentoso. In quest'ottica le parole di Niccolò Alberici si strutturano e diventano poesia. Una lirica del nostro tempo, legata con un filo rosso e stretto alla musica, che l'autore mette al centro della sua poetica. Alberici, milanese, classe 1981 appassionato di musica e pittura, si prodiga nella sua seconda fatica, infatti, dopo l'uscita di "Qoelet blues" (edizioni Aletti) arriva in libreria "Blues dell'anima rossa" (edizioni Acquaviva). Una raccolta di poesia dalle molte sfaccettature, capace di cogliere la modernità nel suo stretto significato. Un testo dove le parole si arrovellano, sia nel linguaggio che nella grafica, alla ricerca di simboli che declinino il modo di esistere dell'oggi. D'altronde questa è la poesia, una sorta di traduttore dell'esistenza. Alberici, anche forzando in alcuni passaggi la mano, ricerca la dignità del poeta in un mondo che li ha dimenticati, ma che lui con saggezza sa guardare e scoprire fino a coglierne le paure, le gioie e le falle. Tutto questo a ritmo di blues diventa la piacevole dimostrazione che la musica, unico linguaggio del nostro tempo, non è solo nelle note, ma nel pensiero e nella ritmica irrefrenabile dell'anima
RECENSIONE DE "IL TEMPO"
Racconti«Qoelet blues»,
la mente è la bocca dei personaggi
UNA PAROLA ESPRIME L'ESISTENZA
«In principio era il Verbo».
Si potrebbe sintetizzare così «Qoelet Blues» opera prima del ventottenne Niccolò Alberici tra pochi giorni in libreria. Più di 220 pezzi, o blues, dove protagonista è la parola come «genesi» del racconto di ogni personaggio. «Volevo creare una singola unità linguistica, un morfema da trascinare in ogni parte del libro espresso dalle bocche delle menti delle persone che narrano», spiega l'autore. In calce al libro quattro atti recitativi, che l'autore definisce veri e propri «radiodrammi». Il più significativo è l'ultimo: Famiglia Gurskij nato da un'esperienza personale di Alberici. Un viaggio ad Amsterdam e il racconto di una donna, all'epoca ragazzina, che ha visto portar via la famiglia di ebrei che le viveva accanto dai nazisti. Una collaborazionista forse che con le sue parole esprimeva «la pena provata da una persona dalla libera e giusta coscienza che si è trovata a compiere qualcosa di orribile, indicibile, non facilmente ricordabile, ma che nei fatti della realtà di questo mondo ha avuto luogo», spiega. L'esempio più significativo di ciò che è «sembratoscomparso», ma in quanto reale porta con sé il significiato di un'intera esistenza. La scrittura per Alberici è proprio questa: non passione, ma esistenza, «un atto che si tinge di estremo».